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"Un passo nel futuro", di Aldo Schiavone

La notizia che sta facendo il giro del mondo – «abbiamo progettato, sintetizzato e assemblato cellule capaci di autoreplicarsi» – contiene un annuncio da togliere il fiato. È il nuovo millennio che davvero si apre. Dobbiamo salutare l´evento con gioia e con speranza. Si è conclusa la nostra preistoria: stiamo diventando adulti. È l´infinito, come illimitata potenzialità dell´umano, «l´infinito in tutte le direzioni» (come una volta ha scritto Freemaan Dyson), che entra nella nostra vita quotidiana, e la fa esplodere. Tutto quel che finora ci ha circondato appare d´improvviso drammaticamente inadeguato, fuori scala. Siamo sull´orlo di un abisso, catturati dalla vertigine dell´assoluto.
Leggeremo appena possibile su “Science” il protocollo dell´esperimento.
Ma è già abbastanza chiaro quel che è accaduto: Craig Venter, con la collaborazione di Hamilton Smith, è riuscito a realizzare cellule artificiali in grado di sopravvivere e di riprodursi grazie a un cromosoma costruito dai ricercatori con l´aiuto dei computer e di un sintetizzatore di Dna. Come ieri hanno spiegato bene Luca e Francesco Cavalli-Sforza su questo giornale, «non è la creazione della vita dal nulla, ma certo è la fabbricazione della vita».
La distinzione fra «naturale» e «artificiale», fra ciò che è «naturalmente divenuto» e quel che è invece «tecnicamente prodotto», è stata finora costitutiva della storia umana. Ancora oggi vi ricorriamo in quasi tutte le nostre pratiche più familiari. Ebbene, oggi questa separazione sta cominciando a svanire. Bisognerebbe avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: stiamo prendendo congedo dalla naturalità dell´umano; la nostra specie sta iniziando a entrare in una dimensione determinata soltanto dai prodotti della sua intelligenza e della sua cultura. Ci stiamo congedando dalla selezione naturale – anche se la cerimonia dell´addio avrà una durata imprevedibile. Dovremo guardare in noi stessi, e decidere cosa vorremo diventare. Le basi «naturali» della nostra esistenza stanno smettendo di apparire come un presupposto immodificabile del nostro agire, per diventare soltanto un risultato storicamente determinato delle nostre scelte.
La cosa più importante di tutte, ora, è non aver paura – anche se saranno in molti, e per svariate ragioni, a cercare di farcene avere. Dobbiamo essere cauti, non spaventati. Stanno per ricadere su di noi responsabilità enormi, e dobbiamo preparare le nuove generazioni ad affrontarle. Stiamo consegnando nelle loro mani un pianeta a rischio, ma anche possibilità straordinarie, quali mai nessuno aveva nemmeno osato intravedere.
Le prime reazioni della Chiesa sono state prudenti, ma non negative. È un buon segno. Il cardinal Bagnasco, in particolare, mi è sembrato molto equilibrato. Mi piacerebbe pensare che le discussioni di questi ultimi anni stiano servendo a qualcosa. Ciò che dobbiamo in ogni modo evitare di credere è che quanto sta accadendo sia l´improvvisazione impazzita di un piccolo gruppo di ricercatori-avventurieri. Si tratta invece di un appuntamento lungamente preparato, e comunque inevitabile. È da un tempo immemorabile che stiamo correndo verso la soglia che abbiamo raggiunto: un punto dal quale il senso della presenza umana nello spazio e nel tempo, quindi l´interezza del nostro essere e del nostro cammino – l´insieme della nostra storia, il cui accumulo diventa, oltre un certo limite, il nostro destino – appaiono inondati da una luce mai prima intravista.
Il grande problema che abbiamo di fronte è quello del controllo e della direzione. Il significato della transizione rivoluzionaria che stiamo vivendo è tutto qui: non nel fermare il volo della tecnica, ma nell´integrarlo all´interno di un progetto globale di emancipazione e di sviluppo; di saperlo includere in una autentica etica della specie. Abbiamo bisogno più che mai perciò di politica, di democrazia, di diritto, di moralità, di una nuova teoria dell´eguaglianza: per guidare la trasformazione, non per cercare di esorcizzarla.
La tecnica non è mai una struttura neutra: essa vive sempre entro rapporti sociali determinati. E oggi essi si realizzano attraverso una connessione ogni giorno più stretta tra ricerca, innovazione e mercato: lo stesso Craig Venter ne sa bene qualcosa. Questo significa che la tecnica tende a incontrare la vita sempre di più sotto forma di merce: di qualcosa che si vende e si compra. Ma cosa accade se dal rapporto con una tecnica-merce dipenderà la configurazione stessa della specie? È di questo che oggi si deve cominciare a discutere, se vogliamo davvero prepararci al tempo che ci aspetta. Come accogliere nella storia l´infinita potenza dell´umano sarà il grande tema del nostro futuro: agli estremi opposti di una strada non poi tanto lunga, Marx e Nietzsche lo avevano entrambi intuito. Per equilibrare questa inaudita capacità di conoscere e di trasformare, avremo bisogno di rivoluzionare noi stessi. Non è detto che non ne saremo capaci.

La Repubblica 22.05.10

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