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Bersani a Pdl e governo: «Noi leali, niente prese in giro», di Simone Collini

Il messaggio di Bersani a esecutivo e forze che appoggiano Monti: «Noi siamo leali, sosteniamo il governo, ma non ci lasciamo prendere in giro». Oggi riunione dei garanti Pd: verso l’espulsione di Lusi. Un messaggio al governo e alle altre forze politiche che lo appoggiano in Parlamento e un messaggio rivolto a militanti, elettori, simpattizzanti e più in generale all’opinione pubblica. Il primo Pier Luigi Bersani lo lancia dicendo: «Noi siamo leali, sosteniamo il governo, ma non ci lasciamo prendere in giro». Il secondo è nella decisioni che oggi prenderà la Commissione di garanzia del Pd: l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi sarà espulso dal partito.
Lasciando uno dei seggi per le primarie allestiti a Piacenza per scegliere il candidato sindaco, Bersani torna sulla norma riguardante la responsabilità civile dei giudici approvata la scorsa settimana alla Camera «con meccanismi di vecchia maggioranza e anche contro le indicazioni del governo stesso». Dice il leader del Pd: «Questo è un problema. Noi siamo leali, sosteniamo il governo, ma non ci lasciamo prendere in giro». Un appello al senso di responsabilità del Pdl, che su giustizia e Rai sta dimostrando di voler avere le mani libere e di far rivivere l’alleanza con la Lega. Ma un appello anche a Monti affinché affronti la situazione, perché non è possibile come Bersani si è sfogato nei giorni scorsi sia nell’incontro a Palazzo Chigi che in un colloquio con Napolitano al Quirinale che il Pd voti in parlamento anche le misure che non lo convincono al cento per cento mentre il Pdl solo a parole dimostra la stessa realtà. Per il segretario dei Democratici, che risponde a una domanda sull’editoriale di ieri dell’Unità, è «esagerato» dire che il governo abbia cambiato natura dopo le ultime uscite di Monti sull’articolo 18. Il punto è un altro: «Io ho segnalato alcuni fatti, che sono un colpo di mano sulle nomine Rai, una norma anti-magistrati e degli emendamenti al Senato sulle liberalizzazioni. Sono tutte cose approvate con meccanismo di vecchia maggioranza anche contro le indicazioni del governo stesso. Questo è un problema. Noi siamo leali, trasparenti, sosteniamo il Governo ma non ci lasciamo prendere in giro. Questo è il messaggio che voglio dare, e quindi adesso ci si dia una regolata».
Dopodiché Bersani è convinto che l’esecutivo Monti arrivi a fine legislatura, «almeno per quel che riguarda il Pd», ma devono finire (e sullo spontaneamente è piuttosto scettico) le «provocazioni» che arrivano dal fronte Pdl. «Qualche problema c’è, è inutile negarlo. E questo non è salutare per il governo, che deve fare cose di segno nuovo e le sta facendo».
Tra le cose nuove che devono fare invece le forze politiche c’è la riforma della legge elettorale. La proposta di un patto da parte Berlusconi non convince i Democratici. Bersani ragionando sulla questione con i suoi ha spiegato che il Pd deve discutere con tutti, chiarendo che la sede del confronto è il Parlamento e non tavoli particolari e che il dialogo deve coinvolgere tutte le forze politiche, pur partendo da quelle che sostengono Monti.
Dal Pdl è arrivata una richiesta di incontro e domani Gianclaudio Bressa, Luigi Zanda e Luciano Violante incontreranno Ignazio La Russa e Gaetano Quagliarello. Ma il Pd avvierà nei prossimi giorni una serie di incontri anche con Terzo polo, Idv e Sel, facendo partire la discussione dalla proposta depositata in parlamento (un sistema misto maggioritario-proporzionale con doppio turno).
LUSI VERSO L’ESPULSIONE
Già questo pomeriggio si chiuderà invece (almeno per quanto riguarda il Pd) la vicenda Lusi. Il senatore espulso l’altra settimana dal gruppo dei Democratici, che l’altro giorno si è autosospeso dal Pd, oggi sarà cancellato dall’anagrafe degli iscritti al partito. Questo è almeno l’orientamento prevalente tra i nove membri della Commissione di garanzia presieduta da Luigi Berlinguer alla vigilia dell’appuntamento. Di fatto si tratterebbe di un’espulsione (termine che non compare nello Statuto o nel codice etico) dell’ex tesoriere della Margherita.

