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"La sfida dell'educazione permanente", di Fulvio Fammoni*

Finalmente in una campagna elettorale in cui si discute davvero troppo di merito e pochissimo del ruolo della formazione, è stata avanzata da parte di Bersani una proposta concreta. Basata su investimenti, sicurezza delle scuole, ruolo degli insegnanti, interventi sulla precarietà. È esaustiva? No, sicuramente serve anche altro. Ma almeno si sfugge a insopportabili banalità e luoghi comuni e si comincia ad entrare nel merito. La differenza eclatante con gli anni del centrodestra è passare da tagli a investimenti e affrontare temi drammatici come la dispersione scolastica non con slogan, o ancora peggio abbassando di fatto l’età per il lavoro minorile. Partiamo allora da un concetto di fondo: se la piena realizzazione della persona è l’unità di misura della legittimazione dell’agire economico e della sua equità sociale, la conoscenza non può che essere un tratto fondamentale del lavoro e della società. I dati dimostrano la nostra arretratezza: ad una quota di analfabetismo strutturale si aggiunge l’analfabetismo di ritorno; è sotto la media europea la diffusione e l’uso di internet; troppo alta la quota di abbandono scolastico; basso il numero di iscrizioni all’università, ma nonostante questo troppa precarietà per i neolaureati; la formazione per e nel lavoro è agli ultimi posti in Europa nonostante un fortissimo addensamento nelle qualifiche più basse. Non è un caso, sono dati che riflettono l’arretratezza del nostro sistema formativo ma anche della qualità del modello produttivo. È per questo e tanto altro che l’aspirazione a una migliore condizione sociale per effetto di una maggior scolarizzazione sta perdendo la «sua spinta propulsiva». Amarthia Sen ricorda che proprio un nuovo modello di sviluppo economico richiede anche una solida e diffusa cultura umanistica, capace di alzare il livello di civismo della società. Poco più di un anno fa, il Presidente del Consiglio ebbe a dire: «Il 54% della popolazione ha un titolo di diploma nel nostro Paese, contro una media Ocse del 73%. È troppo poco, dobbiamo studiare di più».La realtà è ancor più grave della segnalazione del Premier. Ma cos’è stato concretamente fatto, in particolare in quel settore dell’istruzione e formazione professionale, ancora lontano da un assetto in grado di offrire una chance di qualità a una larga fascia di giovani? È cresciuta l’attenzione e gli interventi per l’istruzione tecnica ma questo indirizzo porterà buoni risultati se non sarà separato o peggio, pensato come alternativo, al settore di istruzione-formazione professionale. Tentazione questa troppo spesso ricorrente. Finalmente si apre una discussione vera a cui aggiungo almeno un tema: in Italia è non è stata ancora approvata una legge per l’educazione permanente. In queste settimane si è discusso molto di apertura delle scuole nei mesi estivi, senza neppure sfiorare il problema del loro funzionamento e della loro chiusura tutti i giorni in orario pomeridiano e serale. Quanto ci costerebbe tenerle aperte con il concorso di risorse pubbliche, private, del volontariato per avviare una formazione permanente degli adulti? Potrebbe essere una bella proposta e un sicuro vantaggio per il Paese.

*Presidente Fondazione Di Vittorio