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"Fiat, si muova il governo", di Guglielmo Epifani

Appaiono molto singolari, per non dire altro, le reazioni all’intervista con cui Sergio Marchionne in forma esplicita rovescia gran parte degli obiettivi di Fabbrica Italia, e cioè la filosofia di politica industriale che per oltre due anni ha ispirato obiettivi e me todi del gruppo Fiat Chrysler alme- no nel nostro Paese. Nell’intervista vengono messi da parte i precedenti obiettivi produttivi, rimandati ancora i nuovi modelli, reso di fatto senza sostanza l’impegno a difendere gli impianti a fronte di assetti organizzativi e contrattuali di tipo diverso dal passato, con una drastica riduzione di diritti, il peggioramento delle condizioni lavorative e il diritto negato alla rappresentanza sindacale per migliaia di lavoratori del gruppo. Nuova e grave infine è la previsione di una possibile chiusura di due stabilimenti se le vendite nel mercato americano non dovessero andar bene, anche perché le conseguenze in questo caso sarebbero nettamente più pesanti di quelle già affrontate e subite fino ad oggi. Lasciamo per un momento perdere il fatto che in molti negli anni scorsi avevano paventato questo esito e messo in guardia dalle evidenti contraddizioni del piano strategico del gruppo e della insussistenza di ogni realistico fondamento in un mercato come quello europeo, segnato da una contrazione di vendite e da una concorrenza che richiede investimenti e innovazione di prodotto. E lasciamo anche da parte i tanti corifei senza testa e ragione, pronti a condividere a prescindere dal merito e che oggi hanno perso la parola e la memoria. Quello che non si può assolutamente fare, oggi, è fingere di non capire come stanno veramente le cose e assistere passivamente alla lenta scomparsa della produzione di automobili in Italia. Bisogna cambiare registro e anche velocemente. Per questo non vanno bene le reazioni all’intervista. Pesano i silenzi degli industriali e anche l’assenza di coraggio; colpisce l’afasia dei maggiori esponenti politici di centrodestra; non stupisce ma rattrista la distrazione in generale della nostra informazione che pure potrebbe discutere, valutare, commentare le conseguenze per il Paese e per i giovani di un futuro buio per la Fiat; si avverte troppa attesa da parte di tanti amministratori locali, in modo particolare di Lazio e Piemonte, di fronte a ciò che si può prevedere. Pesa per ultimo il silenzio più importante: quello del governo. Eppure toccherà al governo prendere rapidamente l’iniziativa. Non c’è alternativa, altrimenti si rischia di arrivare al punto di non ritorno. E d’altra parte non ci può essere una politica di crescita senza una vera politica industriale, anche se la Banca centrale europea curiosamente non ne parla mai. Nell’intervista di Marchionne c’è, non credo a caso, una indiretta richiesta di attivare una strategia di politica industriale per il settore dell’auto. Quello che non era stato richiesto al precedente governo viene ora suggerito al governo presieduto da Monti, il quale dovrà misurarsi anche su questo dossier che per quanto difficile non potrà essere né eluso né rimandato. E bisognerà anche parlare chiaramente con la Fiat di quelli che sono gli interessi dell’azienda e di quelli che sono gli interessi del Paese. Non possiamo essere tedeschi solo per il rigore e la disciplina fiscale e fare il contrario di ciò che fa la Germania per il proprio sistema produttivo e la propria industria. In un anno come il 2011 il primo gruppo automobilistico tedesco ha raggiunto gli obiettivi più alti della sua storia per vendite e profitti. E come è noto, il pubblico ha un peso non secondario nel suo azionariato, senza che a nessuno venga in mente di chiederne un cambiamento.

L’Unità 27.02.12