L’Unità 6.2.12
Intervista a Luciano Neri
«Non credo alla storia che Lusi abbia agito da solo»
L’atto d’accusa del componente dell’assemblea della ex Margherita. «Fui il solo a votare contro il bilancio. Chiedo le dimissioni di Bianco e Rutelli»
di Claudia Fusani

Basta ipocrisie e falsità. Voglio subito l’assemblea della Margherita, immediatamente, abbiamo già aspettato anche troppo, Bianco e Rutelli devono convocarla, presentarsi dimissionari e mettere a nostra disposizione i bilanci. Siamo in grado di leggerli da soli una volta che ce li danno».
Luciano Neri è un dirigente nazionale della Margherita, uno dei 398 componenti dell’assemblea e responsabile della Consulta per gli italiani nel mondo del Pd. Quando ha letto che risultava tra coloro che avevano approvato il bilancio della Margherita nella ormai famosa assemblea del 20 giugno 2011, ha abbandonato ogni residuo di pazienza. «È un falso dice Domani (stamani, ndr) mi presento al Senato nello studio di Enzo Bianco e Rutelli e non me ne vado finché non vedo una convocazione scritta dell’assemblea e non mi hanno consegnato il bilancio. Non sono un magistrato ma come dirigente nazionale della Margherita considero entrambi responsabili di aver creato oggettivamente le condizioni di opacità che ci hanno portato alla situazione di oggi».
Lei punta il dito contro Bianco e Rutelli. Perché?
«Perché scopro leggendo i giornali che il verbale dell’assemblea del 20 giugno 2011 risulta approvato all’unanimità. Io invece quel giorno ero uno dei dodici presenti su 398 aventi diritto e ho votato contro. Parisi si astenne. Due posizioni diverse di cui non esiste evidenza. Quindi quel verbale è falsificato».
Perché era contrario?
«Quel giorno s’arrivò quasi alle mani. Ebbi a ridire su tutto, a cominciare dal modo in cui eravamo stati convocati. Possibile che fossimo solo in 12 su 398? Chiesi conto di come erano state fatte le convocazioni. Non mi risposero. Chiesi di leggere il bilancio e di averne copia. Ci fu detto che non era possibile. Mi ribellai e Lusi, intorno al tavolo con Bianco e Rutelli, ebbe uno scatto, si offese dicendo che veniva messa in dubbio la sua serietà. Poi ricordo che loro tre confabularono a lungo».
La grande lite quel giorno fu anche su altro.
«Ci dissero che erano disponibili circa venti milioni residui del finanziamento elettorale. Io e Parisi proponemmo di restituire alla società civile quelle risorse. Scoppiò l’inferno e con una levata di scudi passò la linea della redistribuzione dei soldi».
A chi?
«Alle varie componenti organizzate della Margherita. Non deve essere stato casuale se a quella convocazione hanno risposto solo responsabili e referenti delle componenti. Ricordo ancora Gentiloni che avvertì: “Stiamo dando l’idea che ci vogliamo spartire il malloppo”».
Scusi Neri, ma perché non avete denunciato subito e per tempo queste opacità?
(Prende tempo e cerca di calibrare bene le parole) «Probabilmente tutti pensavano che il tesoretto sarebbe stato redistribuito in parti congrue. Ecco perché non ci sono state denunce».
Ha idea quanti soldi abbia ricevuto la Margherita dal 2006 a oggi come finanziamento pubblico?
«No, nessuna. E come me la maggior parte dei 398 membri dell’assemblea».
Eppure da allora avete approvato cinque bilanci. Le sembra normale? «Tutto è inverosimile in questa vicenda. La maggior parte di noi apprende le cose dai giornali. Non sapevamo e non sappiamo nulla. È gravissimo ad esempio che Rutelli sia stato interrogato il 17 gennaio, abbia fatto dimettere Lusi dall’incarico di tesoriere solo una settimana dopo (il 25 gennaio, ndr). E se non fossero usciti i giornali il 31 gennaio, non avremmo saputo nulla neppure dopo». Rutelli dice di essere stato fregato dall’amico di una vita. Possibile che Lusi abbia fatto tutto da solo? «Alla ricostruzione di Lusi ladro in solitaria non crede nessuno. Meno che mai io. Rutelli sapeva dell’esistenza della TTT srl. Una cosa è certa: colpevolmente non ci sono state le informazioni obbligatorie per legge. Per questo chiedo le dimissioni di tutti. Immediate. Ed è già troppo tardi». Andrà in Procura?
«Chiederò di essere sentito».

L’Unità 06.02.12