A ventidue anni Enrico Berlinguer viene arrestato a Sassari per aver partecipato a una protesta contro il carovita e contro Badoglio. È il 17 gennaio del 1944, un inverno di fame nera.
Nell’Italia divisa in due – il centro Nord occupato dai
tedeschi e il Mezzogiorno liberato dagli angloamericani – la Sardegna resta come separata, priva di alcun approvvigionamento. A pagarne il prezzo sono le classi più povere, guidate nella sommossa dal segretario della sezione giovanile comunista. Prossimo alla laurea in Legge, Enrico proviene da una famiglia di solida borghesia professionale, con una radice di piccola nobiltà agraria: il padre Mario era stato deputato antifascista nel 1924 e ora è uno dei leader del partito d’azione. Il più moderato genitore non approva la “rivolta del pane”, liquidata come manifestazione di “estremismo infantile”. Ma questo non gli impedisce di stare al fianco di quel suo figlio molto amato, affannandosi perché il caso venga chiuso al più presto.
Enrico trascorrerà nel carcere di San Sebastiano cento giorni, per ciascun giorno un piccolo segno sul muro della cella. Cento giorni di letture intense, documentati da un corpus di 32 lettere che Walter Veltroni ha avuto dalla famiglia e che rende pubbliche per la prima volta nel suo nuovo libro Quando c’era Berlinguer . Le missive, che qui in parte riproduciamo, lumeggiano una formazione intellettuale molto varia – non solo Marx ed Engels ma anche Tocqueville, Croce, Voltaire, Locke, Liszt, Poe tradotto da Baudelaire – e un carattere naturalmente sobrio. «Non mandate troppo da mangiare», «non drammatizzate la mia situazione»: l’intento, con i famigliari, è sempre quello di spegnere ogni enfasi. Se c’è freddo, Enrico non lo sente. Patisce le privazioni ma è «sereno d’animo». Soprattutto vuole ottenere la libertà «senza umiliazioni e conservando la dignità», «né ridicolo né vile» («non voglio farmi passare per vittima»). Su tutte le passioni prevale la vocazione politica, per la quale ricorre alla inusuale formula di “comunista-anarchico”. Nella primavera del 1944, in un modificato clima politico, arriva il proscioglimento in istruttoria per non aver commesso il fatto. Dopo cento giorni, finalmente la libertà. E il definitivo passaggio alla vita adulta.
CARISSIMI , sto sempre bene. Non drammatizzate la mia situazione e non accoratevi troppo. Si capisce bene che il carcere non è il paradiso, ma io sento di poterlo sopportare e superare con fermezza e serenità di spirito.
La maggior parte delle mie giornate trascorre in letture e soprattutto studio («Capitale», inglese, ecc.); talvolta mi prende un certo desiderio per la libertà, ma si tratta di qualcosa di nostalgico e di pacato che non procura dolore morale alcuno: anzi, talvolta, dopo 2, 3, 4 ore di lettura mi dà come un senso di riposo. Sono sempre quindi bene in salute e tranquillissimo d’animo. Ho letto con piacere notizie e giornali di Bari. Discorreremo dei particolari a voce e speriamo che in quel tempo l’eco del congresso non sia ancora spenta.
Per l’interrogatorio va bene; però, per quanto riguarda le riprovazioni da me rivolte agli accusatori, ho qualche dubbio per il fatto che mancherebbero assolutamente le prove; anzi ti confesso che alcuni non li ricordo neppure di vista o quasi. E ora i «bisogni». I pasti che mi state propalando vanno in genere bene, come quantità e qualità. Mandate però meno vino: ricordatevi che il thermos deve essere pieno, se no il the si raffredda. Biancheria per ora nulla. Libri ne ho e non me ne occorrono altri. Se la prigionia si prolungherà, bisognerà che mi mandiate in seguito i libri di studio per gli esami che vi indicherò. Se possibile (ma non credo) vorrei poter finire il mio lavoro sul comunismo. Ma se non si può, non mandate di nascosto perché mi sarebbe impossibile lavorare in tal modo.
Mandate sempre «L’Isola» (quotidiano di Sassari, ndr), anche arretrata (dal 30/1 compreso) e notizie. Baci.
