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L’Italia e le “maglie nere” assegnate da Eurostat, di Pasquale Almirante

Quanti moniti negativi ha subito l’Italia da parte dell’Europa e nel volgere di solo qualche mese? E quante volte abbiamo letto che la nostra Nazione è la “maglia nera d’Europa” in istruzione? Ecco un brevissimo riassunto per rendersi conto che la scuola non è gradita nella Patria di tanti santi, eroi e navigatori

Iniziamo coi laureati in informatica. In Italia ne abbiano appena 1,3% contro la media europea del 3,4%. Poco più di un italiano su cento si laurea in scienze informatiche. Peggio di noi, in Europa, solo la Romania (0,9%). Maglia nera non proprio dunque, ma se precediamo la Romania, che solo da qualche ventennio si è riscattata dalla dittatura di Ceausescu, non c’è di andare orgogliosi.
Ancora l’istituto di statistica europeo fa sapere che nel 2011 la spesa pubblica per il nostro patrimonio di beni culturali, il più grande al mondo, è stata appena dell’1,1% rispetto al Pil. La metà della media Ue. Per il sovvenzionamento della scuola, da quella d’infanzia alle superiori, non va meglio: si spende solo l’8,5% del Pil, mentre nell’Ue si viaggia ad una media del 10,9%. Peggio di noi solo la Grecia. Ancora una volta non abbiamo il primato assoluto, ma considerando il numero di abitanti dell’Italia rispetto alla Patria di Ulisse e al fatto che siamo la settima potenza industriale del mondo, il dato dovrebbe vergognarci un po’ e forse più di un po’.
Altra maglia nera ci viene assegnata della commissaria Vassiliou che ci dice che a ridurre gli investimenti nell’istruzione sono stati 20 tra paesi e regioni Ue, ma a superare quota 5% sono stati solo Italia (-3,8% nel 2011 e -6,8% nel 2012) e Grecia (record di -17% nel solo 2011).
I tagli alla istruzione hanno anche causato riduzioni nel numero dei docenti in Italia, dove nel 2010 è calato del 6%. Drastico taglio poi nelle spese per la formazione professionale degli insegnanti, che in Italia è stata ridotta del 50% tra 2011-2012. Nell’ultimo biennio, inoltre, ben due terzi dei paesi europei hanno chiuso o fuso tra loro istituti scolastici, ma per il resto del mondo il contesto economico è stato indicato come uno dei ”principali fattori”, mentre in Italia è stata ”la principale ragione”.
Altro argomento e altro monito Eurostat: solo in Italia gli abbandoni scolastici non diminuiscono! Così un altro titolo del nostro giornale online. E il commento continua così: “se in Europa la tendenza è in calo, con una media del 12,8 per cento di giovani che lasciano la scuola prematuramente (ormai sempre più vicina a quel 10 per cento indicato dall’Unione Europea da raggiungere entro il 2020), in Italia si va verso la direzione opposta: il numero di alunni che lascia i banchi prima dei sedici anni rimane fermo al 17,6 per cento. Che in termini pratici si traduce in centinaia di migliaia di ragazzi che vanno quasi sempre ad allargare le fila dei cosiddetti neet, ovvero dei giovani che non studiano né lavorano.
Anche il resto dei dati fornite da eurostat risultano davvero preoccupanti: se nell’Ue a 27 i diplomati sono in assoluto il 35,8 per cento, nel nostro Paese non arriviamo al 22 per cento. E non va meglio a livello universitario, visto che se l’Unione Europea detiene ormai circa il 36 per cento di “dottori” 30-34enni, rispetto a quelli che avevano iniziato gli studi, l’Italia nella stessa fascia di età si ferma al 21,7 per cento. Che rappresenta il risultato peggiore dei 27 Paesi europei esaminati.”
E sul fronte della disoccupazione? Eurostat comunica che il record di disoccupazione giovanile rende l’Italia il paese peggiore d’Europa insieme alla Spagna quanto a giovani senza lavoro. In Italia il numero complessivo di disoccupati a gennaio tocca quasi i 3 milioni di unità, mentre il 38,7% dei giovani risulta inattivo.

La Tecnica della Scuola 15.04.13