attualità, politica italiana

Scajola pensa alle dimissioni

«Portai gli assegni circolari direttamente al ministero, dove si doveva stipulare l’atto». Non ha vuoti di memoria l’architetto Angelo Zampolini su quel giorno di luglio 2004, quando la proprietà dell’appartamento romano di via del Fagutale n°2 passava dalle mani delle sorelle Papa a quelle del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola. E, com’è noto, per il rogito non possono mancare i soggetti coinvolti. «Ricordo – dice l’architetto – che erano presenti il ministro, le due venditrici e il notaio. Consegnai i titoli direttamente al ministro». Si trattava di assegni per un valore di 900 mila euro.

La testimonianza di Zampolini aderisce al racconto delle due sorelle Papa, Beatrice e Barbara. Le proprietarie dell’appartamento, infatti, hanno detto per tre volte agli inquirenti che «quegli assegni sono stati consegnati dal ministro Scajola». Titoli che le due sorelle si sono divise equamente, 40 a testa, e che, una volta depositati in banca, hanno attirato l’attenzione, sembrando i figli di operazioni sospette. All’incontro, le due proprietarie sono lusingate dall’acquirente e non si mettono a discutere di modi o tempi del pagamento. Dal ministro, ricevono un acconto 200 mila euro in contanti che si dividono a metà.

La prima a essere ascoltata dagli investigatori, il 23 marzo, è stata Beatrice. «Riconosco i 40 assegni circolari emessi dalla Deutsche Bank il 6 luglio 2004 – ha detto – mi sono stati consegnati dal ministro Scajola che ha acquistato la nostra casa di famiglia per 1 milione e 700 mila euro. Fu il ministro, davanti al notaio Napoleone, a consegnarmeli, mentre la restante parte mi è stata data in contanti». Una cifra, questa di 1.700.000 euro, che non corrisponde a quella dichiarata da Scajola: i 610 mila euro che compaiono anche nel documento notarile. Infatti, le vecchie proprietarie aggiungono che «nell’atto non figura questo passaggio perché ci eravamo accordati per denunciare solo 600 mila euro». Inoltre, secondo le Papa, l’incontro si è svolto «in via della Mercede in una sala riunioni, nella disponibilità del ministro» e c’era anche «il direttore dello sportello B della Deutsche Bank».

Un altro dato del racconto di Zampolini che sembra coincidere con gli atti in mano degli inquirenti riguarda la provenienza dei soldi serviti per avere in cambio gli assegni circolari. «Io li ho ricevuti da un cittadino tunisino che collaborava con Anemone – ha detto l’architetto – ma non saprei come rintracciarlo». I carabinieri del Ros, però, lo avevano già trovato: si tratta di Laid Ben Fathi Hidri, l’autista di Angelo Balducci. Il tunisino, infatti, ha dichiarato ai magistrati di avere avuto più volte il compito di prendere soldi liquidi e di portarli a Zampolini. Erano “buste dal contenuto sconosciuto” destinate «a vari soggetti, alcuni anche ministri», ha detto Fathi Hidri.

Secondo la versione di Zampolini, Anemone lo «incaricò di trovare un appartamento per Scajola». Vicenda di cui “era informato anche Angelo Balducci. Inizialmente visionammo un altro immobile nella zona del Gianicolo, ma il ministro mi spiegò che non gli piaceva e così gli proposi quello al Colosseo che poi effettivamente venne acquistato. La procedura fu quella seguita solitamente: versai sul mio conto corrente i soldi messi a disposizione da Anemone e poi provvidi a prelevarli sotto forma di assegni circolari».

