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Lungo la via Emilia finisce il mito del “piccolo è bello”, di Paolo Baroni

Le bandiere rosse della Fiom e quelle bianco-verdi della Fim issate su tutta la recinzione si notano subito lungo la provinciale che porta a Sassuolo. Davanti alla Terim di Baggiovara ogni giorno gli operai presidiano gli ingressi allo stabilimento, perché la fabbrica è ferma e vogliono evitare che stampi, brevetti e macchinari vengano portati via. «Siamo qui tutti i giorni, facciamo i turni. In pratica è come se lavorassimo, ma nessun ci paga per questo. Lo facciamo per difendere i nostri posti» raccontano gli operari.

Dal 17 febbraio, dopo 43 mesi di crisi e sei differenti «e inutili» piani industriali, le banche hanno chiuso i rubinetti e la Terim (uno dei principali produttori europei di forni da incasso e cucine per conto di Bosch, Whirlpool ed Electrolux, 400 occupati tra Modena e Rubiera, ed un centinaio di milioni di euro di fatturato) ha fermato la produzione. La proprietà ora punta al concordato preventivo, mentre all’orizzonte si profila un nuovo socio. Intanto, da dieci giorni, i 200 di Baggiovara hanno ottenuto la cassa in deroga per due mesi, mentre i 200 Rubiera sono in cigs per un altro anno. Nell’attesa, a piccoli gruppi, si alternano davanti ai cancelli. Preoccupati, ma non certo disillusi. «Siamo pronti a tutto pur di salvare questa azienda, anche noi siamo creditori. Però chiediamo un piano industriale credibile, continuità produttiva e la tutela di tutti i posti di lavoro», scandisce Francesco Santoro, uno dei tre delegati della Rsu.

Quella della Terim è solo l’ultima delle crisi esplose nel cuore dell’Emilia industriale. A Modena, dove la disoccupazione reale viaggia verso il 9%, i dati «sono pesantissimi» racconta Vanni Ficcarelli della Cgil provinciale. «Sono 160 le imprese che consideriamo a rischio, con almeno 1500 posti in bilico». Ad essere colpiti sono tutti i settori tradizionali della manifattura regionale: meccanica, chimica, ceramica e cartotecnica.

A Reggio la crisi ha già bruciato 7-8000 posti di lavoro. Ha azzoppato decine di piccole e medie imprese, ha colpito duro sulla meccanica, che qui rappresenta il 50% dell’industria, ed ha ucciso l’edilizia. I primi ad essere colpiti sono stati i piccoli artigiani, che lavoravano a partita Iva e che da tempo «sono tornati a casa loro», ovvero al Sud; ma adesso stanno soffrendo anche alcuni giganti delle coop «rosse», come Orion e Coop Muratori Reggiolo.

La «nuova» crisi di Reggio, che è anche la crisi di Modena e Bologna, ovvero di quell’Emilia un tempo patria del «piccolo è bello», è iniziata a metà 2011. «Se la prima metà dell’anno scorso aveva fatto ben sperare, da sei mesi a questa parte registriamo un brusco rallentamento, che prosegue. Il portafoglio ordini delle imprese è sempre più corto e non si riesce ad avere una visibilità della domanda nel medio-lungo periodo» racconta Gaetano Maccaferri che guida la Confindustria regionale. «C’è un rimbalzo forte – conferma dalla Camera del lavoro di Reggio Emilia, Guido Mora -. Prosegue l’impiego della cassa ordinaria e anche gli altri ammortizzatori non calano. Anzi, quest’anno ci sarà certamente un aumento». A gennaio le aziende reggiane che utilizzavano cig e contratti di solidarietà sono salite da 248 a 265, con oltre 11.500 lavoratori interessati: nell’industria c’è stato un vero e proprio boom di cassa straordinaria (360.807 ore contro le 271 mila del gennaio 2011).

Tre anni di crisi hanno portato al raddoppio della disoccupazione, passata dal 3% dei bei tempi al 6%. «E’ alle corde tutta la piccola e media impresa che esporta in Europa, in Francia e Germania in particolare. C’è un grosso rallentamento», racconta il sindaco Graziano Del Rio. Che da presidente dell’Associazione dei comuni in questi giorni ha rilanciato la battaglia contro il patto di stabilità interno («una vera follia senza pari in Europa») che lega le mani ai comuni ed impedisce loro di pagare i fornitori, strozzando ancora di più l’economia. «Solo a Reggio abbiamo 70 milioni di liquidità in cassa ma al massimo ne possiamo usare 21 – racconta -. E si può immaginare cosa sarebbe poter immettere 40-50 milioni di euro nell’economia della città in questa fase tanto difficile».

A Bologna, città chein Italia conta il maggior numero di imprese per abitanti, non va meglio. Qui soffrono soprattuttoil settore moda (ultimi casi «La Perla», 400 dipendenti in bilico, e Bruno Magli, dove rischiano in 350), la meccanica, e tutto il distretto dei motori, la mitica «motorvalley», che ha già visto la Malaguti (180 occupati) cessare l’attività, la Verlicchi (telai) fallire e venire salvata in extremis con metà degli occupati e la Minarelli (gruppo Yamaha) mandare in solidarietà i suoi 400. «Su 300 imprese toccate dalla crisi 130 hanno già chiuso bruciando 5mila posti. Quelle che restano si giocano tutto nei prossimi mesi: e sono altri 6 mila posti in pericolo», racconta Maurizio Lunghi della Camera del lavoro felsinea. Il quale teme che presto le 74 mila domande di immediata disponibilità al lavoro depositate ai centri per l’impiego della Provincia possano diventare anche 100 mila.

Negli ottanta chilometri che collegano Reggio a Bologna, a cominciare dalle tante aree artigianali nate negli anni del boom ai lati della via Emilia, i cartelli «affittasi» negli ultimi tempi sono spuntati come funghi su capannoni e piccole fabbriche. Molte imprese sono sparite nel nulla, altre – si teme – faranno la stessa fine nei prossimi mesi. «È vero che a fine 2011 la cassa integrazione è scesa rispetto al 2010, ma siamo ancora sopra ai livelli del 2009, primo anno di crisi. Il problema è che ora sta esplodendo la mobilità e questo significa che molte realtà sono alla frutta», denuncia Antonio Mattioli della segreteria regionale della Cgil. A livello regionale a fine 2011 ben 3.575 avevano ottenuto la cassa ordinaria, 3.337 la cigs, altre 483 erano invece passate alla mobilità. E per quest’anno sono già più di 400 quelle che hanno fatto domanda di ammortizzatori in deroga.

«Il futuro? Certo, non mancheranno ancora riorganizzazioni, chiusure e sofferenze nel mercato del lavoro – spiega Maccaferri –. Ma per attutire il colpo le imprese hanno cercato di utilizzare tutti gli ammortizzatori sociali possibili e il “Patto contro la crisi” sottoscritto con Regione e forze sociali ha contribuito a contenere gli effetti negativi». Quanto alle prospettive, mentre settori come packaging e macchine utensili continuano ad andar bene, il presidente di Confindustria vuole essere ottimista. «Cerchiamo di cogliere i segni di miglioramento dai mercati globali, in particolare Stati Uniti, India e Brasile. Questi segnali arginano, ma non compensano, le spinte recessive che provengono dall’Europa e dal mercato interno – ammette, però -. E’ per questo che occorre uno sforzo straordinario per la crescita».

La Stampa 10.03.12