Al via l´esame d´italiano per ottenere il permesso di soggiorno. L´esordio a Firenze e Asti: sei esercizi di ascolto, lettura e scrittura: “Ma erano tutti facili”. Adesso, il ghiaccio che hanno nel cuore lo devono scrivere: e non è mica facile mettere l´acca al posto giusto. Ghiaccio, mamma, giglio, matita e matite. Io sono tu sei egli è. Parole tutte mescolate, sul foglio bianco e nella testa, parole che nella bocca sembrano incastrate bene, però con l´inchiostro è un problema ed è facile sbagliare. Ma senza parole esatte, niente permesso di soggiorno. Se non sai scrivere Italia, non puoi viverci dentro.
Si comincia con la nebbia dietro la finestra, e sono in dieci a guardarla: Klodjan, Hasman, Adil, Violeta, Flutura e Naim che sono marito e moglie, Arben e Aziz, Salman e Happy che è nigeriana e a occhio, sì, assomiglia al nome che porta: «Sono contenta di essere qui, è la legge. Se una cosa si deve fare, la facciamo».
La scuola non è una scuola ma l´ex ufficio tecnico comunale, ora si chiama Centro Territoriale Permanente, hanno ricavato aule e laboratori tra i vecchi muri rossi. Fa freddo. I dieci candidati devono dimostrare di conoscere almeno l´80% delle parole dell´esame: ascoltano dialoghi sul cd, leggono testi, compilano un modulo. Gesti pratici tra lingua e vita, qui non ci sono Dante e Manzoni. «Ringrazio Facebook perché mi ha insegnato a scrivere agli amici italiani, così sarò promossa», dice Violeta Koteva, moldava, la prima a uscire dall´aula dopo due ore. Ha consegnato il suo scritto ed è convinta che sia andata bene: «Non era difficile».
Vengono dal Marocco e dal Senegal, dalla Turchia, dalla Macedonia e dalla Nigeria. Hanno tutti un lavoro, hanno figli italiani che frequentano le nostre scuole, e spesso prendono voti più alti dei loro compagni. Un´Italia che esiste ben prima del test e va oltre, lavora, si muove, parla e ascolta, prova a spiegarsi e tenta di capire. «Faccio l´operaio, sono qui da sette anni, ho imparato l´italiano da solo, l´esame era proprio semplice», dice Arben Kazimi, albanese. «Anche se non me l´aspettavo: in fondo, chiediamo solo un permesso di soggiorno lungo, mica la cittadinanza».
C´erano cinque ore di tempo per consegnare gli elaborati, quasi tutti hanno finito in meno di tre, anche perché ad aspettarli non c´erano il bidello o l´intervallo, ma il lavoro. «Scusate, scappo in cantiere, faccio il muratore», dice Aziz. «Questo compito è una cosa giusta, perché ci obbliga a imparare: se non parli l´italiano non ti prendono da nessuna parte. E almeno, d´ora in avanti eviteremo di fare la coda per il permesso annuale, si perdeva un giorno intero».
«Non ho mai studiato, per campare faccio la badante e in Italia mi trovo bene», spiega Happy Okodono, 31 anni, convinta di avercela fatta: «Solo un po´ di emozione». Entro tre giorni, lei e i suoi nove compagni sapranno dalla Prefettura se sono stati promossi, e in caso contrario potranno ritentare subito. «Non credo sia stato un impegno troppo arduo, di sicuro non abbiamo fatto nulla per renderlo tale», dice una delle esaminatrici, la professoressa Maria Teresa Gangi. «Stiamo comunque parlando di un italiano di sopravvivenza».
E se invece il “quizzettone” diventasse un filtro per rendere più difficile la consegna dei permessi di soggiorno? A prima vista non sembrerebbe, anche se il rischio di creare la categoria degli “stranieri col bollino blu” esiste. «Qualora si evidenziassero criteri e aspetti tesi a discriminare gli extracomunitari – afferma il direttore scolastico del distretto di Asti, Francesco Contino – molti di noi non sarebbero d´accordo».
Chi arriva ad affrontare questo esame, messo a punto dall´Ufficio scolastico provinciale, ha già compiuto un percorso preciso, e con le parole italiane fa i conti ogni giorno. Diverso è per gli stranieri appena arrivati, che stanno seguendo le prime lezioni nell´altra stanza. Venti allievi del “gruppo accoglienza”, alla lavagna la professoressa Floriana Basso, scuola media “Goltieri”. Capire per essere, tra plurali e singolari, verbi e aggettivi, accenti e doppie. Vicino al disegno dei girasoli di Van Gogh, un cartellone riassume le varie forme di “essere” e “avere”, e lì dentro c´è proprio tutto. La grande carta geografica dell´Italia, sul muro, più che un luogo sembra uno scopo, o magari un sogno. «I ragazzi seguono con grande attenzione, in tanti sono minori, e tutti prendono la scuola molto sul serio». In questo, forse, a lezione dovremmo andare noi.
