cose che scrivo, interventi

“Scuola, memoria e integrazione”

Riportiamo l’intervento dell’On. Manuela Ghizzoni in occasione del 64° anniversario dei Fatti d’armi di Limidi del 20 novembre 1944

Domenica 23 novembre sono stata invitata dal Comune di Soliera a celebrare i fatti d’armi di Limidi del novembre 1944, una vicenda forse lontana nel tempo, ma ancora profondamente presente nella memoria della popolazione locale.
Tra il dicembre del 1944 e il febbraio del 1945, nonostante la sospensione dell’avanzata alleata, il rinvio dell’attacco alla linea Gotica e l’invito rivolto alle formazioni partigiane dagli alleati di sospendere le operazioni su vasta scala, i partigiani di queste terre non smobilitarono, ma proseguirono il loro impegno contro il nazi-fascismo. In quei mesi si accentuò la recrudescenza delle azioni militari dei tedeschi e dei fascisti. Questi ultimi avevano costituito in estate il corpo delle famigerate Brigate Nere per contrastare le formazioni partigiane e gli episodi di violenza si acuirono. Si entrò in una spirale di odio che ebbe conseguenze tragiche sulla vita quotidiana della popolazione e che segnò gli anni più bui della nostra storia.
Uno dei momenti più drammatici della guerra fu proprio lo scambio dei prigionieri di Limidi di novembre 1944, quando, dopo giorni di tensione, si concluse positivamente il braccio di ferro tra le forze partigiane che avevano catturato sei militari tedeschi, un milite della brigata nera e un’interprete, e le autorità tedesche che avevano rastrellato 500 civili tra Limidi e Soliera dopo aver incendiato abitazioni e fienili. Furono giorni di grande tensione perché l’esito poteva indubbiamente essere tragico. Grazie anche alla mediazione del vescovo Dalla Zuanna, prevalse la volontà di effettuare lo scambio e il massacro venne evitato. L’episodio dimostrò dal punto di vista militare e politico la forza del movimento partigiano, capace di imporre ai tedeschi la trattativa isolando i fascisti, di fatto esclusi dal negoziato.
Dall’estate del 1944 la Resistenza si era sviluppata in pianura con un’ampia partecipazione popolare. Nella nostra provincia furono quasi 20.000 i partigiani e i patrioti combattenti riconosciuti; tra loro circa 2000 donne. Le donne svolsero un ruolo fondamentale, non solo partecipando attivamente alla lotta armata, ma anche sostenendo le forze antifasciste come staffette o con iniziative di natura non militare (dando rifugio a partigiani, nascondendo e smistando armi, portando messaggi, stampa clandestina e posta partigiana, assistendo feriti). E poi ci fu la Resistenza dei civili, senza armi, ma non per questo meno efficace e capace di creare il vuoto intorno agli occupanti e ai fascisti della Repubblica sociale italiana, i quali erano consapevoli di essere circondati da ostilità e di non godere del sostegno della popolazione locale. La popolazione appoggiava il movimento di liberazione, dando rifugio ai ricercati, curando i feriti, proteggendo i clandestini e concordando con i partigiani le azioni di lotta. Si pensi a ciò che accadde nell’estate del 1944 nelle campagne solieresi e della provincia con il sabotaggio della trebbiatura per impedire la consegna del grano agli ammassi dei nazifascisti. Ma le ragioni della lotta dovevano tenere sempre conto degli interessi della popolazione; proprio in relazione al boicottaggio della trebbiatura, voglio a questo proposito ricordare il realismo di grandi dirigenti politici dell’epoca, penso all’indimenticabile Olinto Cremaschi che propose di sospendere la lotta alla trebbiatura quando tale pratica cominciò a colpire anche la popolazione.
Lo scambio dei prigionieri di Limidi di novembre 1944 si comprende solo se si coglie questo aspetto fondamentale della Resistenza condotta in queste zone, ossia il profondo legame del movimento partigiano con la società locale e il consenso raccolto tra le famiglie, i lavoratori, i giovani e le donne. La vasta rete solidale con il movimento partigiano ha consentito alle forze della Resistenza di condurre una lotta di popolo che non ha eguali in altre regioni del paese. La popolazione era ostile al fascismo di Salò, così come lo era stata in precedenza durante il regime nel ventennio. Tra Limidi e Soliera si pagò un tributo pesante al regime: nel corso degli anni Trenta numerosi antifascisti, spesso militanti comunisti, vennero arrestati in seguito alle retate della polizia politica del regime.
Quest’anno ricorre il 60esimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione della nostra Repubblica e spesso ho ricordato il nesso tra la Costituzione e gli ideali della Resisatenza, ma non dobbiamo dimenticare anche una ricorrenza di segno opposto. Qualche settimana fa è stato approvata in Parlamento una mozione della Lega che “impegna il Governo a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado” e “a istituire classi di inserimento” per gli studenti immigrati. Il provvedimento mi ha ricordato un’altro decreto, emanato proprio 70 anni fa, che recitava:“riconosciuta la necessità assoluta ed urgente di dare uno speciale ordinamento alla istruzione elementare dei fanciulli di razza ebraica” e prevedeva “per i fanciulli di razza ebraica” l’istituzione di “speciali sezioni di scuola elementare nelle località in cui il numero di essi non sia inferiore a dieci”.
Il decreto, che attuava le leggi razziali del 5 settembre 1938, fu pubblicato in Gazzetta ufficiale il 25 ottobre del 1938. Mi pare che il provvedimento della maggioranza in Parlamento abbia celebrato “degnamente” questo vergognoso anniversario. La mozione della Lega, partendo da un problema reale che chi lavora nella scuola conosce, propone una soluzione sbagliata, rappresenta un abominio legislativo, etico e politico e trovo vergognoso che il Presidente del consiglio lo abbia rilanciato in occasione in occasione della giornata internazionale per i diritti dell’infanzia. Non è separando che si realizza l’integrazione. Nel Paese è presente uno strisciante razzismo e si susseguono episodi di xenofobia che vanno contrastati, mentre provvedimenti simili contribuiscono solo a soffiare sul fuoco. La xenofobia si combatte solo con l’integrazione, in primo luogo nella scuola, dove si formano e crescono coloro che non dovranno essere considerati immigrati di seconda generazione, ma nuovi e consapevoli cittadini italiani. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
Perché, al di fuori della perfetta cornice istituzionale e di tutti gli istituti di garanzia democratica che i nostri padri costituenti hanno delineato, e che a volte qualcuno sembra minacciare, esiste un anticorpo alle minacce democratiche di cui tutti noi siamo custodi e responsabili. Questo anticorpo è la memoria, che tutti noi dobbiamo mantenere viva e trasmettere ai più giovani. Il volantino dell’iniziativa solierese citava una frase che condivido: la memoria è futuro. Cancellarla vuol dire irrimediabilmente incorrere negli stessi errori e compromettere il futuro.

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