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"Montessori: l’infanzia liberata. Ventimila le sue scuole nel mondo ma in Italia ce ne sono soltanto 136", di Pietro Greco

Nel 1913 “la bella italiana” sbarca in America, salutata dal New York Tribune come “the most interesting woman of Europe”, la donna più interessante del Vecchio Continente. Venti anni dopo «la bella italiana» deve lasciare definitivamente l’Italia, perché come scrive Roberta Passione nel ricco Dizionario biografico delle scienziate italiane (secoli XVIII-XX), curato da Miriam Focaccia e Sandra Linguerri, appena uscito nelle edizioni Pendragon «l’”educazione alla libertà” che (… ) propugna poco collima con l’orientamento sempre più autoritario della scuola fascista».
Con 22.000 scuole di ogni ordine e grado a lei dedicate e a lei ispirate in tutto il mondo, Maria Montessori è la donna italiana che ha avuto e ha tuttora più influenza nel mondo. È dunque con lei che vogliamo chiudere questa breve carrellata che, nel corso dell’estate, ci ha portato a conoscere alcuni dei grandi scienziati italiani che nel XX secolo hanno «fatto politica», indicando al Paese un percorso di crescita culturale, di progresso civile e di sviluppo economico che l’Italia non ha voluto seguire. Scelta per la quale, oggi, paghiamo conseguenze piuttosto salate.
Maria Montessori nacque a Chiaravalle, un tiro di schioppo da Ancona, il 31 agosto 1870. Era nipote, per parte di madre, di quell’abate e naturalista, Antonio Stoppani, autore di un libro di gran successo, Il Bel Paese, che non poco ha contribuito a costruire la nostra identità nazionale. Stoppani era un uomo di scienza e individuò una vena scientifica anche nella sua nipotina. Sta di fatto che Maria, dopo aver seguito tutto il percorso delle scuole elementari e medie a Roma, dove la famiglia si è intanto trasferita, a 20 anni si iscrive all’università La Sapienza di Roma. Quando nel 1896 termina gli studi, è la prima donna ad essersi laureata in medicina a Roma.
In un primo momento si occupa di psichiatria e inizia a frequentare quelli che lei chiama i «bambini deficienti», malati psichici. Scoprendo almeno tre cose. Che questi bambini hanno una straordinaria umanità e anche una creatività che può esplodere quando li si lascia liberi, appunto, di esprimersi. La seconda è che la scienza la scienza positiva è uno strumento non solo di progresso culturale ma anche un strumento politico di emancipazione dei deboli. Un fattore di democrazia, che può fornire un contributo forse non sufficiente, ma assolutamente necessario per restituire dignità e piena cittadinanza a questi bambini. E che, infine, come nota ancora Roberta Passione, è proprio dai bambini, dalla loro protezione e dalla loro educazione che è possibile avviare «la rigenerazione del mondo».
Non abbiamo lo spazio per ricostruire in dettaglio la storia del rapporto di Maria Montessori con i bambini. Ma è anche vero che non possiamo trascurare due fatti. Il primo è che Maria Montessori con questo quadro di riferimento opera a tutto campo. Nella cura dei bambini malati come nella lotta per l’emancipazione femminile. E infatti in un medesimo anno, il 1896, da un lato fonda con il patrocinio del Ministro e suo ex maestro Guido Baccelli e con l’aiuto di Giuseppe Ferruccio Montesano, l’amato collega e compagno di vita da cui, fuori dal matrimonio, avrà un figlio la Lega nazionale per la cura e l’educazione dei deficienti; e dall’altro contribuisce a fondare l’Associazione femminile di Roma, con un preciso scopo: avvicinare le donne alla scienza. E viceversa. In quel medesimo anno si reca a Berlino per partecipare al Congresso Femminile. In quella assise internazionale, la «bella italiana» non passa inosservata. Non solo per la sua grazia, ma anche per la veemenza con cui denuncia la condizione delle lavoratrici in Italia e chiede sia un più facile accesso al sistema educativo sia la parità di diritti e di salario tra maschi e femmine. È chiaro che sta nascendo una scienziata con una marcata «visione politica»: un autentico prototipo. E non solo in Italia.
