attualità, politica italiana

"Federalismo, il governo dà sette giorni: ma non basta", di Raffaella Cascioli

Concessa solo una mini-proroga, insuffi ciente per Pd e Terzo polo
Lega come Giano bifronte per cambiare tutto o per non cambiare niente. Con il volto dialogante del ministro Calderoli che ottiene in consiglio dei ministri una proroga di una settimana per l’approvazione del decreto attuativo sulla fiscalità comunale. O con l’inossidabile celodurismo di Umberto Bossi che, a quanti ieri gli chiedevano se era possibile un rinvio di 6 mesi per il varo complessivo del federalismo, rispondeva con una pernacchia.
Preoccupa la latitanza del vero deus ex machina della devolution, quel Giulio Tremonti che invece di concedere autonomia fiscale ai comuni continua ad accentrare ammazzando il federalismo e facendo esplodere la finanza derivata.
All’indomani della tenaglia stretta intorno al federalismo da Pd e Terzo polo – che hanno chiesto più tempo non solo per la delega ma anche per il decreto sulla fiscalità comunale, profondamente modificato dall’esecutivo nel corso di una notte e definito inaccettabile da opposizioni e comuni – è la Lega a prendere tempo. Con un rinvio di una settimana che dovrebbe, a parere del Carroccio, sciogliere i nodi di un decreto attuativo criticato da più parti, a cominciare dai sindaci (leghisti inclusi). «La verità – spiega Marco Stradiotto, senatore Pd e membro della bicameralina – è che questo è un federalismo pasticciato che va bene solo a quanti non vogliono che cambi nulla». Con uno slittamento dei tempi al 2 febbraio e in assenza, ancora ieri e con ogni probabilità fino a martedì, della relazione tecnica il decreto sulla fiscalità comunale stenta a uscire dal pantano nel quale lo stesso Calderoli sembra averlo condotto. Tanto più che, stando così le cose, Pd e Terzo polo continuano a insistere sulla necessità di radicali modifiche del provvedimento pena un voto contrario che, visti i mutati rapporti di forza in bicameralina, si tradurrebbe in un parere negativo del parlamento. Fin qui il metodo, ma è sul merito che poi lo scontro è feroce visto che nell’ansia di intestarsi la bandiera del federalismo i leghisti e il governo hanno prodotto un testo quantomeno pasticciato che, soprattutto, rischia di fare danni sia alle casse dei comuni che ai portafogli dei contribuenti.
Nella partita a scacchi che, in queste ore, Lega (più che l’insieme della maggioranza) e opposizioni stanno giocando è determinante sia la forma che il contenuto. La forma è che ieri Calderoli (che ha condiviso le proposte dell’Anci) ha ricordato che, nonostante lo slittamento, i tempi di approvazione sono certi e che lo schema di decreto «è stato sufficientemente approfondito in Conferenza unificata, in Bicamerale e nelle commissioni competenti». Calderoli ha omesso di dire che il decreto è profondamente cambiato e che lo studio dell’impatto delle nuove norme su comuni e contribuenti non è ancora nelle mani dei parlamentari. Al punto che l’Anci all’unanimità ha chiesto che il nuovo testo torni in conferenza unificata, mentre il presidente dell’Associazione dei comuni Chiamparino ha lasciato intendere che con un altro governo sarebbe possibile per la Lega incassare il federalismo. E se il Pd con Marco Causi, vicepresidente della Bicameralina, parla di modifiche sostanziali a patto che il governo «dimostri finalmente la volontà di confrontarsi con le proposte del Pd e delle altre opposizioni», anche il Terzo polo ha rilanciato la palla nell’area avversaria. «Così com’è – ha detto il leader dell’Udc Casini – è improponibile e in queste condizioni noi voteremo no. E non servirà una settimana in più o in meno». Una settimana è poca cosa ma potrebbe anche essere sufficiente a una radicale inversione di rotta del provvedimento: di questo ne sono certi i parlamentari del Pd ma anche i rappresentanti del Terzo polo in bicameralina_ Linda Lanzillotta (Api), Mario Baldassarri (Fli) e Gianluca Galletti (Udc). La scelta è politica è spetta al governo operarla, tanto più che, ha precisato Baldassarri, la situazione è gattopardesca e se passasse la riforma i comuni si troverebbero a dipendere molto più di adesso dalle risorse derivate: «Con una battuta si può dire che il titolo del provvedimento dovrebbe essere “Accentramento statalista delle risorse”».
E se per la Lanzillotta questo decreto non raddrizza l’albero della finanza pubblica, come raccontato da Tremonti, ma anzi finisce per storcerlo del tutto, Galletti ha avvertito che «se la Lega pensa di ricattarci con lo spettro del voto sbaglia di grosso: il nostro no è di merito, perché con questa riforma si rischia di far pagare più tasse ai cittadini». E il perché è presto detto: serve una compartecipazione dei comuni all’Iva e non all’Irpef, occorre un tetto all’aumento della pressione fiscale e tariffaria, una modifica della tassa di soggiorno da modulare sulle stanze e non sulle persone, un range massimo per l’Imu che non superi il 7%. Mentre sulla cedolare secca sugli affitti, al momento non coperta, occorre fissare al 20 e al 15%, si può coprire la perdita di gettito anticipando i tagli previsti dalla P.A. per l’acquisto di beni e servizi.
La partita ricomincerà la prossima settimana quando il Terzo polo presenterà un emendamento al milleproroghe per far slittare di sei mesi il termine ultimo della legge delega che scade a metà maggio. E su questo, nonostante il niet di Bossi disposto a uno slittamento limitato rispetto all’aut-aut del 26, il presidente del senato Schifani è apparso più accomodante: «Se serve un rinvio, di qualche giorno o di qualche mese, non sta a me dirlo, ma se il rinvio deve servire affinché larghe maggioranze arrivino ben venga un rinvio». Tremonti è avvertito.

da Europa Quotidiano 22.01.11