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“Falso movimento”, di Fabrizio Dacrema

Eppure il Ministro Profumo aveva visto giusto. Si trattava di dare alla scuola chiari segnali di inversione di tendenza pur nel quadro economico e finanziario emergenziale in cui versa il paese. Corrette le priorità individuate: rilancio dell’autonomia scolastica, potenziamento della filiera dell’istruzione e della formazione per il lavoro, sviluppo del sistema nazionale di valutazione, sicurezza e qualità dell’edilizia scolastica.

Come il protagonista del vecchio film di Wim Wenders, il Ministro nel decreto semplificazioni avrebbe voluto “poter scrivere qualcosa di assolutamente necessario”, invece ha dovuto limitarsi al possibile, cioè a quanto autorizzato dagli occhiuti controlli del Ministero dell’Economia e delle Finanze. (MEF).

L’occasione perduta dell’organico funzionale

In particolare sul nodo decisivo delle risorse per l’autonomia scolastica l’idea di far partire subito il meccanismo dell’organico funzionale di scuola e di rete è stata accantonata e, di fatto, rinviata alla prossima legislatura.

Avviando immediatamente l’organico funzionale si sarebbe, invece, inviato alle scuole il messaggio della fine dell’era dei tagli lineari a favore dell’attribuzione alle scuole di risorse professionali stabili e arricchibili progressivamente e in modo mirato al fine di ricostruire condizioni essenziali per assolvere al mandato costituzionale di assicurare a tutti il diritto all’istruzione. Le scuole avrebbero più facilmente trovato la motivazione per attivare i necessari processi di innovazione e le conseguenti nuove forme di organizzazione didattica e del lavoro in presenza di criteri di gestione delle risorse basati sulla funzionalità e le flessibilità. Invece continuano a prevalere incertezza e precarietà e tutto rimane più difficile.

La subalternità del Ministero dell’Istruzione al MEF, in piena continuità con il modello Tremonti-Gelmini, non è la conseguenza di una diatriba tra Ministeri. Prevale anche nel Governo Monti, come nell’Unione Europea, la scelta per politiche di austerità destinate a ridurre il perimetro pubblico del welfare e a condurre l’economia nelle spirale della recessione e del dissesto finanziario. Con l’intento di rispondere alla speculazione dei mercati si persegue esclusivamente una politica di rigore finanziario, si strozza la crescita, si vanificano gli sforzi di risanamento compiuti e non si investe nei settori della conoscenza e dei beni ambientali indispensabili per il futuro del paese. Si continuano a riproporre i modelli neoliberisti della svalutazione del lavoro: enfatizzazione della libertà di licenziare e disattenzione verso i fattori del capitale umano. Non si prende atto, in Italia e in Europa, del fallimento del modello ultraliberista fondato su stato minimo, esaltazione delle disuguaglianze e deregolazione finanziaria.

Ripartire dalle politiche per il lavoro …

Per queste ragioni solo una sostanziale correzione della politica economica esclusivamente rigorista del Governo Monti potrà permettere al Ministro Profumo di recuperare dopo il passo falso compiuto con il decreto semplificazioni.

La trattativa avviata tra Governo e Parti Sociali può e deve ottenere risultati per cambiare la politica economica del governo, creare lavoro e opportunità, migliorare il welfare, rimettere in moto la crescita e risanare i conti attraverso investimenti pubblici strategici, stimoli agli investimenti privati ad alta intensità tecnologica e della conoscenza, incentivi per l’occupazione, soprattutto giovanile e femminile. Lotta all’evasione fiscale e al sommerso, riqualificazione della spesa unite a una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza sono gli strumenti per trovare le risorse necessarie.

In questa prospettiva il Ministro Profumo ha azzeccato la mossa annunciando una legge sull’apprendimento permanente. La ragione è semplice, nessun paese può pensare di evitare il declino economico e civile con metà della popolazione attiva con livelli di istruzione che non superano la terza media, dispersione scolastica a quasi il 20% e 6,2% di adulti che partecipano ad attività formative. Cifre che ci allontanano da tutti i paesi con economie competitive sul terreno dell’innovazione.

