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“Omicidi in famiglia – «È la nuova emergenza»”, di Fiorenza Sarzanini

E’ il numero che spicca, il dato che inquieta. Perché calano gli omicidi commessi in Italia, ma aumenta in maniera vertiginosa il numero di quelli avvenuti in famiglia. Basti pensare che nel 2005 i delitti tra le mura domestiche erano il 14,3 del totale e nel primo semestre 2008 la percentuale è balzata fino al 24,7. Vuol dire che ben uno su quattro scaturisce da atti di violenza tra coniugi oppure tra genitori e figli.

La diminuzione dei reati
L’ultima analisi sull’andamento della criminalità da gennaio a giugno di quest’anno fornisce una fotografia eloquente di quanto sta avvenendo nel nostro Paese. Perché evidenzia, tra l’altro, come il numero dei reati compiuti da stranieri si equivalga con quello dei delinquenti italiani. A cambiare è soltanto la tipologia delle violazioni, visto che chi arriva dall’estero si è specializzato nei furti e nelle rapine di abitazione, mentre per scippi e rapine in strada e in banca rimane il predominio della malavita locale. I numeri mostrano la diminuzione forte della delittuosità, pari al 10,1 per cento. Ma fanno scattare l’allarme per quanto avviene in ambito familiare. Perché quei segnali negativi già rilevati negli anni scorsi adesso sono un dato concreto ed eclatante di quanto le esplosioni di violenza sempre più segnino i rapporti tra persone che appartengono ad uno stesso nucleo. Nel secondo semestre del 2007 ci sono stati 308 omicidi. Di questi, il 9,5 per cento è stato commesso da appartenenti alla criminalità organizzata e il 39,7 da delinquenti comuni. Ben il 21,9 è nato invece da «dissidi familiari o per motivi passionali». La situazione già grave negli anni scorsi, è ulteriormente peggiorata. Su 297 delitti, l’8,9 per cento è stato compiuto nell’ambito di faide tra clan, il 34 da criminali comuni e quasi il 25 per cento per liti tra parenti.

Difficoltà di affermazione sociale
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dal Viminale e relativo al decennio che va dal 1996 al 2006 «nella maggioranza dei casi è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Questo risultato non ci sorprende: la violenza si esercita di norma dal più forte verso il più debole, di conseguenza le donne risultano più esposte rispetto ai compagni. Quando, invece, il rapporto di parentela tra autore e vittima è genitore-figlio, i maschi hanno una probabilità maggiore di essere le vittime di questo efferato crimine». Nella relazione veniva poi evidenziato come «non bisogna dimenticare che gli omicidi da parte di autore di sesso femminile sono una minima parte di quelli commessi e solitamente avvengono nei confronti del proprio partner, in ambienti quindi familiari. In Italia quasi la metà delle donne che agiscono da sole nella commissione di un omicidio hanno come vittima un uomo; la stessa situazione nelle zone del Mezzogiorno risulta più accentuata, con una differenza rispetto al dato nazionale di quasi dieci punti. Il fenomeno dei delitti familiari è stato analizzato anche dal professor Paolo Albarello, nell’ambito di un master organizzato per conto dell’Università La Sapienza di Roma. La ricerca delle cause che scatenano esplosioni di violenza tra persone legate da vincoli di sangue o comunque da rapporti di affetto e di amore, rimane infatti uno dei campi maggiormente esplorati nell’ambito della criminologia. Secondo il docente, esperto di medicina legale, «gli individui incontrano sempre più spesso difficoltà nel dover fornire continuamente risposte, in termini di adattamento, di integrazione e di affermazione sociale ad una serie di richieste e di aspettative sempre più alte e complesse, il che aumenta il senso di insoddisfazione e moltiplica le frustrazioni. Il nucleo familiare diviene sempre più di frequente il luogo di implosione delle spesso inconciliabili aspirazioni di affermazione sociale con il patrimonio di valori interiorizzato dagli individui fin dai primi anni di vita».

Tutti in calo i «delitti predatori»
Non a caso il Sap, il sindacato autonomo di polizia, ribadisce la richiesta di «una normativa di tutela che permetta alle Forze dell’Ordine di poter intervenire, concretamente, nella prevenzione di questo tipo di reati e non soltanto nella repressione». «È necessario investire nella formazione e nella preparazione del personale – chiarisce il segretario Nicola Tanzi – perché le dinamiche di cambiamento della società sono veloci e gli operatori, la cui professionalità spesso nasce spesso dall’esperienza personale e da doti umane non comuni, hanno necessità di essere costantemente aggiornati». La fotografia dell’Italia criminale fornisce anche altre cifre eloquenti. Si scopre che i reati commessi nei capoluoghi sono diminuiti dell’8,3 per cento e ancor di più nelle altre aree con un calo che arriva quasi al 12 per cento. Complessivamente sono state compiute 1.286.391 violazioni penali, ben 145.208 in meno rispetto all’ultimo semestre del 2007 e 215.156 in confronto allo stesso periodo dello scorso anno. I reati «predatori» sono tutti in netto calo. Vanno giù i furti (691.619 con un meno 12,9 per cento), gli scippi (9.403, -13,4), le rapine (23.206, -4,7). Interessante è anche il dato che riguarda il rapporto tra cittadini e forze dell’ordine. Si scopre infatti che le stazioni dei carabinieri continuano ad essere il luogo dove maggiore è l’affluenza di denunce: tra gennaio e giugno il 65,5 per cento di chi doveva segnalare un delitto si è rivolto a loro.

Il Corriere della Sera, 16 Ottobre 2008

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