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“I furbetti di Arcore”, di Rinaldo Gianola

Dopo aver combattuto con ogni mezzo le intercettazioni telefoniche, Silvio Berlusconi affronteràn un nuovo processo proprio per essersi procurato indebitamente la registrazione telefonica tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, all’epoca della scalata Bnl, ed averla usata per danneggiare l’ex leader dei Ds e Unipol. Il caso, che arriverà a processo il 15 marzo, è ben noto ai lettori dell’Unità, perchè fu il nostro giornale a svelare la vicenda, ma qualche dettaglio va ricordato. L’ex premier è imputato di rivelazione del segreto istruttorio nell’ambito dell’operazione Unipol-Bnl avviata nel 2005. Nel gennaio del 2006 Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, pubblicò il testo della telefonata fatta da Piero Fassino a Giovanni Consorte, nella quale l’attuale sindaco di Torino pronunciava la famosa domanda: «Allora abbiamo
una banca?». Berlusconi sarebbe venuto a conoscenza del contenuto della telefonata attraverso Roberto Raffaelli, titolare della Rcs che aveva l’appalto delle intercettazioni per conto della procura, e l’imprenditore Fabrizio Favata ospiti ad Arcore alla vigilia di Natale del 2005, presenti il Cavaliere e il fratello Paolo, per portare il gradito “dono”. Qualche giorno dopo l’incontro a Villa San Martino il testo della telefonata fu pubblicato in prima pagina dal Giornale, allora diretto da Maurizio Belpietro, che non si fece scrupolo di pubblicare persino le normali telefonate di lavoro di qualche giornalista con Consorte.
La famosa frase di Fassino, che si è costituito parte civile, aveva una rilevanza vicina allo zero per le indagini avviate in quel momento sull’Opa. Probabilmente sarebbe finita in qualche archivio, o addirittura cancellata, perchè priva di alcun interesse per gli inquirenti. Ma quell’interrogativo produsse un effetto mediatico abnorme, suscitò un interesse patologico nei fanatici che sognano di mettere la loro firma sotto qualunque verbale, mobilitò eserciti di improbabili moralizzatori che vedevano in quella telefonata la “prova” definitiva della commistione indebita tra la politica, cioè i Ds, e gli affari, l’Unipol e il progetto delle cooperative di conquistare una grande banca. Montezemolo e Della Valle si indignarono assai, la grande stampa padronale si interrogò se, alla luce di quella telefonata, la sinistra avrebbe mai potuto prendere la guida del governo o se, invece, avrebbe dovuto superare nuovi, più impegnativi esami di affidabilità.
Niente è casuale, tutto si tiene. In quel momento si stava preparando la campagna elettorale, Berlusconi era in difficoltà, interi salotti di oligarchi temevano che potessero emergere nuovi protagonisti nel sistema bancario e finanziario mettendo
in discussione antichi equilibri e sicure protezioni. Sono i mesi in cui si ipotizzava un’irreale aggressione al Corriere della Sera, controllato al 60% da un patto azionario blindato, da parte dell’immobiliarista Stefano Ricucci, un allarme che spinse alcuni politici, compreso Francesco Rutelli, a immaginare un provvedimento legislativo per difendere l’«istituzione di garanzia» di Via Solferino dall’inesistente assalto dei barbari.
È, inoltre, interessante ricordare il doppio comportamento di Berlusconi e dei suoi sodali in quei mesi. Da una parte il governo assicurava l’Unipol di Consorte di non aver alcuna riserva od opposizione al tentativo di acquisto della Bnl perchè, come disse il sottosegretario Gianni Letta all’ex amministratore delegato della compagnia bolognese in un incontro riservato a Palazzo Chigi, l’esecutivo non intendeva interferire con un’operazione di mercato.Ma poi, probabilmente, Berlusconi ci ripensò e quando due imbroglioni gli regalarano per Natale la famosa intercettazione ecco che prevalse la volontà di strumentalizzarla contro il leader del partito di opposizione che, in quel momento, era largamente favorito per la successiva consultazione elettorale e contro le ambizioni di espansione della compagnia delle cooperative.
Sono episodi lontani. La “scandalosa” frase di Fassino oggi fa sorridere mentre l’Unipol viene addirittura chiamata da Mediobanca per un salvataggio di sistema. E Berlusconi? Per lui gli anni non passano. Dice di non aver mai ascoltato la registrazione. Forse punta a scaricare la responsabilità sul fratello Paolo, formale editore del Giornale. Non è giusto, povero Paolo.

L’Unità 08.02.12