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“La paura della pietà. Così muore un innocente nell’indifferenza di Napoli”, di Francesco Merlo

Hanno tutti paura, ma non dei camorristi che hanno ormai concluso l´affare e non sono lì, e anzi non sono mai stati all´interno della stazione della metropolitana. Hanno paura sì, ma di intenerirsi, di sentirsi costretti a male impiegare il proprio tempo per confortare la solitudine di chi sta morendo in mezzo alla calca: tutti intorno a lui, ma nessuno accanto a lui.
Sicuramente teme, freddamente e lucidamente teme di dovere essere caritatevole quel tipo grasso con la maglietta rossa, una sagoma inespressiva e insignificante che, in questo video incredibile ed essenziale, smania per timbrare il biglietto mentre ai suoi piedi un ragazzo rantola e la sua donna si dispera perché nessuno lo soccorre. L´omaccione per bene, rispettoso delle regole dei trasporti pubblici, rimane calmo, non fugge e non si fa prendere dal panico. Con destrezza smanetta con il biglietto che è già nella fessura della macchina obliteratrice, ed è visibilmente infastidito dagli altri che invece scappano, fanno ressa, platealmente voltano la testa dall´altra parte che in fondo è solo il modo vile di guardare l´orrore. Quell´uomo invece non si fa mai coinvolgere, neppure da ignavo, neppure con lo sguardo, dal poveraccio che gli muore a fianco dissanguato.
Questa folla robotica, questo starsene lontani per indifferenza o per panico o per non ritardare gli affari propri è la sola vittoria della camorra che mai avremmo voluto vedere e che davvero non possiamo sopportare. Ed è bene metterselo in testa: la folla qui non ha paura dei pistoleros che avevano già sgommato ed erano fuggiti. Qui hanno paura della solidarietà. Avessero assistito alla sparatoria sarebbero rimasti tutti pietrificati. Invece questa folla è un formicaio atterrito che fugge dalla compassione, che sfugge alla misericordia.
La morte violenta è sempre insensata anche quando ha un senso, ma morire così non ha più nulla a che fare con tutte le nostre chiacchiere e le discussioni sulla criminalità organizzata, la storia, l´origine, le filosofie e i sociologismi. Ed è casuale, anche se straziante, che si tratti di un rom, di un suonatore ambulante, di un ragazzo che si porta addosso la dissoluzione di una comunità, di un mondo, di quell´Est che fu impero e che adesso sparge in giro umanità dolente, lavoratori immaginari, giovani e vecchi, donne e bambini mal pagati, maltrattai, invisi, temuti e discriminati.
E però è già capitato e forse ancora capiterà: a un friulano, a un veneto, a un padano, a uno di noi, a chiunque. Sebbene sia spaventoso dirlo, non è questo che ci atterrisce: la camorra che spara nel mucchio e uccide per errore è infatti l´antica bava della ferocia criminale che insanguina le nostre strade, l´orribile spruzzo di una violenza che è quotidiana, ubiquitaria, non solo napoletana e non solo meridionale. Ma la malattia morale dell´indifferenza è qualcosa di più e di diverso dall´abitudine alla morte. Guardatelo bene questo video: sono le immagini scandalose e disgustose di una paese infastidito da un innocente ammazzato. È pietosa quest´Italia che ha paura della pietà.
Repubblica 17.6.09

Corriere della Sera 17.6.09
Le immagini della videosorveglianza fanno paura perché mostrano un enorme vuoto disumano
Quel musicista con la fisarmonica e i trenta minuti di carità negata
di Maurizio Braucci

«Qui non lo lascio. No!» ha detto Mi­rela, la moglie di Petru Birlandeanu, il suonatore ambulante rumeno, ucciso dai killer della camorra il 26 maggio scorso, vittima innocente durante un’azione di rappresaglia criminale nel pieno centro di Napoli. Una settimana fa, Mirela è fuggita in Romania con i due figli e ha disposto che le spoglie del suo caro siano rimpatriate al più presto, lamentando così il duplice oltraggio su­bìto: l’assurdo ferimento di Petru duran­te la sparatoria e la sua agonia davanti ai tornelli di un’affollata stazione ferrovia­ria dove si era rifugiato malgrado fosse stato raggiunto da due proiettili. E’ rima­sto a terra per quasi mezz’ora Petru, mentre le immagini del sistema di video­sorveglianza riprendevano la gente che fuggiva via da Mirela che urlava dispera­ta, cercando un aiuto che nessuno le ha dato fino all’arrivo dell’ambulanza da un ospedale, il vecchio Pellegrini, distan­te 20 metri. La telecamera esterna mo­stra che solo alcuni minuti prima, Petru attraversava con Mirela piazza Monte­santo, davanti alla stazione della linea cumana che ogni giorno serve migliaia di pendolari e turisti. Ambedue appaio­no con il passo stanco di una giornata di fatica, la fisarmonica al collo con cui spesso li avevo visti girare tra i vicoli, suonando melodie che molti ripagava­no lanciando monete dalle finestre. Ep­pure, lì, in un momento cruciale, non hanno trovato nessuna carità. Non cre­do sia stata indifferenza quella di chi li ha evitati, erano persone spaventate, for­se raggiunte dal rumore degli spari appe­na trascorsi, forse semplicemente assue­fatte al vortice di una città violenta e ab­bandonata a se stessa. Non è stata indif­ferenza ma piuttosto ignavia, un’incapa­cità di agire secondo valori dignitosi ed umani, il prevalere di quella viltà con cui si tira a campare, cucendosi addosso mille giustificazioni e diritti, come ha esasperatamente imparato a fare l’Italia di oggi, non solo Napoli. Secondo alcu­ni, lo sguardo di chi ha tirato dritto ave­va compreso che si trattasse di un immi­grato, di uno che conta zero, che qui non ci dovrebbe stare, forse per questo, durante la commemorazione del 4 giu­gno voluta dai centri sociali, una mano ha scritto provocatoriamente su un bi­glietto: un fiore per te Petru, questa era la tua città. Non sono del tutto convinto di questa posizione che, sebbene al pas­so con i tempi, fa salve ancora delle pos­sibilità di solidarietà diffusa. Quando nelle immagini a circuito chiuso, si assi­ste allo svuotamento del piccolo andito da cui tutti sono fuggiti e Mirela resta sola con il suo uomo agonizzante, si pro­va paura, una paura che va ben oltre quella della camorra e del degrado, la pa­ura di ciò verso cui stiamo andiamo: un enorme vuoto disumanizzante, su uno sfondo metallico e impietoso, dove il sangue e le vittime del reale non riesco­no a provocare vergogna e indignazio­ne. Inoltre, per quanto ancora i proble­mi di una città italiana, terza metropoli della nazione, dovranno essere isolati dal contesto generale e trattati come emergenze ed eccezioni che si affronta­no con l’esercito, le misure speciali o con ridondanti dissimulazioni? Forse per sempre Napoli resterà «il ritratto di Dorian Gray» per un’Italia che non vuo­le vedere quanto è culturalmente e an­tropologicamente mutata, in peggio.