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"Da noi la destra non può votare", di Tommaso Giuntella

Tutto ci saremmo aspettati nella storia del centrosinistra italiano fuorché un dibattito sull’opportunità che alle primarie del centrosinistra votino solo gli elettori del centrosinistra. Chiariamoci subito, non è una questione di regole. Potremmo dilungarci per anni nello studio di meccanismi e arrivare a giustificare le posizioni più originali e i loro opposti, ma non ne verremmo mai a capo. Le primarie, mai come in questa fase, mai come in questo Paese, sono uno strumento della dialettica di una comunità politica.
Non è una questione normativa, è una questione etica, ma ancora prima una questione di buon senso. Viviamo un tempo di estrema confusione, nel quale siamo arrivati a immaginare un controsenso logico quale la contrapposizione tra società civile e società politica. Una distanza immaginaria che è percepita e che anche solo nella percezione va colmata, prima di tutto da un partito che aspira a governare il Paese come perno di una coalizione di democratici e progressisti.
In questo contesto l’atto politico del partito democratico di Bersani, l’apertura delle primarie ad altri esponenti del Pd previa revisione dello statuto, è un segnale di apertura cruciale. La visione di base, l’idea stessa del centrosinistra, non può passare in secondo piano nella discussione su chi sarà il candidato premier. L’alternativa al berlusconismo si è formata negli anni lungo la strada percorsa da una comunità politica che si è rimboccata le maniche, ha rilanciato i propri strumenti di democrazia interna, ha condotto battaglie tematiche, ha contribuito alla caduta di Berlusconi, non per sostituirlo ma per lasciarsi alle spalle gli anni del populismo, la falsa promessa dell’uomo solo al comando, del grande taumaturgo. Non a caso il Pd ha proposto alle altre forze una carta d’intenti che sarà sottoscritta da chi vorrà partecipare alle primarie.
È curioso come si pretenda che chi vuole scegliere il presidente del Consiglio che presti il volto a tale storia non voglia rivendicarne il contributo. Desta ancor più curiosità che i dubbi sorgano da esponenti del partito che ha l’albo degli elettori nel proprio statuto. Partito che ha confermato con un milione e mezzo di voti tale scelta votando Bersani che nel 2009 scriveva nel suo programma «L’ Albo degli elettori deve essere pubblico e certificato».
Ci spiega un giovane economista della Boston University: «Nelle primarie Usa è necessario registrarsi, i registri sono accessibili, il motivo non è tecnico, è morale». Chi sostiene una coalizione, mai come nel momento in cui bisogna passare il valico della Seconda Repubblica, deve farlo a viso aperto. D’altra parte che se ne farebbero i delusi del berlusconismo, i delusi degli anni in cui si liquidava una questione con un «comunisti, stalinisti, Ceausescu», di una coalizione che non risponde alla domanda di partecipazione e di politica con un’offerta rinnovata nel profondo delle proprie idee, financo nel proprio vocabolario di riferimento? È certamente in questo senso che gli elettori delle primarie di coalizione del 2005, quelli delle primarie Pd del 2007 e 2009, quelli delle innumerevoli primarie di coalizione per sindaci di tutta Italia, hanno sempre firmato una liberatoria per l’uso dei loro dati personali.
Le prossime primarie saranno una grande occasione di mobilitazione popolare nella viva ispirazione ai principi della Costituzione, è così insensato che pur nella segretezza del voto si chieda l’adesione pubblica a chi vuole indicare quale direzione debba prendere il cammino dei democratici e dei progressisti d’Italia?

L’Unità 27.09.12