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"Il cavaliere e la Consulta", di Andrea Manzella

E’ proprio vecchio l´anno nuovo che ricomincia con il format “Berlusconi contro la Corte costituzionale”. Per la terza volta, infatti, il nostro tribunale più alto si occuperà del “se” e del “come” sia possibile sottrarre il premier ai suoi giudici penali.
E anche questa volta il punto è se questa sospensione dei processi penali possa farsi senza cambiare o rompere la Costituzione.
Su tutto incombe una strana pre-giudiziale. Ed è quella per cui il premier è contrario all´idea stessa che un gruppo di giudici in nome e sulla base del testo della Costituzione, possa porre nel nulla una legge votata dal Parlamento. È un´idea rispettabile ma è un´idea pre-moderna. Nel senso che è stata sorpassata dal ruolo attivo che in tutto il mondo hanno oramai i giudici costituzionali. Nella prima fase della scrittura della nostra Costituzione, i comunisti erano della stessa idea berlusconiana: la sovranità parlamentare su tutto. Poi anche Togliatti si convinse che non era una “bizzarria”, come aveva detto. Costruire un “libro” in cui erano fissate ed armonizzate le garanzie per tutti – cittadini, organi costituzionali, protagonisti politici – sarebbe stata infatti una fragile costruzione senza custodi permanenti di quell´equilibrio.
Negli Usa l´avevano capito dal 1803 quando alla loro Corte Suprema fu riconosciuto il controllo di costituzionalità. In Europa ci si arrivò nel secondo dopoguerra: dopo che sanguinose dittature sorte legalmente, avevano dimostrato la necessità di porre un qualche argine di legittimità alla tirannia delle maggioranze. Ma ora i tribunali costituzionali sono ovunque attori essenziali del sistema politico, quale che sia la loro composizione. Basti verificare quante volte la Merkel, in tutti i recenti Consigli europei, ha fatto presente i paletti che i giudici costituzionali tedeschi avevano posto o potevano porre alle sue scelte di governance economica dell´Unione.
Ma si sa, il nostro premier ha le sue idee fisse. E, quando non contesta il ruolo della Corte, attribuisce terribili preferenze politiche ai suoi componenti: tutti “comunisti”, salvo i due o tre che lo invitano a cena.
La verità è, invece, che la Corte costituzionale nostra è la più debole d´Europa. E lo è proprio perché non ha un legame organico con le opposizioni parlamentari. Non è così in Francia, in Spagna, in Germania, in Austria, in Portogallo, in Polonia e nelle altre democrazie dell´Est post-1989. In tutta l´area europea, insomma, le opposizioni parlamentari hanno un accesso diretto ai tribunali costituzionali. Possono chiedere cioè un giudizio immediato sulle leggi (e, cosa importantissima, sui regolamenti delle Assemblee) quando hanno dubbi sulla loro legittimità. I tribunali costituzionali in questo modo sono diventati, qualora siano in gioco norme e principi fondamentali, la sede d´ultimo appello del confronto parlamentare. Con un aggravamento, certo, del loro lavoro e delle loro responsabilità. Ma anche con sollievo dei Capi di Stato (che si trovino a promulgare leggi con il “verme occulto”) e dei giudici ordinari (su cui ricade lo scontro tra il dovere di applicare ai loro processi quotidiani le leggi così come sono, e il loro dovere cittadino di rispettare la Costituzione).
È un punto fondamentale. E non aver rivendicato, prima di ogni altra cosa, l´introduzione di questa comune garanzia europea, spiega meglio di tutto la vacuità dei programmi istituzionali delle nostre opposizioni: programmi quasi sempre subalterni alla “ola” decisionista.
Comunque, così stando le cose, la Corte costituzionale si trova, per la terza volta, ad essere l´ultimo ostacolo a una legge ad usum del premier. Come se la caverà questa volta?
La legge che ha di fronte è una strana legge-ponte. Sospesa nel vuoto giuridico è stata pensata per congiungersi a un qualcosa che ormai non verrà più. L´attesa era quella di una legge costituzionale che avrebbe dovuto interrompere i processi penali a carico del premier. Ma la resistenza del ponte ha un termine di scadenza come i medicinali: 18 mesi. Ne sono già passati nove. Il ponte è ancora in costruzione al Senato, nella prima delle quattro fasi necessarie. Nel frattempo sono avvenute cose nella maggioranza parlamentare, rilievi sono venuti dal Quirinale, l´opposizione ha annunciato che, comunque, chiederà un referendum (la quinta “fase”). Fatto qualche conto, la legge costituzionale ad personam non nascerà.
Poco male. I giuristi più severi già avevano avvertito che neppure una legge di grado costituzionale avrebbe potuto impedire il normale corso della giustizia penale nei confronti del premier (Pace, Cordero). E questo per l´inviolabilità, in una Repubblica democratica, del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Anche il premier, quando è imputato per fatti che non hanno nulla a che vedere con le funzioni proprie della presidenza del Consiglio, è un comune cittadino.
E allora? Allora, se la Corte costituzionale potrà salvare qualcosa di quel ponte senza più appoggio, potrebbe solo accoglierne il principio. Che è quello stesso dell´impedimento a comparire dell´imputato, previsto dall´articolo 420-ter del codice di procedura penale. Una norma che si applica ogni giorno in tutti i tribunali e le corti di assise della Repubblica. Una norma “normale”, insomma. Solo che questa volta il “legittimo impedimento” sarebbe descritto puntualmente da una legge. Non legge speciale, ma specificazione del concetto generale di legittimo impedimento. Se ci sarà – come si dice – una decisione interpretativa della Corte, essa potrebbe essere dunque solo quella di “tipizzare”, nell´alluvione di attività ora previste dalla legge-ponte, le funzioni davvero essenziali di governo «rigorosamente definite e circoscritte» (lo scriveva Vittorio Grevi). E cancellare tutte le altre.
La legge così ripulita farebbe chiarezza sulla doverosa applicazione da parte dei giudici della garanzia del “sereno svolgimento delle funzioni” oggettivamente proprie della carica di presidente del consiglio (cosa ben diversa della tutela dell´ “aspetto psicologico, individuale e contingente della soggettiva serenità del singolo titolare della carica”, tutela esclusa invece dalla Corte).
Come nel racconto del vecchio pescatore, del grande scudo penale dovrebbe rimanere, dunque, solo la lisca. È quella però che, nel rispetto della Costituzione, può assicurare al cittadino premier che le sue funzioni costituzionali non potranno essere mai intaccate in un “giusto processo”. Dove valga anche per lui il principio costituzionale per cui «l´imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» (art. 27).
Speriamo che così sia: il vecchio format è durato abbastanza e già cede il passo alla noia

