politica italiana

"Linguaggio grillino e Robespierre", di Massimo Adinolfi

Chi se la sente di proporre, nella prima seduta parlamentare utile del nuovo Parlalmento, un unico articolo in base al quale i membri in carica dell’Assemblea non possano essere rieletti nella successiva legislatura? Se mai ci fosse qualcuno che depositasse un simile disegno di legge, e tra i grillini uno lo si potrebbe scovare, il Parlamento italiano si caccerebbe in una situazione analoga a quella in cui si trovò l’Assemblea Nazionale, in Francia, un bel giorno del mese di maggio del 1791. Allora il progetto fu approvato, in mezzo ad entusiasmi e vivissimi applausi: cosa accadrebbe oggi non so. Anzi: non oso saperlo, perché il clima in cui cadrebbe non penso affatto che sarebbe pregiudizialmente ostile ad una simile proposta (controllo costituzionale a parte).
Il Movimento 5 stelle, per ora, si limita a chiedere che le legislature per ciascun parlamentare siano al massimo due, ma non trovo ragioni per cui non ci si dovrebbe piuttosto limitare ad una. A meno che, certo, non si considerino esperienza, continuità, solidità politica ed istituzionale come beni da salvaguardare. Ma tutto mi pare che i grillini apprezzino, meno che la permanenza in carica, o la stabilità e la durata della rappresentanza parlamentare. Perciò non mi meraviglierebbe l’adozione della stessa strategia che ispirò i passi di quel giovane avvocato di provincia che per primo ebbe, in quel tempo lontano, la brillante idea: Maximilien de Robespierre, l’Incorruttibile.
Gli storici sono abbastanza concordi nello spiegare i motivi che lo spinsero a presentare la proposta, guadagnandosi la guida dei democratici in seno all’Assemblea: con l’ineleggibilità dei membri in carica, Robespierre infragilì i processi politici e costituzionali, decapitò la classe dirigente dell’epoca e ne promosse un rinnovamento totale, guadagnò il favore popolare e acquistò fama di inflessibile censore. Non male, con un colpo solo.
Ora, ben lungi da me l’idea di fare paragoni impropri. Non voglio nemmeno riportare qui gli argomenti che Robespierre impiegò per convincere l’Assemblea, così singolarmente consonanti con quelli che si spendono oggi. E comunque voglio tranquillizzare tutti: quel Robespierre là non era ancora il Robespierre del Comitato di Salute pubblica e del Grande Terrore. Suppongo anzi che neppure lui sapesse quale corso gli eventi avrebbero preso. Il fatto è che però non riesco a convincermi che sia privo di senso riflettere non sulle intenzioni dei singoli (che sono sempre le più democratiche del mondo), ma sulla forza delle parole, la persistenza degli argomenti, e persino sulle conseguenze degli stili politici. Quando ad esempio ci si domanda se il Movimento Cinque Stelle possa mai dare un «appoggio esterno» a un «governo di minoranza», si può trascurare il fatto, mi domando, che espressioni come «appoggio esterno» e «governo di minoranza» non hanno mai potuto trovare né mai potranno trovare in futuro ospitalità nel blog di Beppe Grillo? Cosa accade se linguaggio, categorie, liturgie parla-
mentari e costituzionali perdono improvvisamente i loro nomi? Se ne troveranno altri, come no. Ma in quale cultura politica andremo a pescarli, quando la stessa espressione, «cultura politica», riesce del tutto indigeribile, polverosa, desueta?
Nel maggio del 1791 il corso della rivoluzione francese non era ancora tracciato. Molte cose dovevano ancora accadere, all’interno e all’esterno dei confini nazionali. E gli storici discutono accanitamente se non furono fatti degli errori, che favorirono la radicalizzazione giacobina (e, attenzione, il contraccolpo della successiva restaurazione termidoriana). Di nuovo, però: si prenda l’esempio per ciò di cui è esempio. E lo si utilizzi solo per formulare una domanda: riusciranno le istituzioni e la prassi parlamentare – le consultazioni, le votazioni, le mediazioni, le commissioni – ad inalveare il linguaggio grillino, riconducendolo entro i limiti di un’accettabile dialettica politica, oppure la primazia accordata alla rotazione degli incarichi del «cittadino deputato» (anche Robespierre aveva la fissa degli incarichi temporanei), il primato della diretta web e la religione dell’immediatezza travolgeranno ogni altra cosa? Hegel la chiamò «furia del dileguare»; il filosofema che usa Grillo è invece lo sputtanamento, ma si tratta ahimè della stessa cosa.
E non è una buona cosa. Soprattutto se poi tutta questa enfasi su democrazia e partecipazione si dovesse risolvere non nel sapere come si comporterà in Aula la rappresentanza Cinque Stelle, ma cosa mai diranno Beppe Grillo e Roberto Casaleggio. I quali, per l’intanto, serrano le file ammonendo tutti gli eletti di quali siano i vincoli statutari del Movimento. Proprio come l’avvocato di Arras, per il quale il mandato parlamentare doveva essere ferreamente vincolato e soggetto alla costante vigilanza popolare. Ora che c’è la Rete, Robespierre, lui, sarebbe lieto di scoprire che si può fare. (Io, un po’ meno).

da l’Unità

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