Altro anno fondamentale nella vita di questa donna, che da psichiatra si è ormai trasformata in esperta pedagogista, con una solida formazione antropologica e filosofica, è il 1906. Quando crea la Casa dei bambini nel quartiere romano di San Lorenzo, dove inizia a sperimentare la sua «pedagogia scientifica» e inizia ad applicare ai «bambini normali» ciò che ha capito prendendosi cura dei «bambini deficienti»: la libertà come fonte di creatività e, insieme, di disciplina. Il rispetto dell’individualità come condizione per uno sviluppo armonico della socialità.
È un modo di fare scuola del tutto nuovo. I bambini che a San Lorenzo sono figli di famiglie alquanto povere non sono irreggimentati nei banchi, classe di età per classe di età, ma si muovo in spazi liberi, seguendo percorsi di apprendimento in cui componente fondamentale è la propria autodeterminazione. L’insegnante aiuta i suoi studenti a seguire il percorso migliore, che è il percorso di apprendimento preferito.
Non saremo noi ad approfondire i contenuti della pedagogia di Maria Montessori, che trovano espressione nel 1909 in un libro, Manuale della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei bambini, che viene scritto in pochi giorni mentre è ospite dei conti Franchetti a Città di Castello ma che presto ottiene fama planetaria. Trasformandola, nel giro di pochi anni, nella «donna più interessante» e in una delle più note d’Europa.
I SUOI LIBRI BRUCIATI DAI NAZISTI
In breve nascono scuole che si ispirano direttamente al «metodo Montessori» un po’ ovunque, ma soprattutto in Germania e negli Stati Uniti. È per questo che, una decina di anni dopo, quando arriva al potere, il maestro elementare Benito Mussolini cerca un qualche appeasement una qualche diplomazia dell’accordo con Maria Montessori, i cui principi positivistici non incontrano certo l’idealismo che informa di sé la scuola di Giovanni Gentile. Per molti anni le scuole Montessori vengono tollerate e persino protette dal Duce. Ma alla fine i principi di libertà su cui si fondano entrano definitivamente in collisione con l’autoritarismo fascista. Maria e il figlio Mario lasciano l’Italia. Intanto le sue scuole vengono chiuse anche da Adolf Hitler in Germania e i suoi libri bruciati dai nazisti.
Maria Montessori ripara prima in Olanda e poi nel corso della Seconda guerra mondiale, in India, dove riprende con forza immutata la battaglia per il valore educativo della libertà e il valore emancipativo dell’educazione. È dall’India che inizia la sua battaglia contro l’«analfabetismo mondiale», convinta com’è che la mancanza di cultura cristallizza le condizioni di povertà e solo l’educazione consente l’emancipazione dei poveri. A guerra finita torna in Italia, ma sporadicamente. La sua terra adottiva è, ormai, l’Olanda. Dove, il 6 maggio1952, a Noordwijk muore.
Non è certo «profeta in patria». Delle oltre ventimila scuole che oggi esplicitamente fanno riferimento al «metodo Montessori» solo 136 secondo un censimento realizzato dall’Università di Roma Tre e aggiornato al 2003 sono in Italia. Contro le 4.000, circa, negli Usa; le 1.140 in Germania, le 800 in Gran Bretagna, le 375 in Irlanda, la 220 in Olanda, le 163 in Svezia, le 150 in Giappone e le 200 in India. La «bella italiana» e il suo progetto di riscatto sociale attraverso la scienza appartengono, ormai, al mondo. Ma, come troppo spesso accade a molti geni italiani e a molte idee di italiani, non appartengono più al loro
distratto e irriconoscente Paese.

L’Unità 23.09.12

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