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"Rappresentanza sindacale,il Pd accelera in Parlamento", di Laura Matteucci

La risposta della Cisl non s’è fatta attendere: «La proposta della Cgil su democrazia e rappresentanza sembra più mirata alla soluzione di un problema interno di organizzazione che a trovare una base proficua per un accordo interconfederale, di cui la Cisl conferma la opportunità ed urgenza». Chiude così la segreteria della confederazione guidata da Raffaele Bonanni dopo la lettera della Cgil inviata ieri a Cisl e Uil, con cui si chiedeva di intervenire sulla proposta di riforma della rappresentanza sindacale approvata al direttivo di sabato. Ma intanto anche la politica tenta l’accelerazione. Il pd sta lavorando in Senato per unificare le sue proposte in materia, quella che ha come primo firmatario Paolo Nerozzi e quella di Pietro Ichino, e già settimana prossima potrebbe presentare il documento definitivo di sintesi. Ricomporre le fratture esplose con la vicenda Fiat e con un accordo Mirafiori che, a bocce ferme, lascia fuori dalla fabbrica la Fiom Cgil, ovvero uno dei sindacati più rappresentativi, diventa urgente. Tanto più che, alla richiesta della Fiom di riaprire la trattativa dopo un referendum che di fatto spacca il Lingotto in due, Fim e Uilm non sembra intendano dare seguito. Come dice Cesare Damiano, parlamentare pd nonchè promotore di una legge depositata alla Camera nel febbraio 2009, «la politica deve aiutare una definizione delle regole tra le parti sociali». Il messaggio per il pd è chiaro: «Apra un cantiere che unifichi le proposte – dice Damiano -ne definisca una di sintesi che recepisca anche i contenuti del documento unitario Cgil, Cisl e Uil del 2008, di cui sia Bersani il primo firmatario». Anche Nerozzi, ex Cgil, spinge per un intervento politico: «Una legge di sostegno e di inquadramento ci deve essere – dice – Ma non tutti la pensano così: molti vorrebbero che di rappresentanza e rappresentatività se ne occupasse solo il sindacato».

SOGLIE La proposta Damiano non è poi molto dissimile dall’altra depositata alla Camera già nel 2008 a nome Bellanova, e analoga anche a quella approvata dalla Cgil: soglia di sbarramento al 5% minimo per la presentazione delle liste nei luoghi di lavoro, possibilità di promuovere referendum tra i lavoratori (la proposta Cgil prevede anche la richiesta di verifica di mandato a concludere la trattativa), soglia del 51%di rappresentatività per la validità dei contratti, calcolato tra il dato associativo (gli iscritti) e il dato elettorale, o soglia del 60% se si calcola solo il dato elettorale. In questo caso, se i sindacati firmatari di un accordo raggiungono almeno il 51%, non è previsto obbligatoriamente un referendum. Il meccanismo è lo stesso che regola per legge il pubblico impiego. Inoltre, la proposta disciplina in materia di consultazione dei lavoratori, le cui regole devono essere definite entro sei mesi, a meno di non voler far intervenire d’ufficio, con decreto, il ministro del Lavoro. La proposta Nerozzi al Senato ricalca quella Damiano, ed è depositata insieme a quella di Ichino, che tra i co-firmatari registra anche i senatori Bonino, Chiti, Morando, Marino per citarne alcuni, e che si rifà in tema di rappresentanza allo Statuto dei lavoratori del 1970: la possibilità di rappresentanza viene data alle organizzazioni in proporzione ai consensi ottenuti nelle elezioni periodiche. Quanto alle modalità di elezioni, ogni sindacato sarebbe libero di decidere come meglio crede. Sempre al Senato, dal novembre del 2010 c’è poi un’altra proposta, stavolta firmata da Giuliana Carlino, la capogruppo dell’Italia dei Valori alla commissione lavori. E recepisce in sostanza la proposta fatta dalla Fiom: c’è anche in questo caso una soglia minima al 5% per considerare rappresentativo un sindacato, e l’indicazione di sottoporre a referendum qualsiasi accordo siglato tra sindacato e aziende. Un fatto è certo: se una qualsiasi di queste proposte fosse legge, la Fiom non sarebbe fuori da Mirafiori, nessuna prevede di estromettere un sindacato già dichiarato rappresentativo solo perchè non firmatario di un accordo con l’azienda. «Poichè l’accordo Fiat apre una ferita – riprende Damiano – si tratta di ripristinare il diritto per tutti i sindacati di restare nel luogo di lavoro, anche se non firmatari e purchè abbiano almeno il 5%». Un fiorire di documenti che ha pure un corollario: le proposte pd, sempre alla Camera, in materia di partecipazione, di elezione e modalità di lavoro del comitato di sorveglianza all’interno delle aziende.

L’Unità 18.01.11