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“Il vizio ad personam della prescrizione”, di Attilo Bolzoni

Frequentare la mafia non è reato. Se poi la giustizia è lenta, non è neanche un problema. Ne sa qualcosa Marcello Dell´Utri, senatore della Repubblica, bibliofilo, inventore di Forza Italia e in intimità con i «meglio» boss di Palermo. Devono rifare il suo processo. Significa che non ci sarà mai una vera sentenza.
Significa che di riffa o di raffa, lui si salverà per prescrizione. Finisce così una delle più incredibili vicende del nostro Paese – giudiziarie ma non solo giudiziarie – dell´ultimo quarto di secolo, la storia di un siciliano doc che si è trascinato le sue conoscenze palermitane nella Milano dove cominciava la grande scalata al potere un signore di nome Silvio Berlusconi. Finisce come era cominciata tanto tempo fa: nella normalità italiana.
L´imputato non doveva mai diventare un imputato.
Cosa ha fatto di così grave per scivolare negli ingranaggi delle investigazioni antimafia? Aveva relazioni con uomini vicini alla Cupola ma che importa, mica c´è la prova di un suo «contributo» all´associazione criminale denominata Cosa Nostra? Stare una vita al fianco di Vittorio Mangano, lo «stalliere» di Arcore, trafficante di stupefacenti, uomo d´onore della famiglia di Porta Nuova, non è illecito. Invitare il sicario Gaetano Grado o il capo della decina di Santa Maria del Gesù Mimmo Teresi su in Lombardia, non è un delitto.
Vincoli innocenti. Mangiate. Bevute. Flirt.
È per questo che devono iniziare un´altra volta il processo al senatore, che in una vita ha navigato nel brodo bollente siciliano e che nell´altra vita ha trasferito il suo «patrimonio» di rapporti e di amicizie lassù, quando era al servizio di re Silvio.
Concorso esterno. Non c´è. «Non ci crede più nessuno, spetta a voi il compito di smentirmi», incalza il procuratore generale della Cassazione Francesco Iacoviello in una requisitoria che a qualcuno è sembrata un´arringa difensiva. Perché «non si fanno così i processi», ha aggiunto il pg.
Allora diciamo che bisogna ricominciare tutto daccapo. Anche per ricostruire la vita e le gesta di Marcello Dell´Utri, ex anonimo impiegato di una cassa rurale di Belmonte Mezzagno nato nel 1941 e poi trasformatosi nel più misterioso personaggio di collegamento fra la Sicilia e la Milano degli affari, costruzioni e politica, soldi e laboratorio ideologico, voti e intrighi.
E «tradizione». Quella c´è tutta nella biografia di Marcello. Complicità non occasionali ma lunghe venticinque anni. Da Antonio Virgilio e Salvatore Enea detto «Robertino» a Jimmy Fauci e Francesco Paolo Alamia. Da una generazione all´altra di mafia, dall´aristocrazia dei boss di Palermo alla follia di Totò Riina e dei suoi Corleonesi terroristi. È rimasto sempre incollato a loro, Marcello Dell´Utri. Non è reato. Però è andata così.
Anche se non conta più niente per gli eccellentissimi giudici della Suprema Corte della Cassazione.
È tutto annacquato ormai. Un esempio: un´agenzia di ieri sera, ore 19.54. Testuale: «Vittorio Mangano considerato vicino alla mafia…». Non si sa più quello che si dice e quello che si scrive anche sulle più autorevoli agenzie di stampa. Vittorio Mangano non era uno «considerato vicino alla mafia»: era un mafioso. Se partiamo da questa – come dire, piccola imprecisione – possiamo scrivere un´altra storia di Marcello Dell´Utri. Ma a noi piace raccontare quella vera.
Quella della Palermo mafiosa dove Marcello Dell´Utri era infilato, magari non protagonista ma sicuramente consapevole, sempre in contatto con gli amici degli amici dei Bontate, dei Calderone, dei Cancemi, dei Cinà. Non abbiamo mai avuto prove delle rivelazioni bislacche, sospette e a puntate di Massimo Ciancimino sul ruolo di Dell´Utri e della sua trattativa fra Stato e mafia, ma nessuno ha mai avuto dubbi – nemmeno il procuratore generale della Cassazione – sulla vicinanza fra il senatore e quella gente là.
Un concorso esterno che non esiste più e un processo lungo 11 anni hanno fatto il resto.
Il passato di contiguità mafiosa di Marcello Dell´Utri (che nessun giudice e nessuna Corte potrà mai cancellare con una sentenza di rinvio o con sofisticate acrobazie giuridiche) è lì e lì resterà per sempre. Che poi non ci sarà condanna, è altro discorso.
Anche se non valgono niente le dichiarazioni di una ventina di pentiti di Cosa Nostra. Anche se è ormai carta straccia quello che ha dichiarato nemmeno tre anni fa il killer Gaspare Spatuzza sul «paesano» Dell´Utri e il suo amico Berlusconi sulle stragi in Continente organizzate dai Graviano di Brancaccio.
Tutto destinato all´archivio. Tutto inghiottito dalla scienza del diritto. Per i potenti, in Italia, funziona sempre così. Per tutti gli altri no.

La Repubblica 10.03.12