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TAV, Bersani: "Si torni al confronto civile. Necessario un pronunciamento del Parlamento"

“In queste ore drammatiche per la vita di una persona, ci sono movimenti che hanno preso una piega non accettabile”. Così il Segretario del PD Pier Luigi Bersani ha espresso preoccupazione per l’acuirsi dello scontro sulla TAV ed ha assicurato che ” il PD farà una vigilanza democratica per evitare che la protesta sfoci in violenza. Si torni a un confronto civile – ha esortato – perchè si può essere contrari ad un’opera che pure è stata decisa con tutti i passaggi democratici, ma non si può cedere a gesti che aprano la strada alla violenza”.

Nel pomeriggio il Segretario ha incontrato l’on. Stefano Esposito del PD e gli ha espresso la solidarietà personale e del partito per gli attacchi che ha subito per aver difeso il percorso democratico che ha portato alle decisioni relative alla TAV.
Nel corso del colloquio Bersani ed Esposito hanno condiviso l’opinione che sia “urgente e necessario un pronunciamento del Parlamento, ricordando, in proposito, che il PD ha presentato una mozione parlamentare per rendere immediatamente disponibili le risorse da destinare al piano di sviluppo della Val di Susa e che il Gruppo parlamentare ha esplicitamente chiesto la calendarizzazione urgente per la discussione parlamentare su questo testo”.

Il Segretario nazionale del PD ha infine espresso il proprio apprezzamento per l’operato e per le posizioni espresse in questi giorni dal sindaco di Torino, Piero Fassino, e dal presidente della provincia di Torino, Antonio Saitta.