… e per l’apprendimento permanente

Per affrontare questa vera e propria emergenza formativa, oltre a una legge che affermi il diritto all’apprendimento permanente (vedi proposta di legge d’iniziativa popolare presentata in Parlamento), sono possibili immediati interventi di svolta, indicati dalla Cgil e dalle altre organizzazioni degli Stati Generali della Conoscenza che stanno promuovendo le iniziative (Milano, Napoli, …) “Sapere per Contare – Dieci proposte per il diritto all’Apprendimento Permanente”. Per raggiungere l’obiettivo di raggiungere il benchmark fissato dalla Commissione Europea del 15% della popolazione 25-64 anni che partecipa ad attività formative, è opportuno individuare alcune situazioni di emergenza su cui intervenire in modo prioritario: ridurre i 3 milioni nella fascia di età 20-34 senza diploma e senza qualifica professionale, promuovere l’accesso delle donne alla formazione per contrastare l’esclusione dal lavoro, garantire agli immigrati percorsi formativi per la lingua e la cittadinanza, sostenere la partecipazione alla formazione continua dei lavoratori con bassi titoli di studio e basse qualifiche professionali per promuovere i processi di innovazione e riposizionamento qualitativo del sistema produttivo, favorire lo sviluppo di processi formativi specificamente diretti ai lavoratori “maturi” per sostenere il prolungamento dell’attività lavorativa e l’invecchiamento attivo, diffondere processi formativi rivolti alla popolazione anziana per l’acquisizione di “life skills”. Un piano di interventi immediato potrebbe essere lanciato come campagna di alfabetizzazione per l’anno successivo all’approvazione della legge per innalzare il livello di conoscenze e competenze di almeno 100.000 persone su tre temi: patente informatica europea, lingue straniere (in particolare inglese), italiano per stranieri.

Un intervento convergente di legge e contrattazione dovrebbe ampliare le opportunità di partecipazione dei lavoratori alla formazione aprendo una nuova stagione di centralità della formazione per la riorganizzazione delle imprese e per lo sviluppo retributivo e di carriera dei lavoratori. La legge potrebbe stabilire un minimo di congedi non retribuiti e di permessi retribuiti come base dalla quale poi la contrattazione potrebbe partire nei diversi comparti per ottenere situazioni migliorative.

Valorizzare gli aspetti positivi del decreto semplificazioni

L’obiettivo di potenziare le competenze per il lavoro e lo sviluppo può essere perseguito anche attraverso le misure contenute nel decreto semplificazioni, sempre che la politica economica del governo cambi e si riesca a uscire dalla logica della conferma punto per punto dei tagli Tremonti-Gelmini.

Il decreto riprende la legge 40/2007 per rilanciare e ampliare attraverso successive linee guida alcune misure rimaste inattuate della riorganizzazione dell’istruzione tecnica e professionale. Si aprono così importanti opportunità per rafforzare il coordinamento e l’integrazione tra percorsi statali e percorsi di istruzione e formazione professionale regionali, per favorire la costituzione dei poli tecnico-professionali come strumenti per la programmazione integrata territoriale dell’intera filiera dell’offerta formativa per il lavoro e di gestione delle esperienze di alternanza scuola lavoro. Inoltre è possibile promuovere e incentivare l’utilizzo dell’apprendistato per il rientro in formazione dei giovani drop out che hanno abbandonato la scuola privi di diploma e di qualifica. Positive anche le misure previste per gli istituti tecnici superiori, per i quali si profila una riorganizzazione finalizzata ad una migliore utilizzazione delle risorse, favorendo l’aggregazione delle migliori esperienze, anche con collaborazioni multi regionali, evitando frammentazioni dispersive e non qualificate.

Decisamente positivo poi il piano nazionale di edilizia scolastica ottenuto attraverso un’intelligente integrazione e finalizzazione di fondi europei e stanziamenti CIPE.

Un esempio da seguire perché il primo passo per trovare le risorse da investire nella conoscenza è la miglior utilizzazione delle risorse esistenti. Per questo è ormai improrogabile l’attuazione delle prerogative delle Regioni previste dal Titolo V della Costituzione. Spetta infatti a Regioni ed Enti Locali realizzare una migliore riallocazione delle risorse per i percorsi di istruzione (le Regioni che fanno scelte virtuose sulla rete scolastica devono poter reinvestire per la qualità dell’offerta formativa) e favorire l’integrazione delle risorse per la formazione permanente (fondi statali, regionali europei e Fondi Interprofessionali).

da Scuola Oggi 13.02.12