attualità, politica italiana

"Il Grande Capitale vuole il bis", di Massimo Giannini

Dopo i riconoscimenti della City e di Wall Street, era fin troppo facile prevedere che Mario Monti avrebbe mietuto successi anche a Piazza Affari. Milano è la sua “casa”, in ogni senso. Da anni non è più la “capitale morale” del Paese. Ma resta pur sempre il cuore dell´economia e della finanza italiana. E oggi questo cuore batte palesemente per il Professore. Non è un´opinione, ma una constatazione. Quello di Monti non è il “governo dei Poteri Forti”, ma è un fatto che i Poteri Forti sostengono il governo di Monti. I “montiani” non sono tutti banchieri, ma è un altro fatto che tutti i banchieri sono “montiani”. Per constatarlo basta ascoltare i pensieri e le parole di quello che una volta si chiamava il “gotha” dell´economia e della finanza italiana, riunito a Palazzo Mezzanotte per sentire il presidente del Consiglio.
Da Giovanni Bazoli a Federico Ghizzoni, da Enrico Cucchiani a Luigi Abete. Da Fulvio Conti a Franco Bernabè, da Marco Tronchetti Provera a Flavio Cattaneo. Non trovi un solo esponente della business community che non guardi al “governo strano” come alla sola ancora di salvezza per un´Italia alla deriva. Soprattutto, che non si affidi alla cultura del “tecnico” per evitare di ricadere nell´impostura del “politico”. Un ragionamento che non vale solo per l´oggi. Chi opera in Borsa e muove ogni giorno qualche miliardo di euro, non può non apprezzare qui ed ora l´effetto Monti sui mercati: dal famigerato “Btp Day” del 28 novembre 2011, quando i rendimenti sui nostri titoli di Stato superarono l´8%, i tassi si sono quasi dimezzati e i prezzi sono lievitati. Se rivendesse oggi, chi avesse investito allora guadagnerebbe il 10,2% sui Btp a 5 anni, il 12% sui Btp a 10 anni e addirittura il 16,1% sui Btp indicizzati all´inflazione. Un affarone.
Il passaggio di fase, che non riguarda il presente ma il futuro, lo sintetizza un noto banchiere: “Il problema non è quello che succede oggi, ma quello che succederà nel 2013. Pd e Pdl, Terzo Polo e Idv pensano davvero di tornare in campo come una volta, magari senza nemmeno aver cambiato la legge elettorale? Questo Paese ha bisogno di una transizione più lunga, e solo Monti la può garantire. Non basta la parentesi di un anno per fare tutte le riforme che servono”. Un altro banchiere, ancora più noto, si spinge più in là: “Un anno di Monti non basta a noi, ma non basta neanche ai mercati. Perché lo spread non cala più di tanto? Perché gli investitori si fidano dell´Italia di adesso, ma non di quella che uscirà fuori dalle urne del 2013”. Una lettura confortata da un indicatore oggettivo: la curva del differenziale tra i tassi sui titoli italiani e quelli tedeschi, da alcune settimane, è scesa in modo strutturale e più marcato sui Btp a 2 anni, che non su quelli a 10. È la conferma che i mercati, paradossalmente, comprano Italia sul breve ma non sul lungo termine.