Intanto il costruttore Diego Anemone ha fatto sapere, tramite i suoi legali, di non avere mai dato il denaro a Zampolini. Domenica prossima, Anemone uscirà dal carcere e, dice il suo avvocato, «chiarirà tutto».
L’Unità 04.05.10

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“Pd: Scajola in aula. Lui cede…”, di Andrea Carugati

Sarà pure un processo per ora solo «mediatico», come dice il furioso Scajola, ma la storia della casa con vista sul Colosseo sta montando. E non sono solo le opposizioni, come è naturale, a incalzare il ministro. Anche nello “spazio azzurro” del sito del Pdl non mancano gli elettori che chiedono a “Silvio” di mandare via Scajola, con sfoghi tipo «Scajola a casa, non ne possiamo più di dubbi» (Arturo Negri), «è ora di fare pulizia», «Dimissioni immediate, dopo Bertolaso non si possono accettare nuove posizioni equivoche» (Paolo Barbieri). Insomma. l’odore di Casta che emana da questa vicenda, anche al di là delle eventuali responsabilità penali, sta indignando una vasta opinione pubblica.

E anche nelle file della maggioranza, mentre i solidali come Frattini e La Russa appaiono sempre più afoni, non manca chi, come il finiano Fabio Granata, arriva a chiedere a Scajola un «passo indietro per il bene del Paese» di fronte ad «accuse circostanziate che negano l’esistenza di una persecuzione giudiziaria». Sull’ipotesi di una mozione di sfiducia, dice Granata: «Per fortuna non è all’ordine del giorno…». Anche Beppe Pisanu non sembra entusiasta. Dimissioni? «Sono valutazioni rimesse a lui che è a conoscenza dei fatti veri».

«Scajola è stato preso col sorcio in bocca e deve andarsene», dice Di Pietro. L’Idv ha annunciato una mozione di sfiducia e ha scritto una lettera a tutti i parlamentari delle opposizioni chiedendo di aderire. «Dobbiamo mostrare unità e fermezza nel difendere i principi della legalità e dell’etica politica». «Ci auguriamo che le altre forze politiche non si tirino indietro, serve un’assunzione di responsabilità», spiega il leader Idv. Per portare al voto la mozione alla Camera, infatti, servono almeno 63 firme, e l’Idv da sola non le ha.

Il Pd incassa la disponibilità di Scajola a riferire in Parlamento dopo aver parlato con i pm, dopo che il ministro per giorni aveva fatto muro. Una retromarcia che i democratici attribuiscono al loro pressing di questi giorni. Poco prima che Scajola annunciasse la sua disponibilità, infatti, i capigruppo Franceschini e Finocchiaro avevano firmato una nota in cui spiegavano che di fronte ad una «reiterata indisponibilità» del ministro a riferire in aula, avrebbero adottato «ogni necessaria iniziativa parlamentare». Tradotto: una mozione di sfiducia, caldeggiata da Bersani, mentre Franceschini è parso più cauto. «Si fissi subito la data dell’audizione di Scajola in Parlamento», replicano i due capigruppo dopo aver appreso del via libera di Scajola. Insomma, la mozione resta in stand by, ma solo se la data dell’audizione sarà fissata a metà maggio, dopo che il ministro sarà sentito dai Pm. In caso di uno slittamento, allora scatterà la mozione di sfiducia condivisa con l’Idv.

In casa Pd si teme che la mozione possa avere l’effetto boomerang di ricompattare una maggioranza divisa. Ma si tiene anche conto della mossa dell’Idv che punta a giocare, come sempre, il ruolo dell’opposizione più intransigente. Oggi Franceschini vedrà una delegazione dell’Idv per concordare, nei limiti del possibile, la strategia parlamentare. Il Pd vorrebbe aspettare l’audizione del ministro prima di presentare la mozione, mentre i dipietristi non hanno dubbi: «A noi interessa poco l’autodifesa di Scajola in Parlamento», dice Donadi. «Ci sono testimonianze plurime e riscontri documentali,per noi la sfiducia è l’unica strada». Sarà competition con il Pd? «Ci sarebbe piaciuto muoverci dall’inizio uniti, ma loro hanno deciso di ascoltare Scajola in aula…e una mozione ha senso se è condivisa». Difficile che l’Udc aderisca alla mozione. Ma ieri anche Casini si è esposto: «Consiglio a Scajola di venire in Parlamento per un chiarimento…».