La Repubblica 18.01.11
******
Immigrazione, test d’italiano
Firenze, anche mamme con bimbi.
Tutti promossi. Tranne uno. Per chi ha superato l’esame, il sogno di ogni immigrato ora si trasforma in realtà: avranno il permesso di soggiorno a tempo indeterminato. È il risultato del test – il primo in Italia – di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, che si è tenuto stamane nella sede della scuola media Beato Angelico.
Diciassette i candidati a Firenze: sedici quelli che hanno avuto via libera. Sapranno i risultati tra una settimana, invece, i nove immigrati che hanno affrontato lo stesso esame ad Asti: erano tutti sorridenti, comunque, quando usciti dalla scuola in cui si è tenuto il test, il che fa pensare che sono convinti di aver superato la prova.
Nel capoluogo toscano è realtà, da oggi, quel permesso, per Mbaye, ventiseienne senegalese che stamane ha portato nell’aula di esame il suo piccolo Falu, 4 mesi. Il marito, pure lui immigrato dal Senegal, fa il meccanico e non poteva tenerlo. Così, mentre Mbaye scriveva le risposte ai quiz, i commissari hanno coccolato il piccino, l’hanno tenuto in braccio, accarezzato. Lui, alla fine, si è addormentato sulla spalla di un dirigente dell’ufficio scolastico. È realtà anche per l’insonnolito Arion, albanese che parla con la c aspirata, che ieri, alla vigilia della prova, ha lavorato fino alle 2 di notte in pizzeria. Anche Minire, incinta, è qui con il suo bambino, Orghes di 2 anni, e il marito Bashk. Hanno portato il figlio più grande, 8 anni, a scuola e sono corsi a dare l’esame. «È giusto parlare la lingua – dice Bashk -, buona idea fare i test. Per noi sarà importantissimo avere questo permesso di soggiorno, eviteremo ogni anno di chiedere il rinnovo perdendo almeno un giorno per la pratica». E spendendo dagli 80 ai 200 euro per ottenerlo.
Tutti sono venuti in Italia molti anni fa (almeno 5 quelli richiesti dal ministero degli Interni per accedere alla prova) da Senegal, Albania, Tunisia, Filippine, dal Sudamerica, dalla Siberia. C’è Florian, albanese, magazziniere, che con il suo lavoro mantiene moglie e un figlio mentre un secondo è in arrivo. Nel banco accanto a lui, è china sui fogli Natalia Skvortsova, dalla Siberia, che parla un buon italiano e per vivere insegna alle estetiste la ricostruzione delle unghie. «Ho studiato molto – racconta Caterina, colombiana, da 10 anni in Italia, dipendente di una casa di riposo – soprattutto negli ultimi giorni. Mi aspettavo domande sulla Costituzione, domande di politica. Invece, queste prove mi hanno sorpreso.
Per chi è qui da tanti anni e parla l’italiano sono semplici. È andata bene, però. È giusto che chi vive qui conosca la lingua, è un elemento importante per avere rapporti con le altre persone, per inserirsi meglio e per trovare lavoro». Neppure per Aurora Carranza, 51 anni, ex suora filippina, rispondere al test è stato difficile. Lo ammette contenta, alla fine. «Insegno italiano agli stranieri – racconta -, e devo dire che non ho avuto problemi. Dopo 20 anni in Italia, insomma, doveva andare bene…».
L’ufficio scolastico provinciale e la prefettura hanno organizzato il test seguendo le linee guida del ministero degli Interni. Per i candidati è stata allestita una classe con quattro file di banchi nell’auditorium dell’istituto. L’esame si componeva di 6 prove in tre capitoli, ascolto, comprensione della lettura e produzione scritta. Hanno ascoltato brevi dialoghi e poi risposto a domande sul luogo dove il colloquio avrebbe potuto svolgersi. Inoltre, hanno scritto due testi immaginari: prima una cartolina ad un amico, invitandolo per le vacanze, e poi una richiesta alla prefettura per avere informazioni sui documenti da presentare per ottenere la cittadinanza. «Erano tesi, emozionati e anche un po’ frastornati dalla folla di giornalisti, cameramen e fotografi che li attendeva fuori dalla scuola – racconta la professoressa Patrizia Margiacchi -. Poi, a prova iniziata, il clima si è rasserenato.
Sono stati bravi, alcuni parlano bene l’italiano, altri si arrangiano. Per tutti, è stata una prova importante, molto importante».
L’Unità 17.01.11