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“Ma siamo impazziti?”, di Marina Sereni

Nel giugno scorso avevo cercato di gettare un allarme per un’articolazione delle nostre posizioni interne che mi sembrava privilegiasse l’appartenenza a gruppi, fondazioni, correnti piuttosto che al PD in quanto tale: partito pluralista, ma partito, con una sua identità, una sua linea politica, una sua organizzazione, un suo radicamento nella società. Allora tanti amici e compagni, tanti democratici e democratiche mi dettero ragione. Alcuni si sono sentiti chiamati in causa e mi spiegarono le ragioni della loro adesione a questa o quella associazione… A distanza di cinque mesi la situazione mi sembra sempre più preoccupante.
Ricopro un incarico di primo piano nel gruppo PD alla Camera, quasi ogni giorno incontro i massimi dirigenti del nostro partito, eppure provo rabbia e al tempo stesso un senso di impotenza perché non vedo come sia possibile incidere concretamente su una situazione che a me sembra del tutto surreale e pericolosa.

Berlusconi sta governando male, l’opposizione sociale nel Paese è cresciuta, abbiamo chiamato a raccolta il popolo democratico ed ha risposto, abbiamo avuto risultati positivi in Trentino, nel centrodestra si sono aperte crepe e contraddizioni che sta a noi denunciare e rendere evidenti. Il progetto del PD – a maggior ragione dopo la vittoria dei Democratici americani che può segnare la fine dell’egemonia culturale e politica di una destra conservatrice che ha fatto leva sulle paure della globalizzazione – si rivela ogni giorno di più l’unica scelta che la sinistra riformista poteva mettere in campo per rilanciare le idee dell’equità, dell’innovazione, della solidarietà, della democrazia.
Abbiamo davanti un compito non facile ma possibile: ricostruire un legame forte con la società italiana, indicare un progetto di cambiamento del Paese e renderlo credibile agli occhi della maggioranza degli italiani. Tutto questo dentro una crisi economica e sociale gravissima, i cui effetti in termini di impoverimento e insicurezza noi forse stentiamo ancora a immaginare.

In questa situazione, di fronte a queste difficoltà ma anche di fronte ad un oggettivo spazio politico per una opposizione riformista, noi che facciamo? Ci scanniamo su questioni che ai più sembrano vecchie e assurde. Al centro ci scambiamo accuse e parliamo di complotti (per affermarli o per negarli), alcuni difendono comportamenti indifendibili e gridano allo stalinismo, altri parlano del PD come casa d’appuntamenti… Ma, dico, siamo impazziti? Se c’è bisogno di un chiarimento, di uno scontro sulla linea politica, si convochino gli organismi dirigenti (più o meno ristretti), si litighi e poi si assumano le decisioni necessarie. E soprattutto poi ci si concentri su ciò che sta accadendo in periferia, nel territorio.

La mancanza di una direzione collegiale a livello nazionale, di un’assunzione di responsabilità collettiva, alla vigilia di un appuntamento elettorale importantissimo può significare un esito negativo della consultazione. Non c’è bisogno di dire che siamo di fronte ad un quadro già abbastanza complicato: il ricorso alle primarie non sempre è lo strumento più utile per scegliere il miglior candidato per vincere, il rischio di una frammentazione dei gruppi dirigenti che viene poi trasferito agli elettori è molto alto.
Si può ancora intervenire? C’è qualcosa che il gruppo dirigente nazionale del PD può decidere, insieme ai segretari regionali, per evitare di passare le prossime settimane imprigionati in una discussione tutta sulle candidature e nello svolgimento di primarie che alla fine fotografano solo divisioni nei gruppi dirigenti locali?

Se c’è qualcosa da correggere nelle regole che ci siamo dati, facciamolo subito. Siamo un partito nato dall’incontro di più storie e culture: come si fa a rappresentare questa ricchezza e questo pluralismo del PD con equilibrio e senso di responsabilità verso le comunità che pretenderemmo di governare? Sul territorio, se non si cambia nella vita del partito al centro, si rischia che prevalga il “tana liberi tutti”: tutti si candidano a tutto, nessuno si preoccupa del disegno complessivo, si scelgono i dirigenti del PD in funzione degli assetti delle candidature future, si brandisce la bandiera del rinnovamento delle classi dirigenti senza alcun nesso con la piattaforma e il progetto politico.
Il leader c’è, è Walter Veltroni. A lui spetta di guidare un gruppo dirigente nazionale, costruire una dimensione unitaria del partito, che sappia includere e non soltanto sommare, giustapporre. Pur dall’opposizione dobbiamo fare delle scelte sul piano politico-programmatico oltre che su quello delle classi dirigenti. Avremmo le risorse per fare un buon lavoro, ma serve uno scatto, un diverso grado di disponibilità e di voglia di trovare la sintesi. Altrimenti piano piano, silenziosamente molti, delusi e arrabbiati, si allontaneranno da noi.

www.marinasereni.it

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