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"Mani Pulite? Il Paese perse la grande occasione per battere la corruzione", intervista a Gerardo D'Ambrosio di Rinaldo Gianola

La realtà «Dobbiamo essere crudeli con noi stessi: la cultura della legalità fatica a farsi strada, bisogna ripartire dal basso, dalla scuola». Le campagne di delegittimazione della magistratura favoriscono il degrado etico e politico. Abbiamo perso una grandissima occasione». Vent’anni dopo Mani Pulite le amare parole di Gerardo D’Ambrosio, per una vita magistrato a Milano indagando da Piazza Fontana a Tangentopoli e oggi senatore Pd, raccontano la delusione per il fallimento di una stagione che avrebbe potuto cambiare profondamente il Paese.
Dottor D’Ambrosio, che cosa abbiamo perso?
«Abbiamo smarrito l’occasione di sconfiggere la corruzione, il cancro che avvelena la politica e l’ economia. Siamo ancora qui a invocare la cultura della legalità, altrimenti non c’è possibilità di risanamento, di rinascita, di sviluppo». Vent’anni fa, invece, la speranza di cambiare c’era davvero?
«Sì. Mani Pulite raccolse un consenso enorme nell’opinione pubblica perchè le nostre inchieste svelavano quanto fosse grave e profonda la questione morale. Spadolini e Berlinguer avevano già denunciato il degrado dei partiti, la gestione corrotta della cosa pubblica. Ma nel 1992 l’Italia comprese come la corruzione stava distruggendo l’economia. Avevamo un debito pubblico enorme, pari al 120% del Pil, eravamo in condizioni terribili, simili a quelle di oggi, con Giuliano Amato costretto ad adottare misure straordinarie».
Qual era la malattia della Prima Repubblica?
«La corsa al finanziamento illecito da parte dei partiti era massiccia, sfuggiva a qualsiasi valutazione. La corruzione si era infiltrata nella burocrazia, nell’amministrazione, i partiti decidevano chi doveva vincere gli appalti. I corrotti facevano carriera, gli onesti no».
Come reagirono i cittadini?
«All’inizio l’inchiesta ebbe un grande successo. L’opinione pubblica rimase indignata dallo sperpero di denaro pubblico. Il potere politico non reagì, anzi in molti approvarono la nostra azione e forse ci illudemmo che la classe politica avrebbe cercato di cambiare, di emarginare i corrotti, di avviare il rinnovamento. Ma non successe nulla». Perchè?
«Il clima cambiò presto, soprattutto tra i partiti. Ci fu un episodio che segnò questo passaggio. Per errore la Guardia di Finanza si presentò alla Camera per chiedere i bilanci che avrebbe potuto acquisire dalla Gazzetta Ufficiale. Fu un chiaro incidente, un equivoco, noi chiedemmo subito scusa, ma la frittata era stata fatta. Il fatto scatenò la prima forte reazione della politica contro la magistratura. Da quel momento partì una campagna di delegittimazione dei giudici che, per la verità, non si è più spenta. Iniziarono a piovere le accuse contro la Procura di Milano. Secondo alcuni facevamo troppi arresti, ma tutti i nostri provvedimenti erano accettati e firmati dal Gip. Noi perseguivamo i responsabili di gravi reati».
Le Istituzioni compresero la gravità degli episodi che emergevano da Mani Pulite?
«Il presidente Scalfaro intervenne per raccomandare che venissero allontanati dalla politica tutti coloro che erano implicati nelle inchieste. Poi ci fu il tentativo di mettere tutto a tacere, con il pacchetto Conso che venne ritirato per la nostra reazione, ma l’obiettivo era chiaro. Successe di peggio, dopo la vittoria elettorale di Forza Italia, con il decreto Biondi che voleva scarcerare gli imputati di corruzione e concussione e di fatto impedire che si perseguissero i corrotti». Voi giudici di Mani Pulite siete stati accusati di aver avuto un occhio di riguardo per la sinistra. Anche Carlo De Benedetti, recentemente, ha detto che l’inchiesta salvò i comunisti… «Pensi che nella mia carriera di magistrato sono stato accusato di essere fascista, comunista e persino di aver protetto l’ingegner De Benedetti… Non scherziamo, sono tutte balle. Le parole di De Benedetti sono gravi perchè puntano a delegittimare la magistratura. Esponenti di rilievo del Pci finirono in carcere, le inchieste andarono avanti senza riguardo per nessuno. Magistrati come Davigo e Di Pietro, poi, non potevano nemmeno essere sospettati di essere di sinistra».
Perchè Mani Pulite a un certo punto smarrì la sua forza propulsiva? «Questo, forse, è il capolavoro di Silvio Berlusconi. Se la ricorda Retequattro? Trasmetteva in diretta da palazzo di Giustizia, con Paolo Brosio che elencava gli arresti tra gli applausi dei passanti. Forza Italia vince le elezioni del 1994 sull’onda dell’antipolitica, contro i partiti che rubano. La mistificazione mediatica e politica fu enorme perchè il creatore, il leader di Forza Italia era indagato e imputato. E quando Berlusconi arriva al governo le sue misure sono coerenti con le sue responsabilità e mirano a frenare l’azione della magistratura. Ho ricordato il decreto Biondi. Quindi c’è il tentativo di cambiare il codice di procedura penale annullando le confessioni rese al pm o alla polizia, poi la ex Cirielli con il taglio dei termini della prescrizione. E siamo alla legge ad personam per eccellenza, quella per alleggerire il falso in bilancio. È una legge propedeutica alla corruzione, favorisce la creazione di fondi neri». E la sinistra? Ha commesso errori? «Dal mio punto di vista la sinistra poteva fare di più, nel Paese e in Parlamento, per la difesa della legalità. Penso che qualche volta abbia rinunciato a dare battaglia, si è adeguata per comodità, per evitare tensioni. Negli ultimi vent’anni le due brevi stagioni dei governi Prodi non hanno lasciato alla sinistra la possibilità di incidere su questi temi».
Qual è oggi la priorità del Paese?
«La legalità. Dobbiamo essere crudeli con noi stessi: il Paese ha rifiutato la legalità. Anche oggi chi pratica la corruzione, chi evade le tasse non è considerato come un ladro che danneggia l’intera collettività. Eppure la corruzione vale 60 miliardi di euro e secondo la Banca d’Italia pregiudica la possibilità di investire, di creare sviluppo, occupazione. È una battaglia politica e culturale, bisogna ripartire dal basso, dalla scuola, insegnare e difendere il valore della legalità».
La cronaca offre i casi di parlamentari che abusano ancora di denaro pubblico o che guadagnano milioni su mediazioni immobiliari. Che impressione ricava da questi fatti? «Un’impressione terribile. Il politico che ruba soldi pubblici va subito emarginato, denunciato. Senza esitazione, senza timidezze».
Com’è la sua esperienza di parlamentare?
«Non sono molto a mio agio. Conduco le mie battaglie, faccio proposte, ma c’è un grosso problema, inutile nasconderlo. Il sistema maggioritario, questa legge elettorale limitano la democrazia. Il deputato sa che sarà rieletto solo se si comporterà bene con i suoi dirigenti»

L’Unità 12.02.12

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