attualità, cultura, memoria

"L’antidoto all’orrore", di Tobia Zevi

Ricordare l’esperienza della Liberazione dalla schiavitù non deve trasformarsi in un rituale ripetitivo e monotono, ma deve dare luogo a una riflessione profonda, introspettiva, sull’Egitto metaforico, e anche concreto, dal quale ogni Uomo deve affrancarsi. Il ricordo serve a condizionare l’esistenza e a migliorare il futuro insieme al nostro agire individuale e collettivo.
Questo ammonimento può essere utile ragionando sulla Giornata della Memoria. Istituita nel 2000 e inaugurata l’anno successivo, questa celebrazione si è dilatata nel tempo fino ad occupare l’intero mese di gennaio. Iniziative di tutti i tipi, scuole di ogni ordine e grado mobilitate per settimane, e poi convegni, pubblicazioni, trasmissioni televisive e film. Già negli anni passati alcune voci si erano levate per mettere in discussione tutto questo, ma il recente libretto di Elena Loewenthal Contro il Giorno della Memoria (Add editore) articola le critiche in modo certo provocatorio, ma utile, sistematico e sofferto.
Tre sono le questioni fondamentali: il Giorno della Memoria si è impropriamente trasformato in un «omaggio agli ebrei»; la tragedia della Shoah non viene percepita come una componente drammatica della propria memoria ma come una vicenda altrui che merita attenzione; l’enorme quantità di manifestazioni attorno alla Giornata può essere addirittura controproducente. L’identità ebraica è sovente confusa con la storia della Shoah. Una dinamica plurimillenaria, fatta certo di terribili persecuzioni ma anche di straordinari esempi di cultura, progresso, coraggio e continuità di un popolo, viene invece ridotta al momento terribile della sua distruzione. Gli ebrei sono rinchiusi con la loro tradizione in questa pagina nera della Storia quando invece per dirla con la Loewenthal alla Shoah gli ebrei forniscono i morti, ma i protagonisti sono altri. Anche il sionismo, movimento politico-culturale nato in Europa alla fine dell’Ottocento, sulla scorta dei vari risorgimenti romantici e nazionali, viene declassato a conseguenza indiretta e inconsapevole della Shoah. Noi ebrei non solo i sopravvissuti, tutti quanti siamo interpellati continuamente per raccontare la «nostra» Shoah, mentre Primo Levi spiegava che i sopravvissuti non possono raccontare l’orrore dei sommersi. Figuriamoci chi non c’era o non era ancora nato! E infatti in Israele la Shoah è evocata con un minuto immoto e silenzioso, rotto solo dal suono insistente di una sirena.
Questo malinteso ha come conseguenza che la storia dello sterminio degli ebrei, dei rom, degli omosessuali e degli handicappati sia percepita come una storia delle vittime, e non dei carnefici e degli indifferenti, cioè coloro che resero materialmente e moralmente possibile la più grande tragedia della storia umana. La Memoria della Shoah appartiene agli ebrei, le vittime, e non all’Europa, che, stuprando la sua cultura ricchissima e millenaria, si è trasformata in un cimitero a cielo aperto. Con un esito paradossale: la Memoria che, ascoltando i latini, dovrebbe essere magistravitae, non ci rende più vigili e accorti di fronte alle odierne manifestazioni di intolleranza, che purtroppo continuano a proliferare: basti pensare a quanto accade in Ungheria, ai teatri pieni di Dieudonné o anche agli insulti nei confronti della Ministra Cécile Kyenge.
Infine, la domanda fondamentale. La Giornata della Memoria ha accresciuto la consapevolezza del passato, in particolare quella dei giovani? Se ci soffermiamo sull’incredibile sequenza di risposte fornite dai concorrenti de L’eredità a Carlo Conti, dovremmo tristemente affermare il contrario. E altrettanto raccontano i dati delle ultime indagini in proposito. Probabilmente si tratta di un’immagine troppo negativa, e non bisogna disconoscere l’impegno straordinario dei testimoni e di moltissimi insegnanti, pur privi di un «calendario civile» in cui contestualizzare la Giornata.
Il lavoro nei luoghi di apprendimento è fondamentale e non c’è alternativa allo studio rigoroso della storia, così come è evidente che la conoscenza diretta dei sopravvissuti alla Shoah ed esperienze come i viaggi della Memoria possono stimolare la sete di conoscenza. Ma occorre non dare nulla per scontato. E non possono essere sottaciuti gli «effetti-paradosso» della Memoria: la diffusione sul web e nella pubblicistica di un antisemitismo travestito da critica all’«industria della Shoah»; l’aumento dell’ostilità nei confronti di Israele; il proliferare di una sub-cultura negazionista propalata come verità della minoranza.

L’Unità 26.01.14