attualità, partito democratico, politica italiana

"Né tecnocrati né folle virtuali", di Fabrizio Barca

«Non cerco adesione, ma confronto». Questa mia dichiarazione, rilasciata a Milano un paio di giorni fa, ha destato stupore in chi schiaccia la politica in una gara fra protagonisti e al tempo stesso dimentica che è solo dal con- fronto, dal conflitto acceso ma ragionevole fra idee, che viene il cambiamento. Il mio scritto «Un partito nuovo per il buon governo» è figlio dell’azione ministeriale per la «coesione territoriale», un’esperienza che mi ha portato a concludere che senza una nuova «forma partito» non si governa l’Italia.

Ho dunque provato a immaginare i tratti e le funzioni di questa nuova forma, concentrando l’attenzione su un partito di sinistra, essendo questo ciò che risponde ai miei convincimenti.

Per capire ciò di cui sto parlando, faccio riferimento alla storia più recente. Il solco profondo apertosi fra cittadini e «politici», la debolezza dei partiti nell’interpretare bisogni, e soprattutto nel promuovere nei territori il confronto sulle soluzioni, la loro incapacità di incalzare lo Stato, anzi la «fratellanza siamese» con esso, l’ho avvertita pesantemente in questi mesi di governo. L’ho riconosciuta nella solitudine dei sindaci, chiamati a fidarsi di un ministro della Repubblica che li invitava a cambiare metodo, senza il conforto di un partito che li aiutasse a verificare i propri dubbi. L’ho percepita nella diffidenza di militanti delle associazioni del Terzo settore, restie a travasare le proprie conoscenze in una rete aperta. Mi è apparsa evidente, infine, nella scarsa attitudine dei partiti a confrontarsi sui metodi innovativi che mettevamo sul tavolo per spendere bene i soldi pubblici.

Sono queste esperienze che mi hanno spinto a scrivere questa memoria, che hanno dato corpo alle idee e ai concetti su cui da anni mi cimentavo. Che hanno reso vivida l’ipotesi di un partito che faccia riavvicinare le persone all’azione comune, sollecitando lo Stato ad una pratica dell’azione pubblica di «sperimentalismo democratico». Ossia un metodo che superi l’errore secondo cui pochi individui, gli esperti, i tecnocrati, dispongono della conoscenza per prendere le decisioni necessarie al pubblico interesse, indipendentemente dai contesti. Ed eviti l’altro, nuovo errore della nostra epoca: quello di pensare che la folla possa esprimere quelle decisioni in modo spontaneo, attraverso la Rete.
Non è così. Serve un processo di azione pubblica che promuova in ogni luogo il confronto acceso e aperto fra le conoscenze parziali detenute da una moltitudine d’individui e consenta decisioni sottoposte a una continua verifica degli esiti, usando le potenzialità della Rete.
A questo fine, per realizzare i profondi cambiamenti che la procedura deliberativa aperta richiede, e assieme superare le forti resistenze che il rinnovamento incontrerà, sono necessari un aperto e governato conflitto sociale e la coesione attorno ad alcuni convincimenti generali che parlino ai nostri sentimenti. Serve allora un partito di sinistra – se dico left fa meno impressione? – saldamente radicato nel territorio che, richiamandosi con forza ad alcuni convincimenti generali, solleciti e dia esiti operativi e ragionevoli a questo conflitto.

Non si tratta di tornare al partito scuola di vita, il partito di massa dove si ascoltano i bisogni e si insegna la «linea» per soddisfarli e per costruire un nuovo «avvenire» che già conosciamo. Né certo di abbracciare il partito liquido, vetrina dove si espongono – con nefasta contaminazione dell’economia – «prodotti politici». Si tratta di chiudere con forza per sempre la stagione dei partiti Stato-centrici o di occupazione dello Stato, e di costruire un «partito palestra» che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro. Un partito che sviluppi un tratto che nei partiti di massa tendeva a rimanere circoscritto alle «avanguardie», ossia realizzando una diffusa «mobilitazione cognitiva».
È mio convincimento che a questo partito nuovo si possa arrivare muovendo dai partiti di sinistra che esistono, segnatamente dal Partito democratico, dalle esperienze più avanzate che essi stanno realizzando. Per farlo è necessario il lavoro di molte persone di buona volontà, coese e capaci di lunghi cammini. Che sappiano accompagnare alla risposta (politicamente possibile) alla domanda di governo, anche la costruzione di un partito capace poi di onorare tale impegno.
Se il confronto ci sarà, se dal confronto anche acceso uscirà un’ipotesi robusta e condivisa, sarà poi possibile scrivere le regole, anche quelle del finanziamento pubblico, che dovranno rendere attuabile il partito nuovo.

L’Unità 12.04.13