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"Caro asilo, il nido è un lusso Le mamme? Restano a casa", di Mario Castagna

Pochi bambini che nascono, poche donne che lavorano. Questi i record che l’Italia raggiunge all’interno dei paesi Ue. A causare questi primati, secondo tutte le statistiche internazionali, è la scarsa offerta di servizi per l’infanzia, primo fattore, insieme a tanti altri, della minore occupabilità delle donne italiane. Servizi scarsi e spesso costosi. Secondo un’indagine dell’ufficio per le politiche territoriali della Uil sui costi delle scuole dell’infanzia nelle città capoluogo di regione, un bambino in un asilo nido italiano arriva a costare, per una famiglia tipo con due genitori lavoratori, 3240 euro l’anno, circa il 10% del reddito familiare annuale. Anche qui troviamo differenze territoriali significative. Se a Bolzano si arriva a pagare 399 euro al mese, a Catanzaro si superano di poco i cento euro (104). In cima alla classifica troviamo anche Aosta con 379 euro, Trieste (339), Firenze (338) e Torino (337).
Gli asili nido sono quindi un servizio che cade in maniera pesante sulle spalle delle famiglie. Infatti, se la spesa totale per i servizi all’infanzia è stata per il 2010 di circa 1,6 miliardi di euro, ben 284 milioni (il 18%) sono stati a sborsati da mamma e papà. I servizi per l’infanzia sarebbero un diritto da garantire a tutti i bambini italiani, ma soprattutto a tutte le donne che in questo modo vedrebbero aumentare le possibilità di trovare un impiego. Ma purtroppo sono costosi e anche poco diffusi. Infatti, secondo l’Istat, l’anno scorso solamente il 13,9% dei bambini da 0 a 2 anni frequentava un nido. Un leggero aumento rispetto a qualche anno prima, ma ancora molto lontano dalla soglia del 33% indicata dal Consiglio Europeo del 2000 come obiettivo da raggiungere entro il 2010.I bambini che frequentano un asilo nido sono in totale 239mila, di cui 158mila sono iscritti a quelli comunali; 44mila bambini, poi, sono iscritti in un asilo nido convenzionato; 37 mila hanno usufruito di servizi integrativi organizzati in contesto familiare o lavorativo, con il contributo dei Comuni. Le differenze territoriali sono poi enormi e in aumento. Se infatti il 29,4% dei bambini emiliani frequenta un nido, questo tasso scende ad un miserevole 2,7% in Campania ed addirittura al 2,4% in Calabria. In questi anni le regioni del nord hanno fatto enormi progressi, mentre nell’Italia meridionale i tassi di accesso agli asili nido rimangono al di sotto della media nazionale. Il lievissimo ma continuo incremento dell’offerta osservato a partire dal 2003 sembra addirittura subire un arresto nell’ultimo anno. Infatti nella maggior parte delle regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria) nel 2011 si registra una diminuzione della quota di bambini iscritti.
IL RAPPORTO UIL
Secondo il rapporto Uil, esiste una chiara correlazione tra tasso di occupazione femminile e la presenza di adeguati servizi per l’infanzia. Sarà forse un caso che in Emilia Romagna il tasso di occupazione femminile è al 60,9% (il più alto tra le Regioni), e il tasso di bambini negli asili nido è il più alto d’Italia)? Analogamente in Val d’Aosta le donne che lavorano sono il 60,8% del totale e il tasso di frequenza dei bambini nei nidi è al 27,1%, così come a Trento i tassi sono rispettivamente del 57,2% e del 21,9%. In fondo alla classifica troviamo le regioni meridionali. Si arriva a malapena alla metà dei migliori risultati che si registrano nelle regioni del nord. In Campania solo due bambini su cento va al nido mentre solouna donna su quattro lavore.
ITALIA MAGLIA NERA
Ma se allarghiamo lo sguardo all’Europa, guardando alle statistiche dell’Ocse, allora è l’Italia intera a divenire la maglia nera. L’Italia è indietro sia per fertilità familiare (i tassi di fecondità si sono assestati in Italia intorno a 1,4 figli per donna, contro gli 1,99 della Francia o l’1,94 dell’Inghilterra) sia nel rapporto tra fertilità ed occupazione femminile. Qui purtroppo non ce n’è per nessuno. L’Italia è in fondo alla classifica dietro tutti i paesi dell’Ocse. La soluzione? Maggiori servizi per l’infanzia. Ma purtroppo l’Italia investe meno in politiche per la famiglia che la maggior parte dei paesi europei. L’1,4% del Pil contro una media del 2,25% che arriva addirittura al 2,8% se consideriamo solamente i paesi ad alta fertilità. Insomma non assicurare un diritto ai bambini italiani significa soprattutto non assicurare un diritto alle donne italiane. Una doppia esclusione che l’Italia non può più permettersi.
L’Unità 18.09.12