memoria

Boris Pahor: «Non dimenticate gli orrori del fascismo», di Marisa Fumagalli

«Quando cesserò di indignarmi, sarà l’inizio della mia vecchiaia. Così, diceva Gide, vero?» . Sorride, Nicole Michelangeli, ambasciatrice di Francia in Slovenia, mentre il suo discorso rivolto a Boris Pahor («La vostra vita è segnata dal coraggio, dalla perseveranza, dalla ribellione contro ogni totalitarismo» ) si avvia alla conclusione. Poi, lo scrittore triestino di lingua slovena, 97 anni, applaudito da amici e giornalisti, prende la parola. Ed è un fiume in piena. Tra passato e presente, senza perdere un colpo. Al collo, la medaglia di Commendatore delle Arti e delle Lettere: è l’ultima onorificenza accordatagli dal ministro della Cultura francese, dopo che lo stesso ministero l’ha nominato Ufficiale del medesimo Ordine e dopo che il presidente della Repubblica, nel 2007, gli attribuì la Legion d’Onore. Ma Pahor, che vanta altre decorazioni (manca quella italiana, da lui rifiutata ritenendo «parziale» la motivazione indicata dalla municipalità di Trieste), non si considera un uomo-monumento. Ha la scorza del combattente. Sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti (esperienza raccontata in Necropoli, il suo libro più famoso), guarito dalla tubercolosi («Con le cure de medici francesi» ), ha trascorso la sua seconda vita, lunga ormai, insegnando letteratura italiana e scrivendo in lingua slovena. Quasi una contraddizione. «Non è così — fa notare —. Certo, fui costretto a imparare l’italiano quando i fascisti estirparono la nostra cultura. Lo fecero con repressioni feroci. Ma debbo ammettere che, pur nella costrizione, la vostra letteratura mi ha dato molto» . E cita Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Elio Vittorini di Conversazione in Sicilia, gli autori del neorealismo. Il punto dolente, invece, riguarda la politica. «Non mi rassegno alla rimozione dei crimini fascisti che viene sistematicamente perseguita da ogni parte, destra e sinistra italiane — afferma —. Come se il nazismo avesse automaticamente assorbito le malefatte di Mussolini» . «Ci fu la tragica vicenda della foibe, ma non furono meno orrendi i campi di concentramento italiani ai danni degli sloveni» , aggiunge. Boris Pahor incontra spesso gli studenti; a loro racconta la sua Storia. «Storia vera» , dice. E, volutamente, scrive i romanzi nella sua lingua madre. Ribellione, testimonianza. Prima del congedo, rivela al «Corriere» un piccolo segreto: «Una settimana fa, per i vent’anni dell’indipendenza slovena, il presidente Danilo Turk si è recato a Roma dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Anch’io ero stato invitato. Ho preferito addurre una scusa. Con le mie parole, avrei potuto creare qualche imbarazzo nel corso di una visita cordiale» .

Il Corriere della Sera 26.01.11