La Repubblica 11.01.11

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“Legittimo impedimento, Consulta alla conta”, di Claudia Fusani

Il conto alla rovescia per la sopravvivenza della legislatura comincia stamani. Non in Parlamento, come è spesso successo nell’era Berlusconi, bensì al secondo piano del palazzo della Consulta dove alle 9 e 30 i quindici giudici guardiani delle leggi decideranno sulla legittimità dello scudo processuale per il premier. Sul tormentone che dal 2004, dai tempi di quello che allora si chiamava lodo Schifani e che poi nel 2008 ha cambiato nome in lodo Alfano (entrambi bocciati), affligge l’agenda politica del paese: fare in modo che Silvio Berlusconi premier non debba “perdere tempo” con quella “noia” che sono i processi in cui è imputato. La faccenda, una volta di più, s’intreccia con la sopravvivenza della legislatura.

Il Cavaliere lo ha detto e ripetuto in queste settimane: se la Consulta, “covo di comunisti”, mi leverà lo scudo, andremo al voto. Perchè non c’è dubbio che tornando a fare l’imputato sarà più difficile avere la forza contrattuale per racimolare i voti di quei “responsabili” che dovrebbero consentire l’approvazione, la prossima settimana, dei decreti sul federalismo pretesi dalla Lega per evitare il voto anticipato. Il clima da conto alla rovescia è tangibile a palazzo della Consulta: ingresso vietato ai giornalisti, giudici che non ricevono e se rispondono al telefono ti liquidano gentilmente con un secco no comment, ingressi contingentati anche per i fornitori e accesi vietati al secondo piano dove si trovano gli studi dei giudici costituzionali e dei loro assistenti.

E’ stata diramata una circolare apposita, «per evitare intralci» si spiega. Per limitare il più possibile le indiscrezioni che nei giorni scorsi hanno irritato il neo presidente Ugo De Siervo. Il relatore Sabino Cassese ha distribuito una settimana fa la sua scheda riassuntiva delle circa diecimila paginerelative al “caso” della legge 7 aprile 2010. Tutti gli altri quattordici giudici hanno elaborato e poi condiviso in analoghe schede la loro posizione. Il loro punto di vista sulla costituzionalità della legge voluta circa un anno fa dall’Udc di Casini e Vietti come “ponte” provvisorio per arrivare poi una volta per tutte allo scudo costituzionale al premier.

La legge “ponte” è entrata in vigore, lo scudo costituzionale s’è fermato al Senato con la crisi di governo. Nelle schede riassuntive finali è possibile intravedere gli orientamenti dei singoli giudici.Una situazione di quasi pareggio che, semplificando, vede 8 membri della Consulta contrari alle legge che prevede un’automatismo sulle ragioni del legittimo impedimento «inconciliabile» con la Carta e sette favorevoli. Un quasi pareggio che si risolverà solo nella camera di consiglio di giovedì quando si arriverà alla conta finale.

Un’indecisione che spiega perchè sia stato fatto il possibile – come dividere l’udienza pubblica di stamani dalla camera di consiglio di giovedì – pur di garantire la presenza di tutti i quindici giudici. Se la bociatura dello scudo è nei fatti l’ipotesi più condivisa in linea di principio daalmeno otto giudici, il clima politico suggerisce di puntare su decisioni meno traumatiche. Il compromesso massimo parte dal presupposto che l’automatismo della legge (il premier è scudato a prescindere in quanto tale) vada abolito perchè incostituzionale.

A questo punto il ricorso dei giudici di Milano può essere rigettato e la norma sul legittimo impedimento “interpretata” con una sentenza che spiega a quali condizioni la legge del 7 aprile è e resta valida. Oppure interpretato con una sentenza “addittiva” che invece esce dal solco della legge del 7 aprile e prevede punto per punto quando può essere applicato il legittimo impedimento. Unasentenza, questa, che indicherebbe esattamente la strada che il Parlamento dovrebbe percorrere per una legge costituzionale questa volta inattaccabile. In entrambe queste due opzioni, il destino processuale di Berlusconi tornerebbe nelle mani dei singoli Tribunali che dovranno ogni volta decidere sulla legittimità dell’impedimento presentato. E il compromessocosì faticosamente raggiunto dalla Consulta sarebbe in ogni caso, alla fine, unasconfitta per il premier. A cui può andare bene solo la conferma dello scudo. Un’opzione su cui oggi è difficile scommettere anche un centesimo.

L’Unità 11.01.11