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“L´asimmetria delle ragioni”, di ADRIANO SOFRI
La gran maggioranza della gente della Val di Susa, con la miglior conoscenza di causa, e molti nel resto d´Italia, sono persuasi che la Tav sia un gravissimo errore. E la manifestazione di sabato scorso ne ha dato un´impressionante conferma. Sono convinti che sia un gravissimo errore non solo per la devastazione che provocherà a quei luoghi, ma rispetto ai suoi stessi propositi economici e commerciali. Dunque il problema drammatico che si trovano ad affrontare è questo: che cosa è giusto fare quando si crede fermamente di avere ragione, e si sente che il proprio avversario, dalla parte del torto – in buona o cattiva fede – è disposto a tutto pur di non smettere la strada intrapresa? Si può obiettare che il problema sia reciproco, e che il governo e lo Stato, convinti di trovarsi dalla parte della ragione, debbano loro porsi il problema della tenacia intransigente di una cittadinanza. Ma questa simmetria, al punto cui siamo, è soltanto apparente. Intanto, per la sproporzione delle forze. Ma soprattutto perché tra i fautori della Tav prevalgono da tempo argomenti estrinseci e, per così dire, di convenienze: non si può mancare, per l´avversione di una particolare popolazione, a decisioni prese e confermate ripetutamente da istituzioni che rappresentano tutto il popolo italiano, e ancora meno si può mancare a impegni europei.
Fra gli avvertimenti più pressanti c´è la notizia che “già si scava” sul versante francese. Anche qui, come sull´intera crisi, una specie di ineluttabilità, di inesorabilità da fatto compiuto, vuole pesare sulle obiezioni di merito di quella cittadinanza. E alcune delle più rilevanti obiezioni di merito sono il frutto del lunghissimo tempo trascorso fra il progetto iniziale della Tav e la situazione attuale, così cambiata da inficiare quelle motivazioni. Se si stesse “serenamente” ai fatti, bisognerebbe riconoscere – così pare a me, che sono un orecchiatore non specialista, e però la sorte di tante vertenze locali e localiste avrebbe bisogno di arrivare all´orecchio di non specialisti e non locali – che i fautori della Tav appartengono a quel partito trasversale e ingordo che si chiama il Partito Preso. Il loro avverbio è: Ormai. Ormai, non si può che continuare. Lo ripetono, come per convincersene meglio. Lo direbbero, con la stessa inesorabilità, a proposito del nucleare, se non ci fosse stato l´accidente di Fukushima, e aspettano solo di ricominciare. Ammesso che il progetto originario fosse fondato (la gente della Valle lo negò da subito) è passato da allora il tempo di una generazione, e l´impresa promette adesso di far dilapidare denaro – una parte, perché di un´altra non si sa da dove possa arrivare – ; di far viaggiare a grande velocità, e a km 5 mila piuttosto che a km zero, merci che anche loro non ci sono; a sacrificare ancora al feticcio dei Grandi Lavori, a scapito di lavori piccoli che riparerebbero Pompei e arginerebbero il Bisagno e farebbero andare in treno le persone da Catania a Comiso; e infine di assicurare a qualunque governo un focolaio di scontro micidiale.
Qualcuno ammonisce amaramente il movimento anti-Tav a rendersi conto che la sua è una partita persa, e a tirarne le conseguenze. Dubito che l´argomento sia efficace. Certo, a questo punto gli argomenti efficaci sembrano tutti venir meno, e due partiti presi affrontarsi in una sfida senza mediazione. Soprattutto, per chi sente di aver ragione – e gli abitanti della Val di Susa lo sentono così fortemente – la sensazione di una battaglia impossibile non è un deterrente adeguato, anzi: ci sono cause perse che proprio per questo spingono a battersi senza riserve. Dunque è difficile che sia il realismo a scongiurare il peggio, e almeno questo genere di realismo. Quanto al dialogo invocato ancora ieri dal ministro dell´Interno, a ridosso della tragica caduta di un militante anarchico, è augurio spuntato, su un tema che non prevede più mediazioni e che esige di schierarsi per un sì o per un no.
Dunque si torna a quella domanda: che cosa è giusto fare quando si sa e si crede di avere ragione, e ci si accorge di trovarsi in un vicolo cieco? La nonviolenza è nata per rispondere a questa domanda ricorrente, ma la nonviolenza è una scelta morale e un metodo, non una garanzia di vincere. Nello scontro sulla Tav, e nelle sue molteplici diramazioni nel resto d´Italia, non è affatto detto che la nonviolenza prevalga, nei comportamenti del movimento e ancor meno in quelli dell´ordine pubblico; ed è invece prevedibile una catena di azioni e reazioni incontrollabili da chiunque, e manipolabili da molti. Il partito preso si nutre di frasi fatte: “dovranno passare sui nostri cadaveri”. Le frasi sanno scivolare fino ai loro fatti, e l´abnegazione disastrosa del “passeranno sui nostri cadaveri” al disastro del “passeremo sui loro cadaveri”.
Si rifà un gran parlare, in questi giorni, dell´incombenza di morti che ci scappano e morti ammazzati. Vogliono essere scongiuri, diventano facilmente profezie che si autoadempiono. Sul traliccio dell´altroieri è toccato a uno dei No-Tav. Non aveva fatto niente di violento, si era arrampicato più su della sua bandiera. Qualunque parte vi abbia avuto la polizia, questa era la circostanza. La militarizzazione della valle ha pochi paragoni, dall´antica rivolta di Reggio Calabria. Anche di questo l´intervento di polizia fra domenica e lunedì ha dato un´impressionante conferma. Non so come la cittadinanza della Val di Susa possa impiegare una responsabilità che le autorità mostrano di non avere: di non riuscire ad avere, anche se lo desiderassero davvero, inchiodate come si sono al loro ruolo. Penso che ci sia un legame, solo in apparenza paradossale, fra la convinzione di avere ragione e di battersi non solo per sé e per il proprio cortile, ma anche per gli altri e per le generazioni a venire, e il coraggio di uscire dall´angolo, di proclamare un disarmo unilaterale e farne il terreno nuovo sul quale disarmare l´oltranzismo avversario. Di far scivolare il No-Tav, piuttosto che verso il corpo a corpo, verso l´irriducibile “Preferirei di no” dello scrivano Bartleby. Di reinventare le risorse della diserzione. Non so se sia possibile. So che comunque non lo sarebbe, se non si spostasse la testimonianza dal cantiere dei fantasmi ai cittadini che la Val di Susa la conoscono sì e no in cartolina, e anche di quelli che non sono militanti di niente, se non della democrazia.

