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"Il termometro", di Massimo Giannini

Nella parentesi tecnocratica in cui è racchiusa la democrazia italiana, il Quirinale è il termometro che misura la temperatura dei rapporti tra un governo “strano” e una maggioranza anomala. L´aspro comunicato di Giorgio Napolitano segnala che la febbre non è mai stata così alta. Liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro sono un banco di prova esiziale. il governo di “impegno nazionale” si gioca, se non la sua sopravvivenza politica, la sua speranza riformatrice. Per Monti sono i giorni più difficili. Lui stesso ne è ben consapevole. Sulle liberalizzazioni, a dispetto delle promesse della vigilia, il premier deve evitare un indecoroso passo indietro. Iniziato in Commissione con i 2.400 emendamenti, l´assalto alla diligenza delle solite lobby si è perfezionato in queste ore. Vedremo l´esito della trattativa in corso al Senato, ma per ora rischiano di averla vinta, ancora una volta, le tante “gilde” piccole e grandi che monopolizzano l´economia e paralizzano la società. È vero che con più taxi e più farmacie l´Italia non risolve i suoi problemi di bassa crescita e di scarsa competitività. Ma è chiara a tutti la portata simbolica di queste battaglie di modernizzazione. Se perdi anche queste, non vai lontano.
Sul mercato del lavoro, al di là dei buoni propositi, il premier deve evitare un pericoloso passo falso. Tra parole al vento dei ministri, provocazioni insensate degli industriali e reazioni adirate dei sindacati, il negoziato sfugge di mano. Si perdono di vista l´obiettivo finale (l´aumento della buona occupazione e della produttività del lavoro) e la “merce di scambio” (un Welfare più equo e inclusivo). C´è un problema di linguaggio: non si può evocare la “monotonia” del posto fisso, quando un giovane su tre non ha neanche quello mobile. C´è un problema di messaggio: non si può evocare il valore della “coesione”, e poi ripetere ogni giorno che «il governo andrà avanti anche senza l´accordo delle parti sociali».
Sono i deficit culturali tipici delle tecnocrazie d´élite. Per questo servirebbe la politica. Ma ora proprio la politica, già delegittimata di suo, dà il peggio di sé. Manca la politica nel Pd, dove i tormenti di Bersani sull´articolo 18 nascondono una questione più profonda, che investe il profilo di una sinistra riformista ancora non del tutto compiuta. Manca la politica nel Pdl, dove i ricatti di Berlusconi sulla giustizia e sulla Rai rivelano il cinismo di una destra ormai del tutto destrutturata. La somma di queste tensioni e di queste debolezze si scarica fatalmente sul governo. Così si spiega il rigurgito corporativista che si scatena sul decreto Cresci-Italia, con il governo obbligato a subire i diktat dei Masanielli alla Loreno Bittarelli. Così si spiegano gli incidenti sul decreto Milleproroghe, con il governo che finisce ripetutamente schiacciato nella solita morsa forzaleghista.
L´ira di Napolitano, che ammonisce il Parlamento sull´uso e l´abuso degli emendamenti, precipita in questa confusa emergenza. E va letta con un´ottica non congiunturale ma strutturale. Il Capo dello Stato indica un caso specifico. Ma sarebbe sbagliato non vedere che il suo intervento, per la sua forza cogente, si estende ben oltre l´orizzonte del Milleproroghe. In quel comunicato c´è un messaggio implicito ai partiti, che oggi riguarda anche le liberalizzazioni, e domani anche la riforma del mercato del lavoro. Per ragioni diverse, centrodestra e centrosinistra, al punto più basso mai registrato nell´indice di fiducia dei cittadini, non sono “autosufficienti”. Sanno benissimo che a questo governo (del Presidente) non c´è alternativa. Dunque è inutile logorarne l´azione. La si può migliorare, ma non sabotare.

