attualità, politica italiana

Trasparenza nuova sfida dei partiti", di Federico Geremicca

Fa certamente sensazione, soprattutto se rapportata alla grandinata di scandali in arrivo da molte Regioni italiane, la nettezza con la quale la quasi totalità dei partiti ha rivendicato – dopo l’annunciata disponibilità di Mario Monti ad un nuovo mandato – il diritto della politica a tornare alla guida del Paese.
Si tratta, infatti, di una rivendicazione che – pur essendo del tutto legittima – fa tuttora a pugni con la condizione in cui versa il sistema politico italiano, con la confusione che regna in materia di leadership e alleanze, e la persistente vaghezza (quando non peggio) sul piano dei programmi e delle cose da fare.
Ciò nonostante, non è affatto da escludere che – dopo il voto della prossima primavera – sia appunto un governo sostenuto da una maggioranza politica a prendere in mano il destino del Paese.
Del resto, stando ai più recenti sondaggi, è quel che chiede una parte non più minoritaria dell’elettorato.
Che invoca, però – e questo è il punto – un rinnovamento profondo di uomini e modi d’agire, la riduzione dei costi e dell’invadenza della politica e il proseguimento nell’opera di risanamento economico del Paese, pena il ritrovarsi di nuovo sull’orlo del baratro sfiorato giusto un anno fa.
Fino a oggi i partiti (tra di loro ed al loro stesso interno) hanno litigato soprattutto sulla cosiddetta Agenda Monti, diventata simbolicamente quasi lo spartiacque tra chi vuole continuare su una linea di rigore e chi, al contrario, immagina sia possibile un ritorno al tempo delle vacche grasse: abolendo – per esempio a partire dall’Imu – alcune delle misure e delle riforme varate dal governo, soprattutto in materia di riduzione del debito.
La discussione – difficile e delicata allo stesso tempo – naturalmente continuerà: ma le previsioni di un lento miglioramento della situazione economica, accompagnate dal contemporaneo esplodere di scandali odiosi e grotteschi, impongono – se non un cambio di obiettivi – certamente l’urgenza di definire con chiarezza i rimedi da mettere in campo contro l’ormai insopportabile andazzo di ruberie, cialtronerie e malaffare. Per esser chiari: all’emergenza economica se ne è aggiunta un’altra che – di fronte al dilagare dello sperpero di danaro pubblico da parte delle forze politiche – si può ormai tranquillamente definire «emergenza democratica».
Il che fare per arginarla sarà uno dei terreni sui quali verranno giudicati i partiti che vogliono riprendere le redini del governo del Paese. E sarebbe dunque ora che, dopo le inadempienze e i ritardi di questi mesi, le forze politiche facessero conoscere con precisione e nel dettaglio le misure che intendono assumere per arrestare l’onda melmosa della corruzione e del malaffare politico. Quel che occorre è che i partiti o le coalizioni che si candidano alla guida del Paese redigano un vero e proprio «manifesto» della trasparenza e della lotta agli sprechi e alla delinquenza politica: con il dettaglio delle spese da tagliare, degli apparati da ridurre, degli enti da abolire o da snellire, nella loro composizione e nei loro costi.
Di fronte a feste in maschera costose e di pessimo gusto, a vacanze pagate da consulenti amici, a spese ingiustificate e a continue ruberie di danaro pubblico, la richiesta della politica di fare un passo avanti non solo non è credibile, ma rischia di diventare non condivisibile in assenza di un nettissimo segnale di cambio rotta: l’«emergenza democratica» determinata dalla decomposizione del sistema dei partiti, insomma, va arrestata prima che sia troppo tardi.
L’antipolitica ha oggi il linguaggio inaccettabile di Beppe Grillo: ma nulla può rassicurare circa il fatto che il peggio sia questo e che il fondo sia stato toccato. E’ per questo motivo – per una forma che potremmo perfino definire di legittima difesa – che occorre una reazione chiara e immediata da parte delle forze politiche. Si mettano nero su bianco, in un «manifesto della buona politica», le cose che si intendono fare: quando, come e con chi. E si chieda su questo il giudizio e il voto degli italiani. In caso contrario, la richiesta di tornare alla guida dell’Italia rischia di essere poco credibile. Di più: rischia di esser considerata inaccettabile e perfino pericolosa. Con buona pace di ogni rivendicazione della regola democratica che vuole che il Paese sia governato da chi vince le elezioni…
La Stampa 30.09.12