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“Fiom discuta con noi su come restare dentro la fabbrica”, intervista a Susanna Camusso di Roberto Giovannini

Una fabbrica non è una partita di pallone, non vince chi fa più gol. Hanno prevalso i sì, ma credo vada valutato che per gestire Mirafiori è stata scelta la strada del comando autoritario. E nessuno mi convincerà mai che l’autoritarismo sia più efficace, in termini di qualità, di condizioni decise in modo consensuale».
Susanna Camusso, la Cgil riconosce il risultato del referendum?

«Certo: avevo chiesto di votare, indicando il no. Ma riconoscere il risultato significa capire che il progetto della Fiat non ha raccolto il consenso degli operai. Nel voto operaio la distanza tra i sì e i no è di nove voti, e se si osserva il voto al montaggio e alla lastratura, la cui vita è direttamente cambiata dall’accordo ad excludendum, il no prevale nettamente».

Eppure, hanno prevalso i sì. E’ una sconfitta della Fiom?

«Continuo a pensare che quando si perde c’è una quota di responsabilità propria: è la lezione di Di Vittorio. Bisogna però riconoscere alla Fiom di aver fatto un straordinario lavoro a sostegno del no, mettendoci faccia, iniziativa e fantasia. Nessuno può dire che sia minoritaria e isolata».

Dunque la Fiom dovrebbe aderire all’intesa?

«Deve continuare a discutere con noi su come restare in fabbrica. Ma è un problema che riguarda tutti: davvero Cisl e Uil pensano di andare avanti senza consentire ai lavoratori di eleggere rappresentanti? Abbiamo tempo un anno per fare riflessione. Lo dico a Cisl e Uil, ma anche a Confindustria. Dice che con il contratto dell’auto la Fiat rientrerà nel sistema confindustriale? Ma si può immaginare un modello di relazioni fondato sullo strappo continuo?».

Perché lei ritiene che Fiat non rientrerà in Confindustria…

«So che nel frattempo per due dei suoi più grandi stabilimenti non riconosce contratto e rappresentanza. A Confindustria e agli altri sindacati chiedo come possiamo esercitare il nostro ruolo perché il sistema abbia regole cogenti per tutti».

Chissà se Confindustria, Cisl o Uil saranno davvero interessate a ristabilire queste regole.

«Qualunque sindacato deve chiedersi come dar voce a chi ha detto che quelle condizioni di lavoro sono insopportabili. Il segretario della Cisl ha detto che non gli piace che noi non siamo rappresentati. Possiamo discutere come uscirne? Noi proponiamo un accordo per una legge che renda effettiva la validità erga omnes dei contratti. Ho visto dichiarazioni interessanti in merito di Sergio D’Antoni, del presidente Gianfranco Fini, del ministro Roberto Maroni. In un Paese normale il governo convocherebbe le parti per risolvere il problema».

C’è la possibilità che l’esempio Fiat sia imitato da altri.

«Credo sia interesse di tutti non moltiplicare questi casi».

Marchionne ha detto che il voto è una svolta storica contro l’immobilismo. Un voto contro la Cgil?

«Un po’ di moderazione farebbe bene a tutti».

Non sarebbe stato meglio per la Fiom firmare a giugno 2010 l’accordo di Pomigliano, ed evitare le newco?

«Qualche responsabilità c’è, di fronte a una sconfitta. Ma si è visto che la riorganizzazione produttiva ha in realtà lo scopo di eliminare ogni opinione differente. Nessuno che si fa accompagnare lieto dal carnefice».

E adesso, vi aspettate una newco con le nuove regole di Mirafiori anche a Melfi e Cassino?

«Il timore che questo schema si ripeta c’è. Confido che persone intelligenti come quelle che occupano il vertice Fiat colgano fino in fondo il senso di questo voto. Sono i lavoratori a dire che non si può continuare così».

La sinistra si è divisa sull’accordo e sul voto. Che opinione ne ha?

«Non ha una rotta, una bussola, un’idea. Ha una gran voglia di invadere il nostro campo. Facile schierarsi, nel dibattito sindacale; ma non sanno che idea di Paese hanno in mente. Vale ancor di più per il governo, che ha accreditato l’idea che questo è un Paese in cui si può fare di tutto. Nessun primo ministro direbbe quel che ha detto il nostro, che se la Fiat se ne va fa bene. Capisco, come ci dicono le cronache, che era un tema che lo preoccupava meno di altri».
“LE ALTRE SIGLE «Non penso che sostengano un modo di contrattare che vede un sindacato escluso»”

La Stampa 16.01.11