La Repubblica 24.02.12

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Decreti, richiamo di Napolitano “Stop a modifiche fuori tema” e sulle liberalizzazioni è scontro”, di Umberto Rosso

Il premier avverte: il governo non fa marcia indietro sul suo provvedimento bandiera
Una lunga lettera inviata dal capo dello Stato ai presidenti delle Camere. Napolitano richiama il Parlamento: basta con gli emendamenti “fuorisacco”, che finiscono per stravolgere i decreti. Una lunga lettera di rilievi, che il capo dello Stato spedisce a Monti e ai presidenti delle Camere, e che Fini legge in aula subito dopo l´approvazione del Milleproroghe incassata dal governo grazie al voto di fiducia. Proprio il decreto è entrato nel mirino del capo dello Stato, che adesso è chiamato a firmare il testo, ma che avverte: c´è il rischio che la Corte costituzionale possa annullarlo, come ha già fatto qualche giorno fa con alcune norme della legge del 2010, giudicate appunto «estranee alle finalità del testo». Napolitano, nella sua lettera, ricorda di essere intervenuto già varie volte sul punto. Una lettera al governo Berlusconi, esattamente un anno fa, e una missiva analoga ancora prima a Prodi. Adesso anche a Monti. Come a dire che il Quirinale si muove con equilibrio e le polemiche sollevate da un´ala del centrodestra sul trattamento di favore concesso a Monti sono smentite dai fatti. Il capo dello Stato sottolinea dunque di aver sollecitato una «rigorosa delimitazione degli eventuali emendamenti, secondo un criterio di stretta attinenza alle finalità e al contenuto originario del decreto legge». Invece, è scattato il solito maxi-mercato delle modifiche. Mettendo alla fine in difficoltà il governo, che è ieri è anche finito sotto due volte a Montecitorio, sia pure su ordini del giorno: uno della Lega sul canone Rai (votato da tutti tranne il Pd) e uno del Pd sulle graduatorie degli insegnanti.
Il segnale politico della lettera di Napolitano sembra perciò andare in soccorso dell´azione del governo: il messaggio ai partiti è di non stravolgere i provvedimenti già concordati con Palazzo Chigi. E le preoccupazioni del capo dello Stato riguardano, indirettamente, anche il provvedimento-bandiera dell´esecutivo, che rischia di precipitare nella palude degli emendamenti. Sulle liberalizzazioni infatti sale pericolosamente lo scontro, dopo la brusca frenata in Senato su taxi e le farmacie. Monti avvisa: «Il governo sul decreto non fa marcia indietro. Non potremo accogliere tutte le modifiche, soprattutto se rappresentano un arretramento». Pd e Pdl trattano. Casini però minaccia di non votare il testo in aula se il testo sulle liberalizzazioni «viene modificato al ribasso». Un clima che preoccupa Napolitano. La carica degli emendamenti al Milleproroghe, spiega, avrebbe dovuto trovare «una corretta collocazione in un distinto apposito decreto legge». Da qui la dura lettera di richiamo, arrivata quasi a sorpresa e che ha spiazzato i partiti. Qualche malumore nel Pd, fra i deputati in Transatlantico il timore che l´altolà del capo dello Stato finisca per assumere il valore di un voto a scatola chiusa al governo. Da Di Pietro, stavolta, grande soddisfazione per l´intervento del capo dello Stato, «dopo le sue parole il Milleproroghe rischia di essere un decreto nullo, e il presidente potrebbe anche non firmarlo». Eventualità, per la verità, molto remota. Visto anche che lo stesso presidente della Repubblica nella sua lettera ricorda di non disporre del potere di un rinvio «parziale» della legge, solo sui punti ritenuti estranei al provvedimento. Può solo emanare il decreto o rimandarlo indietro. Sul tavolo del Colle l´esame non potrà che essere complessivo, «evitando una decadenza di tutte le disposizioni, comprese quelle condivisibili e urgenti, qualora la rilevanza e la portata di queste risultino prevalenti».

La Repubblica 24.02.12

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