attualità, politica italiana

"Ostriche e festini, er Batman del Pdl", di Francesco Merlo

È lo scandalo della casta ciociara, l’antigeografia d’Italia direbbe il politologo americano Robert Kaplan se conoscesse er Batman, come chiamano il ciociaro Francone Fiorito dal giorno in cui cadde da una moto ferma. MA LA guerra civile del Pdl laziale per il malloppo è anche l’evidenza della dissoluzione, proprio nella Roma della Marcia e dell’Impero, della destra italiana sopravvissuta alla storia e definitivamente corrotta dal danaro pubblico. Infine, i 100 milioni di spese annuali del consiglio regionale del Lazio contro gli 86 della Campania, i 38 dell’Emilia Romagna e i 32 della Toscana sono l’ultima prova, nel super laboratorio romano, che il finanziamento dei partiti è in realtà un crimine da Banda Bassotti, una vera aggressione all’erario e, a Roma
come a Napoli e come nella Varese di Bossi, l’evoluzione moderna dell’accattonaggio come professione.
Gessato e gilè sul collo aperto, 180 chili di peso e 1,91 di altezza, l’ex capogruppo ed ex tesoriere Pdl nella regione Lazio, Francone Fiorito, ha dunque maneggiato senza controllo più di otto milioni di euro di danaro pubblico in due anni e va fiero di averlo fatto con metodi spicci: «M’emporta poco dei regolamenti e della costituzione, a me me piace la politica, qui famo amministrazione» dichiarò a Radio Radicale. Figlio di un impiegato della Winchester, 41 anni, Fiorito attaccava i manifesti per le campagne elettorali di Biagio Cacciola che del Msi è la memoria storica e di lui dice: «Non ce lo vedo come ladro, semmai come lussurioso satrapo». Ma Fiorito ha messo in conto alla Regione i suoi week end a Porto Cervo, 109 bonifici a favore di 5 conti esteri intestati a se stesso, cravatte di Marinella, 1200 euro, per tutti… E non mancano le solite ostriche. Anzi, dalle ricevute, sembra che ai suoi colleghi non facesse mangiare altro.
I molluschi, pelosi o lisci che siano, sono ormai un must per il neo arricchito italiano di danaro pubblico. Ostriche e capesante sono infatti i cibi eccessivi di chi viene dai ghetti sociali, la voglia di rifarsi del ciociaro che era l’attacchino del Msi e poi a Roma è diventato portaborse del siciliano Urso. Ecco: in quel vecchio mondo missino Adolfo Urso passava per colto e dunque alla gola di Fiorito era già un’ostrica, cibo prelibato e perla coltivata nell’Osservatorio Parlamentare, parodia delle scuole d’élite in versione destra italiana.
E però all’origine di tutto non c’è solo l’antropologia di guerra e di popolo sudato della Ciociaria, ma c’è il più occulto finanziamento pubblico della politica, un macigno nascosto, una cassaforte dentro un’altra cassaforte. Oltre ai famigerati rimborsi, la casta del Lazio assegna infatti ben 210mila euro l’anno per ogni consigliere regionale, erogati tutti al capogruppo e non ai singoli. Quelli del Pdl sono 17. Ebbene, l’entità di questo bottino ha scatenato la battaglia: i viterbesi di Forza Italia guidati da lontano da Antonio Tajani, contro i ciociari di An, legati ad Alemanno.
È una guerra tra le genti romane, la gens nova contro la gens antica, la Ciociaria contro la Tuscia. E Fiorito è stato detronizzato. Ha perso il posto di capogruppo. Ma, non contento di avergli rubato la lucrosa poltrona, il suo successore Franco Battistoni, già noto come abile compilatore di dossier fratricidi, ha preparato il libro nero della gestione Fiorito che ha reagito — «
me fate ribrezzo» — compilando a sua volta un libro nero contro Battistoni e contro un altro traditore, De Romanis «uno che mi ha minacciato perché come capogruppo non ho voluto finanziare festini con donne semivestite con
abiti romani spacciandoli per manifestazioni storiche». Troppi, in effetti, i 48.000 euro di preventivo per «il grande evento storico» che De Romanis avrebbe voluto al teatro 10 di Cinecittà, «la straordinaria occasione di rivivere il passato » schiave e matrone, lupe e Cornelie sul set di Roma antica.
