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"Tunisi, il futuro è tempo da donne", di Franco La Cecla

Un episodio basterebbe per dare un’idea della partita che si sta giocando in questi giorni in Tunisia.
All’annuncio dell’imminente ritorno a Tunisi del leader in esilio del partito islamico, Ennhanda (Rinascita), Rachid Gannouchi, un tam tam di donne su Facebook sta organizzando una accoglienza numerosa all’aeroporto di Tunisi. Sono già migliaia e hanno deciso di farsi trovare tutte in bikini.
Questo per spiegare agli italiani che in Tunisia c’è un livello di provocazione, dibattito, di presenza intellettuale e di pretesa di laicità che può stupire chi non conosce il paese. In Italia vige l’idea che la Tunisia sia nient’altro che una riserva di manodopera disperata, come in Francia vige l’arroganza – la stessa di Sarkozy – che vedeva in Bel Alì il baluardo contro il fondamentalismo (salvo fare precipitosa marcia indietro all’ultim’ora) . Entrambe le visioni si stupiscono degli avvenimenti di questi ultimi giorni.
La rivolta tunisina è sicuramente una rivolta di piazza, al punto tale che la carovana della libertà non si schioda dal presidio davanti alla Kasbah e in Boulevard Bourghiba. Studenti, insegnanti, donne, contadini, classe media non accettano che il governo di transizione sia gestito da un complice di Ben Alì, quel Mohammed Gannouchi che sta in queste ultime ore liberando buona parte degli intrallazzisti che hanno devastato il paese.
Ma è anche una rivolta di rete, che ha avuto un successo formidabile laddove Ben Alì aveva organizzato un enorme sistema di controllo informatico. Facebook ha reso note nelle ultime ore il modo con cui gli utenti venivano controllati e la maniera – apparentemente neutra – con cui la gestione di Facebook e gli utenti sono riusciti ad aggirare la censura.
Parlo a Roma con Raja El Fani, la figlia di uno dei personaggi più rappresentativi dell’opposizione, Beshir El Fani, uno dei fondatori del Partito comunista tunisino e oggi attivo nel fondare un’alleanza progressista con gente come Mondher Belhaj, 50 anni, brillante giurista e universitario tra Tunisi e Parigi e fondatore del Parti Social Liberal.
Raja mi racconta che una delle cose difficili da spiegare agli italiani è proprio il livello di modernità della società civile tunisina, il ruolo che le donne, avvocatesse, intellettuali, filosofe vi giocano, ma anche la freschezza di un movimento in cui la gioventù s’identifica e che ha preso come inno alla rivolta il video El General del rappeur Ben Amor.
Nel video Ben Alì parlava a un bambino in una scuola di Tunisi e questo scoppiava improvvisamente a piangere. El General era un’accusa diretta, tagliente a un dittatore che lasciava il popolo in miseria e i giovani nell’oscuramento totale. Ben Ammar è stato subito arrestato, ma la rivolta giovanile lo ha preso come simbolo e liberato. Oggi il dibattito continua, fittissimo su Facebook, ed è, mi ribadisce Raja, un dibattito sul futuro laico di un paese che non vuole passare da un dittatore a un errore fondamentalista.
I giovani diffondono dibattiti della tv libanese dove imam sciiti fanno l’autocritica dell’Islam e della sua intolleranza che sta portando il mondo arabo alla rovina. Ci sono figure intellettuali di spicco tra le Femmes Democrates come Khadifa Cherif o Bocha Belhadj Hmida e pensatori come Hichem Jaait e Azzedine Gallouz.
Non bisogna dimenticare che una diaspora impressionante ha fatto sì che una buona parte della classe che oggi sta tornando in Tunisia per ridarle respiro si è formata in Europa ed è fatta di professionisti e universitari di altissimo livello. Alla Tunisia guarda il resto del mondo arabo proprio perché in questo paese l’alto livello culturale, i diritti delle donne, la tradizione di tolleranza per cui c’è ancora qui una forte presenza ebraica consentono di prefigurarvi il primo paese arabo capace di saltare nella globalizzazione e nella democrazia (al pari del molto più instabile Libano, dove però le istanze di laicità sono altrettanto forti).
Sta all’Europa accorgersi di quanto convenga appoggiare questa transizione democratica se vuole avere a che fare con un futuro in cui il mondo arabo non sia solo una minaccia o una sponda da usare con ipocrisia.
La Tunisia per molti versi è molto più laica della Turchia, proprio perché la vicinanza, questa vicinanza completamente rimossa dall’Europa, ne fa a tutti gli effetti non un paese “oltreconfine” ma un confine di specchi. Tunisi a un’ora da Roma e a venti minuti da Palermo dovrà ancora restare nel nostro immaginario un posto di fez, brick, cuscus, Craxi e Hammamet?

Il Sole 24 Ore 30.01.11