attualità, politica italiana

"Questo paese indeciso a tutto", di Ilvo Diamanti

Non è piaciuta la scelta del Presidente Napolitano, dopo il tentativo di Bersani – senza esito – di formare un governo. L’istituzione di due commissioni di Saggi. Non è piaciuta. Ai principali partiti. (Non solo e non tanto per ragioni di “pari opportunità). Come la ri-legittimazione del governo Monti.
Così, per la prima volta dopo il voto, fra le tre principali formazioni presenti in Parlamento, c’è accordo. Nel disaccordo. Contro la decisione del Presidente. Che, effettivamente, allunga questa fase “eccezionale”, per qualsiasi democrazia. Visto che l’Italia, da quasi un anno e mezzo, è governata da un gruppo di “tecnici”, non eletti, ma nominati dal Presidente. Sostenuti, fino a sei mesi fa, da una maggioranza eterogenea. Per necessità. E per emergenza. Per l’impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare intorno a un governo. Per la necessità di affrontare l’emergenza economica e politica, interna e globale. E di rispondere agli impegni, di fronte alle autorità finanziarie e alle istituzioni internazionali.
Oggi, però, abbiamo un Parlamento rinnovato. Profondamente. Per l’ingresso di nuovi parlamentari. E di una nuova forza politica: il M5S. Che ha occupato uno spazio molto ampio. Nei consensi e nei seggi. Nel dibattito politico e presso l’opinione pubblica. Tuttavia, le condizioni che avevano determinato – quasi imposto – l’incarico al governo tecnico non sembrano cambiate.
La crisi economica nazionale e internazionale: si è fatta più seria. Grave. Dopo le elezioni, il clima sociale interno è avvelenato. Mentre all’esterno, si respira un sentimento di scetticismo diffuso nei confronti dei nuovi e vecchi attori della scena politica italiana. Monti, l’unico di cui si fidassero i “mercati” e i leader internazionali, dopo l’avventura elettorale, è divenuto, anch’egli, poco credibile. Anzi: in-credibile.
Peraltro, nessuna fra le possibili soluzioni proposte dalle maggiori forze politiche rappresentate in Parlamento, oggi, appare effettivamente praticabile.
Il Centrosinistra, guidato da Bersani, – o meglio: Bersani, alla guida del Centrosinistra – avrebbe voluto, comunque, verificare l’esistenza di una maggioranza parlamentare, intorno alle sue proposte. Contava, cioè, di conquistare il sostegno di una parte dei senatori del M5S, in dissenso con le indicazioni di Grillo. Com’è avvenuto in occasione dell’elezione di Pietro Grasso a Presidente.
Operazione rischiosa. Perché, se anche avesse funzionato, avrebbe restituito una maggioranza precaria, sempre in bilico. Marchiata dal “tradimento”, come non esiterebbe a gridare Grillo. Affiancato da Berlusconi e dal PdL.
Il Centrosinistra, d’altronde, non ha alcuna intenzione di intraprendere, nuovamente, la Grande Coalizione. Che, invece, piacerebbe al PdL. Soprattutto a Berlusconi. Per uscire dall’angolo e condizionare l’agenda futura. Ma piacerebbe, ancor più, a Grillo e al M5S. Che potrebbero rilanciare la loro strategia di successo, in questa fase. La rivolta contro la partitocrazia e la classe politica. Contro il PdL e il PdLmenoL.
Elezioni a breve termine – inevitabili in un clima di confusione politica e parlamentare – avrebbero un esito imprevedibile.
Ma piacciono molto al M5S. Favorito da questo clima impolitico, amplificato dalla crisi della politica. Piacciono anche al PdL. Perché la “mancata vittoria” e l’incapacità di formare un governo farebbero del Pd il principale capro espiatorio, in caso di elezioni imm ediate.
Come se, paradossalmente, avesse governato — male – senza neppure governare. E gli altri avessero fatto opposizione – anche in assenza di un governo.
Con questa legge elettorale, tuttavia, difficilmente – e parlo in modo prudenziale – qualcuno riuscirebbe a conquistare la maggioranza dei seggi al Parlamento.
D’altra parte, perché mai questo Parlamento – appena eletto – dovrebbe varare una nuova legge elettorale, in fretta e furia, senza aver quasi cominciato la legislatura, se non vi è riuscito il precedente, con cinque anni a disposizione?
Infine, come potrebbe, come avrebbe potuto, il Presidente Napolitano, assumere una decisione vincolante per il prossimo futuro, proprio ora che è in uscita? Nominando – e imponendo al successore – un solo Saggio? Cioè, un altro Tecnico, super partes, a capo di un “governo di scopo”? Di durata com unque non breve? Per questo, a mio avviso, la scelta di nominare le Commissioni di Saggi è risultata inevitabile. Perché è una nondecisione.
Una in-dec isione. Che riflette e sottolinea l’im-potenza di questo Parlamento, caratterizzato
dall’irruzione di un non-partito. Di questo Paese. Privo di Autorità riconosciute e legittimate. Per prima, quella “paterna”, come ha suggerito Eugenio Scalfari, una settimana fa. Un Paese, dove, per utilizzare un’efficace metafora di Barbara Spinelli, il “trono è vuoto”. Ovvero: “il posto di comando è vacante”. Ed è questa la Questione. Che fatichiamo ad accettare. Noi, italiani, siamo diventati, ormai, un Paese di minoranze. Politiche. Irriducibili. Ciascuna incapace di imporsi sulle altre. Ciascuna gelosa del proprio potere di veto. Sugli altri. Indisponibile, per questo, ad accettare leggi che consentano a qualcuno di governare sugli altri. Per questo è tanto difficile modificare la legge elettorale, il Porcellum. E ci teniamo, quasi unici al mondo, un sistema bicamerale perfetto, che pone sullo stesso piano le due Camere, peraltro elette con leggi elettorali diverse. Rendendo complicata ogni scelta. Ogni maggioranza.
Così, Napolitano ha applicato l’unica soluzione possibile in un Paese eternamente in-deciso, come il nostro. Ha fatto ricorso a quella che il filosofo John Perry ha definito la “procrastinazione strutturata”. Cioè, l’arte di rinviare a domani ciò che “dovremmo” fare oggi stesso. Ma in modo, appunto, “strutturato”. Programmando “altre” cose utili. Ma meno importanti. Per prendere tempo. Perché più tempo “potrebbe” favorire il dialogo, far emergere soluzioni. Oggi non ancora visibili. Potrebbe. Ma potrebbe anche avvenire il contrario. Nuove divisioni e fratture. Più profonde e drammatiche. Fino a rendere inequivocabile quel che ancora non è abbastanza chiaro. A tutti. Che un Paese im-potente e senza autorità, senza padri né governi: non può durare a lungo. Non è uno Stato, ma uno “stato”. Un participio passato.
Rendersene conto, prenderne atto, costituirebbe la premessa di un cambiamento reale. Se i Saggi sono davvero tali, possono provare a spiegarlo. Al Parlamento e ai cittadini. In un modo esemplare. Per non concedere alibi a nessuno: lascino al più presto il Parlamento, i partiti – e i cittadini – da soli. Di fronte alle loro responsabilità.

