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"La tragica solitudine dei muratore Romeo", di Bruno Ugolini

“Il sindacato può allargare il campo di gioco alla dimensione territoriale, intervenendo sulla condizione sociale delle persone”. Sono parole di Riccardo Terzi, oggi dirigente del sindacato dei pensionati Cgil. Parla a un convegno dedicato, appunto, alla crisi del sindacato e cita Bruno Trentin e la sua intuizione circa la «persona» da cui partire per recuperare un ruolo innovativo. Ecco quelle parole, quell’incitamento può essere ripreso pensando alla tragedia di Civitanova Marche. Certo il muratore sessantaduenne Romeo Dionisi con 35 anni di contributi avrebbe potuto essere aiutato da una modifica delle norme varate dal «governissimo» di Monti. Come ha osservato Pierre Carniti si poteva reintrodurre il pensionamento volontario, previsto dalla riforma Amato e Dini. Così Romeo avrebbe potuto godere della sua pensione, maturata con 35 anni di contributi, senza aspettare, da disoccupato, i 67 anni, senza doversi indebitare all’infinito. Era una regola di «flessibilità» insistentemente richiesta dai sindacati e da deputati del Pd come Cesare Damiano. E però la tragedia di Civitanova mette in luce un altro aspetto: la solitudine di tanti che, come Romeo, non riescono a trovare agganci, sostegni, solidarietà col resto della società. Ecco perché tornano importanti quelle parole del dirigente Cgil. Il sindacato – e non solo quello dei pensionati può essere, in tante realtà territoriali, un agente sociale capace di riconoscere i drammi delle persone, costruire rivendicazioni, contrattazioni. Collegandosi così a mobilitazioni più generali come quelle annunciate per il 16 aprile davanti alla Camera da Cgil Cisl e Uil, una volta tanto insieme. I sindacati porteranno le motivazioni di coloro che oggi campano attraverso la cosiddetta cassa integrazione in deroga giunta al suo epilogo. Che significa epilogo di un sostegno finanziario e quindi lo scoppio di un’altra bomba sociale, una catena di altri drammi umani. Il sindacato cerca così di impedire che si realizzi del tutto quello che un vicedirettore della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha chiamato un ruolo «anacronistico». Ininfluente, insomma. Non a caso, del resto, sembrano moltiplicarsi iniziative in cui si discute di tale ruolo oggi così posto in discussione. Il convegno in cui parlava Terzi era stato promosso dalla rivista di Fausto Bertinotti Alternative per il socialismo. Con un titolo provocatorio: «Il sindacato. C’è ancora?». Con due tesi d’apertura. Una, di Gianni Rinaldini, partiva da un’analisi pesante sulla devastazione sociale, sulle conquiste del passato «tutte cancellate», con un sindacato ridotto a dimensione «puramente aziendale». E che deve essere rigenerato partendo da una scelta di democrazia nel rapporto con i lavoratori e una scelta di autonomia. Punti sui quali la Cgil avrebbe abdicato. La seconda tesi, esposta da Fabrizio Solari, segretario confederale Cgil, condivideva la necessità di cambiare, ma approfondiva le ragioni della crisi, ragionando sugli effetti della globalizzazione e della finanziarizzazione. E per cambiare le cose, secondo Solari, non ci si può basare solo sulle proprie certezze, occorre contaminarsi, come avvenne negli anni 50. È vero che i gruppi dirigenti Cisl sono portati a scegliere invece che la contrattazione, la gestione, il miglioramento, l’adattamento. Ma non basta prendere le distanze, scegliere come unica alternativa lo scontro, il tornarsene a casa. Occorre stare nei processi per quanto complicati. Cercando ad esempio di rivitalizzare le rappresentanze aziendali, trovando un terreno per costruire alcune regole, tenendo insieme il sindacato associativo e il sindacato di tutti i lavoratori. Sono confronti rimbalzati poi in un altro convegno dedicato a Claudio Sabattini, uno stimato dirigente della Fiom. Anche qui con interventi già esposti nel primo convegno di studiosi e dirigenti come Maurizio Landini, Carla Cantone, Sergio Cofferati, Tonino Lettieri, Tiziano Treu, Umberto Romagnoli, Antonio Pizzinato, Mimmo Carrieri. E anche qui un’agguerrita sinistra sindacale che con Francesco Garibaldo parla di una tragedia incombente, di un rischio di un collasso per il sindacato. Una cartina di tornasole è data dal mancato rapporto con i giovani. Segnali di una crisi che investe del resto gli altri Paesi, come testimoniano numerose relazioni. Ma una soluzione, sottolinea Garibaldo, non si trova solo attraverso misure organizzative, occorre mutare il sistema produttivo. È un po’ il biglietto da visita di una sinistra sindacale minoritaria che non trova però alcun accenno autocritico, ricorrendo nello stesso errore in cui cadono spesso esponenti della maggioranza sindacale. Come non ricordare, tra l’altro, che in altre epoche la sinistra sindacale riusciva a incidere, a imporsi, per i movimenti che sapeva suscitare, per i rapporti che riusciva a costruire con altre forze, anche attraverso compromessi. Nonché su proposte innovative, e su analisi dei mutamenti. Mutamenti sui quali si è soffermato, in questi convegni, un ex segretario generale della Cgil come Antonio Pizzinato, che ha ripetuto le sue osservazioni sui dati della frammentazione dei lavori e su un disegno di rifondazione che lui aveva un tempo tentato di lanciare senza trovare le adesioni necessarie. Cosi come per la proposta di un disegno di legge sulla rappresentanza. Una rappresentanza assai limitata e spesso sconosciuta. C’è tanta attenzione oggi, nel mondo politico, circa la possibilità di una nuova legge elettorale per cancellare il cosiddetto Porcello. E anche il sindacato avrebbe bisogno di una sua legge elettorale, magari condivisa tra Cgil Cisl e Uil. Senza aspettare governi amici. E per non correre il rischio di ritrovarsi nel gorgo dell’antipolitica che corre nel Paese.

L’Unità 08.04.13