L’Unità 04.05.10

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Ministro isolato anche dai suoi
È in volo verso Tunisi, il ministro Claudio Scajola, mentre da terra rulla in crescendo il tamburo delle dimissioni. E persino Berlusconi, che pure al mattino lo aveva chiamato per rassicurarlo, comincia a pensare a un «piano B»: passo indietro dell’ex dc e scelta di un altro uomo di fuducia al suo posto. Ironia della sorte, la via di fuga, per qualche ora, a Scajola la offrono proprio gli impegni di governo, che nel lunedì di bufera portano il ministro dello Sviluppo Economico in Tunisia, a perfezionare un accordo per l’elettrodotto che dovrà collegare la Tunisia all’Italia. «Ha incontri già fissati con i ministri tunisini, difficile che si dimetta mentre è lì a rappresentare il governo», si aggrappano alla diplomazia i suoi più stretti collaboratori, cercando di strappare ancora qualche ora, mentre il ministro è a bordo del velivolo, partito ieri pomeriggio dall’amato piccolo aeroporto di Albenga.

Quello che, grazie ai fondi (975mila euro) fatti arrivare dal ligure Scajola, ha ripristinato il volo Albenga-Fiumicino, che da un decennio vive di vicende alterne quanto quelle del ministro. Inaugurato e soppresso più volte, prima nel 2002, poi nel 2004, su e giù, come Scajola, che da ministro da lì salpava tutte le settimane da lì salpa alla volta di Roma, per rifugiarsi nel fine-settimana nel feudo di Imperia. Il viaggio alla volta di Tunisi durerà ancora meno. Il ministro è in Tunisia da un paio d’ore, quando fa sapere che tornerà in anticipo in Italia. La “fuga” è finita. Comincia l’arretramento. A tappe forzate. Il faccia-a-faccia con i pm perugini: sarà il 14 maggio, la prossima settimana. Quello con il parlamento che il ministro fino a poche ore prima non prendeva nemmeno in considerazione: «Avverrà subito dopo», assicura il ministro, mentre il tam tam di Palazzo parla già di sue dimissioni imminenti. Le voci di Palazzo sono la punta dell’iceberg che Scajola si vede arrivare contro mentre annuncia che rinuncerà al secondo giorno di visita in Tunisia per tornare subito in Italia. La navicella costruita per affrontare i marosi persino a lui deve sembrare davvero troppo fragile per superare l’impatto con ciò che lo aspetta al ritorno. Fin qui Scajola ha messo sul piatto della bilancia la sua versione. Che non ha convinto nemmeno un intervistatore tutt’altro che ostile come Nicola Porro, vicedirettore del Giornale («Non gli credo», ha scritto sul suo blog, a intervista finita).

Primo: «Per l’acquisto della casa alle due signore ho versato solo la somma pattuita di 610mila euro». Secondo: «Degli assegni firmati dall’architetto Angelo Zampolini non so nulla». Terzo: «Basta fare una rapidissima indagine sui prezzi degli immobili a Roma in quel periodo, nel 2004, e si vedrà come il prezzo da me pagato sia in linea con quello di mercato». Sull’altro piatto della bilancia, stime di mercato a parte, c’è la verità ricostruita dai quattro testimoni sentiti dalla procura: le sorelle Papa, l’architetto Zampolini, l’autista tunisino del provveditore Angelo Balducci. E gli ottanta assegni che sarebbero serviti a coprire i veri costi della casa di via del Fagutale. Fango, secondo il ministro Scajola. Fin qui il suo più grande alleato era stato il presidente del consiglio. E per difendersi Scajola ha indossato, oltre all’inseparabile doppiopetto blu anche tutti i possibili argomenti berlusconiani: dal grido di dolore contro il «processo mediatico» alle minacce di querele. «La mia persona viene quotidianamente infangata», recita ancora in perfetto stile berlusconiano l’ultima nota battuta da Tunisi, ieri pomeriggio. Prima che il vento girasse e spingesse il ministro a decidere di intertire rotta e anticipare il ritorno.
L’Unità 04.05.10