La “corrente montiana” non agita solo le acque della palude stagnante e inconcludente dei partiti, come dimostrano le fibrillazioni di Palazzo innescate dalla sortita di Walter Veltroni. Attraversa impetuosa, e in questo caso pienamente condivisa, anche l´establishment italiano. Se un ex leader del Pd non vuole “regalare Monti alla destra”, quel simulacro nazionale di “borghesia produttiva” non vuole “regalare l´Italia ai partiti”. C´è una classe dirigente che considera l´esperimento del Professore un punto di non ritorno. Dopo questo governo niente potrà e dovrà essere più prima. Quindi, bisogna trovare il modo di prolungare la “formula” per almeno un´altra legislatura. Troppe e troppo complesse sono ancora le riforme da fare. Non solo la crescita, il mercato del lavoro, le liberalizzazioni. A questo governo la comunità degli affari chiede di tutto e di più. Abbattere “i privilegi della casta” e fare le “vere privatizzazioni”, valorizzare il patrimonio immobiliare e “rifondare la pubblica amministrazione”, ripensare le Authority e portare le piccole imprese in Borsa. Non un programma emergenziale. Piuttosto un piano quinquennale. Oltre tutto, da portare avanti “senza ascoltare le parti sociali”. Cioè senza farsi bloccare dai sindacati.
Qui si annida la vera incognita, nell´endorsement che il Grande Capitale offre al premier con il suo lunghissimo applauso. Piaccia o no, quello di Monti è vissuto da tanta parte del Paese come il governo delle élite. Un governo che rischia di essere appiattito sulla frontiera di un´altra antipolitica. Stavolta calata dall´alto e non salita dal basso. Ma il risultato non cambia. Il Professore, opportunamente, prova a sottrarsi. L´insistenza con la quale ribadisce il suo mandato “a termine” è credibile: dire che questo governo è “di breve durata”, ed ha come orizzonte massimo “la prossima primavera”, è un modo per sollecitare la politica a riappropriarsi del suo primato. Il passaggio sui Salotti Buoni è ineccepibile: dire che “in passato hanno tutelato bene l´esistente e consentito la sopravvivenza un po´ forzata dell´italianità di alcune aziende, impedendo la distruzione creatrice schumpeteriana”, è un modo per accusare i capitalisti in nome del capitalismo.
Ma al fondo, e prima ancora di capire cosa accadrà nel 2013, il problema di Monti è ancora una volta quello di costruirsi un vero “popolo”. Di guadagnarsi sul campo, con l´equità fiscale e la giustizia sociale, un consenso che vada ben oltre il pur importante “recinto” di Piazza Affari. L´Italia si è finalmente liberata del governo populista del Cavaliere. Ma aspetta ancora il governo popolare del Professore.
m.gianninirepubblica.it

