attualità, politica italiana

"Per i forzisti la difficoltà di essere normali", di Marcello Sorgi

Anche se alcuni dei casi emersi (come quello di Salerno) non sono affatto trascurabili, e denotano, come ha denunciato l’ex ministro Frattini in un’intervista al «Riformista», una sorta di malattia sistemica del Pdl, la vicenda delle tessere false contro cui è duramente intervenuto ieri Alfano, svela difficoltà maggiori del previsto del partito di Berlusconi a trasformarsi in un’organizzazione «normale», in parte assimilabile alle altre figlie o nipoti di quel che resta della Prima Repubblica, e in grado di salvare, non si sa come, quel che rimane della sua giovane storia e tradizione e del piglio rivoluzionario delle origini.

Certo, nella storia delle tessere comperate e vendute, sembra di rivedere un po’ della vecchia Dc. Ma il Pdl, nato nella famosa domenica del predellino da uno scatto di Berlusconi, malgrado le promesse di omologarsi, è stato ed è rimasto fino all’estate scorsa il «partito del presidente», in cui perfino la lottizzazione del vertice e dei coordinatori tra ex Forza Italia e ex An, formalmente improntata alla regola del 70/30, obbediva alle scelte dirette del fondatore. Che infatti, anche nel momento di maggior crisi, alla vigilia della caduta del suo governo, ha potuto proporre e fare approvare per acclamazione il segretario designato Alfano.

Era tuttavia già chiaro da tempo che in vista della caduta le correnti nel partito stessero già organizzandosi, e in alcuni casi (vedi la vicenda della mancata presentazione della lista a Roma alle regionali) puntando pure a prevalere sulla volontà del Cavaliere e del gruppo dirigente, o a dissolverla con le loro lotte intestine. La nomina di Alfano fu voluta, non solo per rilanciare con un leader giovane un partito uscito con le ossa rotte dalle elezioni locali, ma anche come baluardo ai potentati locali che rischiavano di avere la meglio.

L’opera di bonifica, se c’è stata, è andata avanti in silenzio, fino alla vigilia congressuale. Ma lo scontro adesso è riesploso, soprattutto al Sud, dove il tramonto di Berlusconi ha messo in discussione anche il potere dei raiss di periferia, e dove la ventilata stagione di ritorno al proporzionale rende indispensabile conquistare le posizioni di comando per poi avere mano libera nei giochi successivi. Da questo punto di vista Alfano non ha scelta: in un partito che si avvia per la prima volta ad abbandonare il cesarismo delle origini per avventurarsi nell’ignoto del suo futuro postberlusconiano, un compromesso con le correnti, per il segretario, sarebbe già rischioso al congresso. Ma, siglato prima, potrebbe addirittura risultare letale.

La Stampa 17.02.12