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Carissimo, la tua linea di condotta trova la mia piena approvazione. Non voglio che la libertà mi sia restituita come elemosina, e dopo un mese di prigionia. Spero che anche i miei compagni siano d’accordo. Ti potevi limitare – come hai fatto – a sollecitare l’istruttoria e chiedere che sia giusta. In fondo, star qui ancora una o due settimane (sebbene io creda si tratti di più) non mi dà per niente il sentimento di essere eroico. Coloro che associano il proprio destino a quello di un partito avanzato devono essere pronti a passare in prigione un certo periodo di tempo. È una cosa normalissima e non voglio che
si facciano grandi montature. Sarebbe ridicolo. Mi fa piacere che il Partito italiano d’Azione sia d’accordo con noi. […]
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Carissimi, oggi (21, trentaseiesimo «jour de la lutte pour ma liberation»), ho finalmente ricevuto i libri che mi saranno utilissimi. Non capisco quali difficoltà procedurali ci fossero, questa volta. Nonostante il seccante (intenzionale?) ritardo del giudice, godo sempre di buon umore. In certi momenti, non fissabili cronologicamente, sento naturalmente un vivissimo anelito alla libertà; ma, come vi ho già detto altra volta, si tratta di un sentimento sereno, pacato, consolante. Talvolta poi mi sorprendo a pensare che, considerata sotto «certi» aspetti, in «particolari » circostanze, la vita carceraria ha i suoi vantaggi per me. Ma ho deciso che fra 2 o 3 giorni vi (o mi?) scriverò una lunghissima lettera con riflessioni sulle «Mie prigioni». Ho già in serbo 6 o 7 pensieri profondi, e uno profondissimo (modestia a parte). In questi giorni ho imparato a memoria in inglese il celebre monologo di Amleto, non perché la mia situazione psicologica abbia affinità con quella di Hamlet, ma perché il brano è veramente sublime. In 33 versi sta il dramma – perfettamente definito in sé – di ogni uomo. È eterno.
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Carissimo papà, ho ricevuto lettere tue, di Pintus (Cesare, dirigente della sezione comunista, ndr) e di Giovanni. […] Giovanni poi mi prospetta un dubbio filosofico, in un modo invero assai strano. Infatti, egli crede che alcune parole ben congegnate possano costruire o demolire delle teorie filosofiche. Ad ogni modo gli risponderò, perché mi dà sempre un certo fastidio vedere dei materialisti (il materialismo è la teoria più ingenua che esista) e perché credo di possedere buoni argomenti. Il positivismo di Sergio poi mi sorprende; ma penso che in terza liceo ero anch’io positivista, ma in fondo penso che di tutte queste cose potremo meglio discutere a voce. Forse le lettere di Giovanni, Sergio e le altre semi-filosofiche di altri parenti non sono che un espediente per costringermi a esaurire in brevi lettere le discussioni e far sì che poi non se ne discuta fuori a voce. Riguardo ai libri (senza entrare in una discussione anche su questo: come vedi, sto evitando un gran numero di discussioni), ho ancora da leggere vari libri «cerebrali». Qui ci danno circa 2 libri alla settimana, ma sono in genere molto stupidi e più pesanti quindi degli intelligenti. I libri «cerebrali » non mi stancano, ma la notte dopo cena preferisco leggere qualcos’altro. Quindi accetto praticamente il tuo consiglio. Scegli tu libri da mandare: li desidererei in francese (per esempio Listz, Danton ecc…) e anche qualche bel romanzo. Inoltre, vedi se potete trovare il piccolo dizionario inglese-italiano (credo che si trovi nell’ultimo scaffale della libreria). Se non trovate il piccolo, «non» mandate il grande, almeno fino a che non avrò il permesso di scrivere gli appunti.
E per oggi (cinquantatreesimo giorno) basta. Sto sempre bene.
Baci. Enrico.
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Cara zia Carmelia, ti ringrazio delle due cartoline, stranamente prive di consigli di prudenza e di «dicono». Non ti meravigliare se Dio non esaudisce i tuoi voti. In generale, non esaudisce neppure quelli del Papa, che pare sia suo intimo. La Provvidenza persegue le sue vie e i suoi mezzi sono a noi inscrutabili.
«L’unica cosa che noi possiamo sapere – diceva un filosofo, uno di quei veri filosofi che avevano la barba lunga – è che noi non sappiamo nulla. E neanche di questo possiamo essere certi». Come vedi, fare il filosofo giova poco, e conviene meglio darsi all’ippica. Eppure, certe cose le possono sapere soltanto i filosofi.
Saluti e baci. Enrico
La Repubblica 05.05.14