La Repubblica 29.02.12

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“Il dilemma della protesta, di PAOLO GRISERI
Due giorni per decidere, due giorni per scegliere quale sarà la faccia del movimento No Tav dopo i fatti di Chianocco. Due giorni e il timore di non riuscire più ad avvicinarsi al cantiere della Maddalena. Un cantiere ora sì diventato una fortezza più difficile da espugnare rispetto a pochi giorni fa. Perché questo, subito dopo il dramma umano di Luca Abbà, è il fatto nuovo: la recinzione del cantiere. Un passo al quale nell´inverno del 2005 – quello degli scontri di Venaus e del popolo No Tav che riconquista l´area dove si sarebbe dovuta scavare la prima galleria – non si era mai arrivati. Allora i lavori si erano fermati prima. Oggi, anche dopo l´incidente, sono proseguiti e la recinzione è stata eretta. Quale sarà la risposta? La frase rivelatrice la pronuncia ancora una volta Alberto Perino, leader dell´ala valligiana, all´assemblea serale convocata alla rampa autostradale di Chianocco, nuovo luogo simbolo della protesta. «Siamo pronti a organizzare flash mob e altre azioni improvvise. Per dare fastidio a chi ci considera un parco giochi o una riserva indiana da spremere». Il problema è evitare la riserva indiana, l´isolamento. Trovare solidarietà, sollecitarla in tutta Italia.
«Alla Maddalena prima o poi torneremo», dice un militante all´assemblea serale. Ma come, con quali mezzi? La giornata del movimento è in questo dilemma sul futuro. C´è prima un problema più urgente da risolvere: la difficile traversata fino al fine settimana. La notte tra lunedì e martedì è stata di scontri lungo l´autostrada e nei paesi. La mattinata di ieri è stato un lungo fronteggiarsi con la polizia dall´altra parte del guard rail. A mezzogiorno Perino si collega a Radio Blackout, l´emittente di area anarchica, e lancia l´appello: «Invito tutti quelli che possono a salire a Chianocco e a darci il cambio». Perché durante la settimana il popolo No-Tav è un torrente, prosciugato dai molti che devono andare a lavorare o a scuola. Torna fiume solo nel fine settimana. Ma oggi è martedì. Si riuscirà a resistere per altri quattro giorni?
Perino cerca di sollevare gli animi: «È trenta ore che siamo qui sulla carreggiata, il più lungo blocco del traffico nella storia del movimento». Ma le truppe sono stanche. Bisogna arrivare almeno alla serata, quando chiudono gli uffici. L´appuntamento per i riservisti è alla Gardenia Blu di Rivoli. Una mail che circola nel pomeriggio annuncia «un aperitivo alle 17» e successivamente la partenza «per Bussoleno». In realtà alle 20 una parte delle truppe di rincalzo riesce ad occupare l´autostrada a Rivoli, uno dei nodi della tangenziale torinese nell´ora di massimo traffico. E qui si verifica un altro episodio poco rassicurante per il movimento. Gli automobilisti non ci stanno a sacrificare una parte del loro tempo per la causa. Si accendono animate discussioni, alla fine la mediazione è nella corsia di scorrimento che i No-Tav lasciano libera. Non è un blocco, diventa un rallentamento.
Anche i 170 camionisti che stanno in fila lungo la statale 25 prima del blocco hanno difficoltà a manifestare solidarietà: «Sono partito da Pesaro e devo andare a Parigi. Siamo lavoratori anche noi, rispettateci», dice Giuseppe. Si possono avere dubbi sul fatto che i camionisti bloccati da ore su una statale siano il termometro del consenso sociale. Ma come giudicare la reazione di un dipendente dell´ufficio tecnico del comune di Salbertrand? Dopo una notte di devastazioni sbotta: «Anche io sono contro il Tav. Ma la prossima volta moliamo il motosega».
Questo è il clima, i primi segnali di cedimento alla stanchezza, le prime difficoltà di rapporto con una parte della popolazione locale. Si può reggere così altri quattro giorni? E, soprattutto, come protestare nel fine settimana, dove portare l´esercito sabato pomeriggio? In queste ore le diverse anime del movimento discutono. L´area dell´autonomia preferirebbe tornare all´obiettivo principale, il cantiere della Maddalena a Chiomonte, quello che è diventato una sorta di fortezza. Una scelta di attacco: inevitabilmente l´arrivo di migliaia di persone a ridosso delle recinzioni scatenerebbe una guerriglia simile a quella del luglio scorso. Con risultati analoghi: centinaia di feriti e gli arresti. L´area anarchica, quella più vicina a Luca Abbà, vorrebbe invece scendere a Torino, nel centro. Anche in questo caso sarebbe difficile prevedere l´esito di un corteo arrabbiato nel cuore della città. C´è una terza via? Una soluzione che mantenga alto il livello della protesta senza alienare al movimento quelle simpatie che ha ancora in questi giorni? Fino a ieri sera nei capannelli lungo la rampa dell´autostrada quella soluzione non era ancora stata trovata.

