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"Alla politica non basta solo il Web", di Gianni Riotta

Se oggi manderete una mail, o vi collegherete con un sito web, è probabile che la vostra posta, o la vostra ricerca, passino da Porthcurno, in Cornovaglia, dove tra cemento, vetro, cavi, centraline e giganteschi impianti di raffreddamento, funziona uno dei crocevia europei più trafficati del web. Andrew Blum, giornalista del periodico Wired, ne parla nel volume «Tubes, viaggio al centro di internet», reportage nella struttura fisica della rete. La letteratura tecnologica fa di internet un universo di «Nuvole», «Realtà virtuali», «Anima Digitale», ma invece è concretissima, come un mattone, un bullone, una chiave inglese.

La politica italiana scopre in queste ore, con qualche stupore, qualche goffa comicità e una tardiva alfabetizzazione collettiva, che la Rete siamo noi, il Virtuale è Reale.

Non ci sono Eden digitali, solo fatica, lavoro, mobilitazione di masse e individui, dalle piazze di Peppone e Don Camillo a twitter, i siti, i blog. Scoperta dolorosa, la Fatina Web non esiste, perché il Pinocchio dei Partiti diventi Bambino online tocca studiare e soffrire.

«Il popolo del web», questa metafora dolce e illusoria che volta a volta «Insorge», «Si ribella», «Si oppone» o «Dice di NO!» non esiste, oleografica barricata dove i Buoni con un iPad in pugno danno scacco ai Cattivi col telecomando tv. La rete trasforma la tv in dibattito continuo, rilancia i contenuti dei giornali lontano dalle edicole. «Popolo del web» siamo noi, berlusconiani e grillini, democratici e montiani, illusi, delusi, pugnaci. Come la rete «virtuale» è in realtà composta da tubi, monitor e mattoni che uno scoiattolo ferma rosicchiando un cavo o una bomba paralizza per settimane, così la politica online non è Caffè Illuminista dove la posizione più brillante e intelligente prevale sulla più goffa e conformista, come sperano lo studioso Shirky e The Economist. Il web è il luogo «fisico» della nostra modernità, specchio del nostro tempo, con le sue speranze, sconfitte, sogni e incubi.

Quando Silvio Berlusconi, andando a pareggiare le elezioni, dichiarò di voler cancellare l’Imu, la curva delle citazioni su Twitter lo vide prevalere per giorni, pesando sui dati Tycho-Imt pubblicati dalla Stampa. Chi pensava che il re della politica televisiva stentasse online, assediato dal «popolo del web», doveva ricredersi. Il silenzio assoluto del Sud sul Partito democratico online, prima del voto, era presagio nitido della sconfitta in quelle zone. In pochi mesi il vantaggio digitale che premiava a Milano il sindaco Pisapia su Letizia Moratti è sfumato.

Il web non rende forti i deboli, né indebolisce i potenti. Il web non ha scatenato la Primavera Araba, nata da anni di disagio e diffusa dalla tv Al Jazeera. Il web non ha creato Grillo, che per anni ha spaccato computer in scena, è diventato famoso in tv e solo dopo, con bravura e fiuto, ha investito sulla rete il «klout», la popolarità digitale.

Qualcuno si stupisce ora per i magri consensi che «il popolo del web» avrebbe tributato alle primarie online ai candidati presidenti di Grillo, poche migliaia alla Milena Gabanelli, nota in tv a milioni di persone, poche al giurista Stefano Rodotà, ex presidente dei Pds, parlamentare, columnist e autore di grido. Tutto qui? si son chiesti in tanti, persuasi che i lillipuziani grillini avessero ormai preso ostaggio l’intero Gulliver politico italiano.

Sciocchezze. I dati disponibili non danno alcun vantaggio di presenza digitale agli elettori di Grillo su quelli di Monti o Berlusconi. Certo, il blog dell’ex attore è radicato e diffuso, grazie all’esperienza di Gianroberto Casaleggio, ma le primarie Pd o le manifestazioni «di plastica» del Pdl hanno raccolto consensi «di massa» maggiori. La rete, come insegna il saggio Melvin Kranzberg, «non è né cattiva, né buona e neppure neutrale». Non è grillina, Pd o Pdl, come non sarà a lungo «Democratica» o «Antirepubblicana» negli Usa. Non è l’arma degli oppressi, ma il campo di battaglia, la scena su cui noi viviamo la nostra vita.

Su twitter, che sta diventando il maggior canale di informazione, trovate imam fondamentalisti e dissidenti democratici, l’esercito di Israele e le Brigate islamiche di Gaza si sfottono durante i bombardamenti dando fondo alla sentina dell’odio. Quando sulla tv del blog di Grillo, il giovane – e simpatico – conduttore Matteo «intervista il leader», non smette un attimo di annuire durante il monologo, con effetto struggente: prova di quanta passione ci sia tra i militanti Cinque Stelle, quanta fede e quanta però mancanza di dibattito critico: Grillo parla, Matteo acconsente ad ogni frase.

Le foto Facebook del capogruppo al Senato Crimi, a torso nudo a friggere qualcosa in padella, il referendum indotto via twitter dalla sua collega capogruppo alla Camera Lombardi lamentando le ricevute di rimborsi perdute, sono lame a doppio taglio, per i grillini duri prova di trasparenza, fuori dal movimento ingenuità grossolane.

La rete, come una foto Instagram, una raccolta di immagini Pinterest, la rete di contatti Linkedin, un cruscotto di messaggi Hootsuite, ci offre un caleidoscopio di verità e dati senza interpretazioni monolitiche, «Si ribella il popolo del web». Su Twitter Papa Ratzinger risultava «freddo», Papa Francesco entusiasma. Le divisioni del Pd online sono state devastanti, le contestazioni a Franceschini e Fassina su YouTube dannose, ma quanto crediate ci vorrà prima che un’altra tribù del «popolo del web» si filmi mentre contesta Grillo? Una sola battuta sulle donne in Parlamento ha trasformato il bravo e malinconico cantante Battiato da eroe grillino e assessore siciliano online a misogino da insultare sui siti. Rete volubile? No, il consenso di Battiato era fragile e improvvisato, mancava di Centro di gravità permanente, era artificiale ed è venuto giù al primo errore.

Invano la politica chiederà al web redenzione per la propria parte e dannazione per gli avversari. La campana della rete chiama tutti a trasparenza, idee, impegno, mobilitazione e fatica. Ma, credetemi, non basteranno i cookies più sofisticati, i web master più guru, gli intervistatori più annuenti, le timeline di twitter più sexy, l’analisi semantica dei Big Data più perfetta a guadagnare un solo voto. Quelli li si conquista con idee per creare lavoro, diffondere benessere, contrastare la corruzione, innovare la classe dirigente, votare un governo stabile. Diventi premier il saggio Amato, il raziocinante Letta, l’energico Renzi, solo chi ha questi valori solidi in testa avrà nella rete un alleato. Altrimenti, fidatevi, il «popolo del web», cioè l’Italia tutta 2013, continuerà a sobbollire.

La Stampa 24.03.13