La Repubblica 21.02.12

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I cento giorni del “montismo”, di FILIPPO CECCARELLI

Cento giorni per il governo Monti, ma si ha un certo ritegno a chiamarla luna di miele. Troppo sdolcinata la metafora per designare una stagione di dolorosi sacrifici e indispensabile continenza. Però dopo tre mesi il consenso per l´esperimento tecnico si avverte e la popolarità appare in crescita. All´estero vabbè, era anche scontata. La copertina di Time, gli elogi di Obama, gli applausi di Strasburgo, il capogruppo socialdemocratico che in aula ha ufficializzato la più impetuosa onomastica, “SuperMario”, al che questo strano presidente italiano si è potuto concedere l´ennesima attestazione di sobrietà: “No, no, solo Mario”.
Ma pure qui: altro che lacrime e sangue. Non che manchino, certo, ma ancora di più pesano le paure che tutto torni com´era prima. E se nel Palazzo è doveroso registrare l´appoggio dei partiti screditati, inguaiati ed esautorati, nel Paese già si parla di “era del loden”. Non per caso a Sanremo, specchio delle rappresentazioni domestiche, il tormentone inscenato era quello di stringere i pugni affermando con intensità: “Stiamo tecnici”, e nell´indeterminatezza delle parole riposa spesso il senso del potere.
L´osservazione politica, del resto, ha imparato a vivere di segni anche strambi, o contraddittori, ma al tempo stesso futili e decisivi. Per cui si segnala che l´altro giorno, in due sedi diverse, Monti ha raccolto le lodi di Aldo Busi e Sophia Loren. Dal Fatto ai rotocalchi, da Furio Colombo ad Alfonso Signorini, che in un accesso di inattesa morigeratezza è arrivato a deprecare l´uso di pistole caricate a champagne in certe feste che sa lui. E a Palazzo Pitti Uomo riscoprono le virtù dei colori più tradizionali, il blu e il grigio.
Certo poi l´Italia rimane l´Italia; e presto arriveranno le statuette del Professore da mettere nel presepe napoletano. Ma tale è il fervore di temperanza che con qualche senso di colpa, ma anche col dubbio che le vie del successo sono imprevedibili, comunque si dà conto di un sito d´incontri online che si reclamizzava con una bella signora dal maestoso seno e ammiccante: «Questa sera vuoi fare un po´ di governo tecnico? Allora registrati gratis».
Ecco: tutto sono stati, questi cento giorni, fuorché gratis. Ma è pure vero che tutto è cambiato e tutto di colpo è parso invecchiare. Un virtuoso della comunicazione come Carlo Freccero ha evocato un terremoto; un oppositore come Maroni un meteorite. E anche qui pare ingenua piaggeria attribuirne ai tecnici la responsabilità, ma l´impressione è che sentimentalismi, intimismi, narcisismi, esibizionismi, e poi eccessi, maleducazioni, ospitate, pagliacciate, smargiassate, turpiloqui e altre indecenze a partire dalla fine del 2011 si siano abbastanza tolte di mezzo.
Ovvio che un governo dovrebbe soprattutto governare; e da questo punto di vista, considerata l´emergenza economica e quindi lo stato d´eccezione, parecchio è stato fatto, vedi le pensioni. Ma è il cambiamento di stile che appare specialmente vistoso. Dagospia lo presenta all´insegna del “Rigor Montis”. Per dire, posto dinanzi al primo buffet istituzionale, il presidente si è come bloccato: “Mi basta un panino”; e due settimane fa al trio ABC ha offerto riso in bianco e fettina. E per quanto con astuta dose d´ambiguità e ipocrisia il governo è riuscito a tenersi lontano dalle grane – Cosentino, la giustizia, la nave, la neve, la Rai – intanto i ministri viaggiano per Roma con il car–sharing, la presidenza emana spending-review dal sapore penitenziale e i giornalisti si paghino il volo. A Capodanno uno sprovveduto Calderoli ha provato a montare un caso su un presunto party di famiglia a Palazzo Chigi, beccandosi una noterella che è una piccola perla di sarcasmo: «Il presidente Monti non può escludere che dato il numero relativamente elevato degli ospiti, ci possano essere stati oneri lievemente superiori per consumo di luce, acqua e gas».
Certo, l´immaginario tecnocratico di un governo di primi della classe sembra assai meno divertente da raccontare delle sgangheratissime buffonerie che pure gli hanno aperto un´autostrada. Ma forse è molto più difficile da comprendere, sottile ed esteso come il dominio dei mercati e delle organizzazioni sovranazionali. Grosso modo assomiglia a una macchina, con quel tanto di disumano che comporta, vive di calcoli, campus, lingue straniere, uffici studi, discreti club, eccellenza, reputazione, formalità. In Italia, fattosi potere, rivela anche una certa attitudine, più che pedagogica, per così dire rieducativa (posto fisso, mammismo, buonismo, laureati sfigati).
Di suo, Monti reca in dote all´impegno civile enorme prestigio, sicura competenza, invidiabile flemma, anzi prodigioso autocontrollo. Ma dietro “l´alta ispirazione elitaria” del suo governo, come scrive Giuseppe De Rita, pare di scorgere una distanza, un´estraneità, un senso di naturale superiorità che può farsi altezzoso nei confronti di quell´entità che pur tra mille abusi lessicali ha il nome di popolo.
La faccenda può farsi problematica perché da cento giorni i partiti, già stremati, non ci sono proprio più. Monti dice che poi torneranno – ma su questo, almeno al momento, non c´è luna di miele che possa convincere che lui lo pensa davvero e che sul serio avverrà.

La Repubblica 21.02.12