La Repubblica 29.02.12

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“Tav, parliamo solo del come”, di Alessandro Bianchi
È certamente difficile parlare della vicenda Tav mentre una persona è in fin di vita a causa degli incidenti che sono avvenuti in questi giorni.
Il primo pensiero e la prima preoccupazione non possono che andare a quella persona, unitamente all’auspicio che il confronto delle idee e delle posizioni, per quanto duro e intransigente, non debba più avere conseguenze simili. Ciò detto vedo che sulla questione della linea ferroviaria ad alta velocità/capacità Torino- Lione, si continuano a dire (e fare) cose a volte demagogiche, a volte sbagliate, a volte semplicemente prive di senso. Ne indico due tra quelle ripetute più di frequente in questi giorni.
La prima è che si tratta di un’opera inutile e dannosa, dunque non va fatta. Per quel che riguarda l’inutilità, è un giudizio sbagliato alla radice. Dopo infinite discussioni e valutazioni in sedi nazionali e internazionali, è ormai da tempo maturato il convincimento che si tratta di un opera essenziale all’interno del cosiddetto “Corridoio 5”, quello che collegando Lisbona con Kiev costituirà una dei rami portanti della rete ferroviaria europea per i prossimi cento anni.
Certo si può decidere di non far passare questa direttrice lungo la linea Torino-Trieste, favorendo l’alternativa di percorso al di là delle Alpi. Ma bisogna essere consapevoli che questo significa autoescludersi dal sistema delle relazioni e degli scambi commerciali dell’Europa futura. Una scelta miope e da tempo scartata.
Quanto alla dannosità, vorrei ricordare che durante il governo Prodi II è stato fatto (anche da chi scrive) un intenso lavoro – in continuo contatto con i rappresentanti delle comunità locali – proprio per eliminare gli aspetti di maggiore impatto connessi all’opera. Da quel lavoro sono derivate notevoli modifiche di tracciato rispetto a quello previsto dal progetto iniziale di Fs. Con l’attuale tracciato – e con opportuni interventi di inserimento ambientale – l’opera risulterà sostenibile al pari di molte opere analoghe nel resto d’Europa.
Vorrei poi far notare a chi propone di usare l’attuale ferrovia come sede dell’alta velocità/capacità, che questo significherebbe vedere passare nei centri abitati attraversati da quella ferrovia, un treno circa ogni sette minuti: un impatto niente male.
Il secondo argomento che si sente ripetere è che le manifestazioni in corso sono espressione di un sentire diffuso tra la popolazione della vallata interessata, un sentire al quale bisogna dare ascolto, una popolazione con cui si deve dialogare ascoltandone le ragioni. Niente di più giusto, a patto di escludere dall’ascolto e dal dialogo quelle componenti che nulla hanno a che vedere con i valligiani e che, per lo più, sono quelle che alimentano le manifestazioni di violenza. Fatto questo nessuno può fingere di non sapere che questo ascolto e questo dialogo è proseguito per anni e in molte sedi, sia a livello centrale che locale, soprattutto grazie all’imponente lavoro svolto dall’Osservatorio diretto dall’architetto Virano, di cui sono testimonianza gli scritti e gli studi che tutti possono consultare (anche on line) e dai quali emerge un ascolto e un dialogo con la popolazione e le amminstrazioni locali che, per durata e per ampiezza, non ha eguali in circostanze similari.
Questo lavoro sembra essere stato rimosso e, come fosse un gioco, si tornano a chiedere cose già fatte e percorsi già praticati. Ma questo non è un gioco, è una cosa molto seria che sta compromettendo la credibilità del paese in ambito europeo, sta mettendo a rischio finanziamenti ingenti e, per tornare a quanto già detto, può tagliare fuori l’Italia dalla rete delle relazioni tra l’Ovest e l’Est del continente europeo. Un problema, dunque, di dimensione nazionale non valligiana.
Prendendo atto di tutto questo si deve ancora discutere con la popolazione locale? Certamente sì, perchè il dialogo non deve essere interrotto e, anzi, si dovrà prolungare fino al completamento dell’opera. Ma bisogna farlo sapendo che il dialogo può riguardare il “come” realizzare al meglio l’opera, non il “se” realizzarla che non è più un tema in discussione e che tutti, con un minimo di onestà intellettuale, dovrebbero evitare di riproporre.

da Europa Quotidiano 29.02.12