attualità, politica italiana

«Il palinsesto della politica», di Giovanni Valentini

C´è sempre lei, Nostra Signora Televisione, al principio e alla fine delle vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi. L´alfa e l´omega del berlusconismo. Una stella polare, nel bene o nel male, per il nostro premier-tycoon colpito dal conflitto di interessi come da una maledizione biblica.
Anche la “querelle” sul legittimo impedimento, appena risolta dalla Corte costituzionale con una sentenza pilatesca che ha ridotto lo scudo originario a uno scudetto, inizia e termina nel segno della tv. I tre processi per i quali la legge-ponte era stata concepita dalla distorsione (in)costituzionale del centrodestra, e ancor prima il lodo Schifani e il lodo Alfano, derivano tutti dall´intreccio di affari e malaffari che ruotano intorno all´azienda televisiva del presidente del Consiglio. Corruzione di un testimone, già condannato con sentenza definitiva, per coprire i fondi neri della Fininvest e i finanziamenti illeciti al Psi di Craxi; frode fiscale sui diritti televisivi; appropriazione indebita sui diritti cinematografici destinati alla tv. Sono le accuse della magistratura milanese a cui, tra un escamotage e l´altro, verosimilmente Berlusconi riuscirà a non rispondere più.
È una storia infinita che si trascina ormai da molto tempo: dal 1994, anno della fatidica “discesa in campo” del Cavaliere. O meglio, dalla metà degli anni Ottanta, quando iniziò l´occupazione selvaggia dell´etere da parte del Biscione con la compiacenza e la copertura – appunto – del Partito socialista. Una brutta storia, scritta e riscritta mille volte, che ha stravolto la vita politica italiana trasformandola in un palinsesto televisivo permanente.
Eppure, nello studio di Porta a porta, si può ancora sentire un ministro della Repubblica come Ignazio La Russa sostenere che Berlusconi non ha tratto profitto o vantaggi dal suo potere, occultando il fatto che – a parte tutte le altre leggi ad personam – prima il cosiddetto decreto salva-reti e poi la famigerata legge Gasparri hanno assicurato al premier-tycoon l´impunità televisiva, consentendogli di mantenere intatto il suo impero e di aggirare le sentenze della Corte costituzionale emesse in difesa del pluralismo. E così il conduttore Bruno Vespa interviene per dire che la medesima legge Gasparri ha portato benefici anche a Repubblica e al Gruppo editoriale L´Espresso, permettendogli di acquistare una rete televisiva.
La verità, invece, è che tutto ciò sarebbe potuto legittimamente accadere anche prima del 2005, anno in cui il Gruppo acquisì il controllo dell´ex Rete A, poi trasformata in All Music e quindi in Deejay Tv. Era stata infatti la precedente legge Mammì, secondo i principi antitrust, a introdurre nel ´90 il divieto di posizioni dominanti (articolo 15) nell´ambito dei mezzi di comunicazione di massa, stabilendo una “griglia” per limitare gli incroci fra la proprietà delle televisioni e dei giornali: in forza di quella norma, chi aveva il 16% della tiratura complessiva dei quotidiani non poteva detenere neppure una concessione televisiva; chi aveva oltre l´8% poteva controllare una sola rete; e chi era al di sotto questa soglia poteva gestire al massimo due reti. Tant´è che Silvio Berlusconi, controllandone già tre, fu costretto a cedere (formalmente) il Giornale e trovò il modo di eludere la legge girando la proprietà al fratello Paolo.
Nel 2004 il Gruppo L´Espresso deteneva una quota pari al 13,61% (fonte Agcom) della tiratura complessiva dei quotidiani. E quindi, volendo e potendo, aveva il pieno diritto di acquisire una rete televisiva. Non è certamente a Gasparri, dunque, che dobbiamo alcunché.
A ben vedere, l´epilogo della controversia sul legittimo impedimento dimostra una volta di più una tesi che qui abbiamo sostenuto fin dall´inizio: e cioè che Berlusconi non è “perseguitato” – come dice lui – dalla magistratura perché è entrato in politica; ma piuttosto è entrato in politica proprio per non essere perseguito dalla magistratura. Per non rispondere – in altri termini – delle numerose accuse che nel tempo gli sono state rivolte, a cui si aggiunge ora l´onta del “caso Ruby”. Ma bisogna riconoscere che finora, tra rinvii, prescrizioni e leggi ad personam o ad aziendam, il gioco di illusionismo gli è perfettamente riuscito facendo credere a una buona parte degli italiani di essere una vittima del sistema giudiziario anziché un imputato quantomeno restio ed evasivo.
In realtà, un capo di governo raggiunto dalle accuse – giuste o sbagliate – della magistratura dovrebbe avere tutto l´interesse ad accelerare i processi, per andare in tribunale a difendersi e a far valere la propria innocenza. Berlusconi preferisce invece andare in televisione, possibilmente nelle trasmissioni più o meno compiacenti delle sue reti private, per attaccare i giudici o la sinistra e arringare il pubblico magari per telefono, in voce, via audio. Evidentemente, non ha neppure la faccia per presentarsi in video: forse, a questo punto, perfino lui teme di arrossire in diretta sotto il cerone.

da www.repubblica.it)