La Repubblica 02.04.13

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QUELLE COMMISSIONI AL MASCHILE”, di CHIARA SARACENO

Con la sua decisione di congelare il governo Monti e contestualmente istituire due commissioni di esperti, il presidente Napolitano rischia di avallare la posizione di Grillo sulla non necessità di formare un nuovo governo e ignorare di fatto la metà dei cittadini italiani — le donne — cui ha fatto esplicitamente capire di non ritenere che ve ne sia nemmeno una con le competenze necessarie per concorrere alla soluzione dei problemi urgenti del Paese.
È probabile che, salvo le dimissioni anticipate, che per altro avrebbero aperto un altro vuoto istituzionale in una situazione politica già ampiamente precaria, la scelta di congelare il governo Monti fosse in qualche modo obbligata. Anche se certamente questo governo, e in particolare il suo presidente, nulla abbiano fatto negli ultimi mesi per meritarsi questo supplemento di fiducia, al contrario.
Può anche darsi che la scelta un po’ irrituale di due super-commissioni del Presidente siano state intese come un’ultima chance offerta al Parlamento e ai partiti per trovare una soluzione (vedi legge elettorale) consensuale per arrivare in tempi rapidi a nuove elezioni, non appena ci sarà un nuovo presidente. Una sorta di camera di compensazione, dove negoziare al riparo dal costante flusso di dichiarazioni e contro-dichiarazioni, tweet, Facebook e comparsate televisive, che ormai, più che impedire inciuci, impediscono qualsiasi discussione franca, qualsiasi possibilità di verificare ed eventualmente rivedere le proprie posizioni senza essere immediatamente esposti a qualche gogna mediatica.
Ma se questo era l’intento, meglio chiedere ai partiti di formare una commissione paritetica, con un mandato univoco e preciso, impegnandosi ad accoglierne le proposte,
visto che sarà comunque il Parlamento a doverle approvare. Di proposte più o meno ragionevoli fatte da commissioni di esperti cui non ha fatto seguito nessuna decisione congruente è lastricata la storia della Repubblica. In questo caso poi, il mandato delle due commissioni sembra addirittura quello di disegnare i contorni di un programma di governo, cosa non solo irrituale e problematica dal punto di vista istituzionale, ma senza speranza. Tanto più che a comporle sono state chiamate persone e figure istituzionali che, salvo due, tre eccezioni (il presidente dell’Istat Giovannini, l’ex presidente della Corte Costituzionale Onida, il componente del direttorio della Banca d’Italia Rossi), hanno individualmente e/o istituzionalmente una storia di fallimenti, cambi di campo, errori gravi, proprio sui temi su cui dovrebbero proporre soluzioni.
Insomma, non si tratta davvero né di esperti super partes né di esperti, pur di parte, che abbiano dato grande prova di sé.
Rimane, allora, l’amara constatazione che, in una scelta di valore più simbolico che pratico — dare un segnale che il presidente della Repubblica intende lavorare per il bene del paese fino all’ultimo minuto del suo mandato — il messaggio più chiaro, più esplicito e senza possibilità di fraintendimenti, che Napolitano ha mandato al Paese è che le donne come soggetti capaci e competenti non esistono, non nelle prime file almeno. Non hanno il curriculum e non si consente loro di farselo. È un messaggio che riguarda, ovviamente, le donne. Ma riguarda anche gli uomini, così incapaci di guardare al di fuori da loro stessi da continuare pervicacemente ad affidarsi come possibili salvatori della patria a quegli stessi che hanno contribuito ad affondarla.

La Repubblica 02.04.13