Fiorito esibisce al collo quattro collane etniche di corda intrecciate, collane serbe e collane croate «perché ama i simboli che si fanno la guerra sotto il suo mento» come le collane degli Hutu e dei Tutsi che si scannarono nel Ruanda. E però questo guerriero ciociaro, che ora rischia il carcere, nel Pdl è trattato come nella Margherita trattarono Lusi. Tutti lo rinnegano. Da Crosetto a Giro gridano «al ladro al ladro», e il partito lo consegna nelle mani sagge, nientemeno, di Denis Verdini, che è un Fiorito nazionale, un Fiorito ripulito e rinverdito, il paradigma dei Fiorito d’Italia. E tutti capiscono che è come affidare la refurtiva a Gambadilegno, è la giustizia alla rovescia, quella che mandò in galera Geppetto, il trionfo del comparaggio, il dettaglio divertente che contiene tutto l’oltraggio della verità.
Fiorito, come Verdini, è stato infatti una risorsa del Pdl, un buon investimento perché aveva quel consenso che evidentemente in politica non è più un valore assoluto. Sono i Fiorito e i Verdini l’antropologia vincente della destra di questi lunghi anni di declino e di degrado italiano, la versione moderna e disarmata dei mendicanti napoletani di Domenico Rea, gente che ha fantasia nell’arraffare, nobilita con la furba spavalderia la vecchia povertà e gli ambienti rancidi di fame, con la corsa alle ostriche al posto della corsa agli spaghetti del Totò di “Miseria e Nobiltà”.
È l’unità d’Italia degli accattoni della politica, senza più differenza tra il maledetto toscano, il guappo ciociaro, il bravaccio padano e il mendicante napoletano a cui la Regina Giovanna concedeva il diritto all’arraffo. E infatti tutti elogiano il turpiloquio come codice che sta a metà tra le allusioni e la chiarezza, un po’ servizi segreti e un po’ servizi igienici,
«nun ci avevate l’onestà che ve passava per cazzo quando ve pagavo er soggiorno con l’amante». La reazione di Fiorito è il cortocircuito tra l’indignazione e la coda di paglia, la resa dei conti dell’accattonaggio politico come professione che sarà giudicata dalla storia.
Fiorito portò in dote al Pdl ben 26mila voti «strappati uno ad uno nel Frosinate» perché è missino da sempre ma è anche e soprattutto ciociaro appunto, e quindi della scuola di Ciarrapico che si dichiarava fascista ma raccoglieva voti per la Dc di Andreotti dicendo «non voto Msi perché nun c’è sta più Mussolini». Anche Fiorito ama i simboli fascisti ma è un raccoglitore di voti alla democristiana. E manda gli auguri di Capodanno con il motto della X Mas. Da sindaco votatissimo di Anagni, che è la città dello schiaffo ed è la sua città, addobbò la sala del Consiglio con due targhe in ricordo della marcia su Roma e di Sua Eccellenza Benito Mussolini. E si dichiara futurista, apre la pagina di Facebook con un quadro di Boccioni, cita Marinetti e D’Annunzio.
Ma seriamente nessuno gli rimprovera il fascismo e infatti i viterbesi di Forza Italia non lo inchiodano al saluto romano, ma raccontano che già da sindaco di Anagni non si negava le ostriche. Si concesse, per esempio, un viaggio in Giappone, 17 mila euro del comune, per seguire i mondiali di calcio. Ma Fiorito replica raccontando le cene degli altri, quelle di Battistoni innanzitutto. I conti del ristorante Pepenero, ora seimila e ora cinquemila euro, contro i conti di Pasqualino al Colosseo, ora novemila e ora settemila euro, e ce n’è abbastanza per sfamare un manipolo, una falange e una squadraccia.
Non esiste l’obbligo di pubblicare i bilanci dei gruppi consiliari del Lazio. I rendiconti sono approvati da un Comitato di controllo contabile che è presieduto da un consigliere del Partito democratico che — ops! — non si è mai accorto di nulla. Poi vengono consegnati al presidente del Consiglio regionale, che si chiama Mario Abbruzzese e sua volta mantiene 18 collaboratori e spende 3,4 milioni per il personale, 8 milioni per consulenze, ha avuto una dotazione di un milione e mezzo di euro sia nel 2010 e sia nel 2011 e guadagna 23mila euro al mese, vale a dire più del presidente Obama. Il consiglio regionale del Lazio ha speso per “manutenzione e messa a norma degli immobili” trenta milioni di euro negli ultimi tre anni e quest’anno ne aveva in previsione altri dieci, bloccati dopo le denunzie alla magistratura dei due consiglieri radicali, Rocco Berardo e Giovanni Rossodivita. Ecco perché il sulfureo Fiorito dice: “
Me sento preso per culo”.
Cresciuto a gassose e rosette e vendicato dal mollusco, si considera il più onesto dei disonesti, e perciò il solo che andrà in galera.
La Repubblica 14.09.12