attualità, partito democratico

“Diario dei 15 giorni che sconvolsero il Pd”, di Michele Serra

Dovessimo trarre una morale, da queste primarie ingombranti, vitali, rissose, supermediatiche, è che la sinistra italiana, per anni convinta di essere poco contemporanea, poco telegenica, sfocata, una volta catapultata al centro della scena ci si è ritrovata sorprendentemente a suo agio. Di Renzi si sapeva. Perché è giovane, mastica comunicazione, nasce e cresce in una politica che non è più quel paziente, umile corpo a corpo territoriale dove partiti e sindacati si fecero le ossa: è reality, è web e dunque è (anche) prestazione attoriale, velocità di battuta, idea virale.
MA È tutto il resto del cast, nei quindici giorni che sconvolsero il centrosinistra, ad avere retto il ruolo con inattesa destrezza. Protagonisti e pubblico, candidati ed elettori. A cominciare dai dettagli, come quei “marxisti per Tabacci” che hanno rinverdito su internet la potente vena satirica già protagonista della campagna per Pisapia; come la felice icona bersaniana della pompa di benzina (forse, grazie a Edward Hopper, il più bel poster politico degli ultimi anni) che è riuscita a dare dignità estetica, e chi lo avrebbe mai detto, alla retorica della normalità tanto cara al segretario del Pd; la stoica prestazione della Puppato, unica donna, che pur sapendo di perdere si è battuta con la stessa energia di chi vuole vincere;
la stanchezza di Vendola, pesce fuor d’acqua nella schermaglia veloce del talkshow, visibilmente saturo di esibizione e fors’anche di politica, ultimo esemplare di intellettuale prestato alla politica e di leader politico che rimpiange la cultura.
E’ anche nelle sbavature e nelle cadute di stile, però, che le primarie hanno via via assunto credibilità, e insomma sono sembrate “vere” non solo secondo il vecchio e legittimo canone di sinistra (la mobilitazione di strada, i volontari, le code ai seggi), ma anche dentro i nuovi canoni della mediaticità. Quel tanto di rissosità aspra quanto volatile (i sospetti twittati, i botta e risposta tra i rispettivi staff), le lacrime spremute da Vespa a Bersani, la sottomissione ai tempi, ai ritmi e perfino ai modi della televisione, che spesso mette in primo piano le polemiche contingenti, lo scatto emotivo, la battuta brillante, e sorvola sulla profondità dei grandi temi: tutto questo — vale a dire i pregi e i difetti della politica mediatica — è sembrato, nelle ultime settimane, molto più “di sinistra” di quanto la sinistra stessa, elettori compresi, potesse prevedere.È come se la campagna per le primarie avesse ristretto fino quasi ad annullarlo lo spread tra la sinistra italiana e un campo, quello mediatico, sospettato di essere stato costruito a misura della destra populista e delle sue semplificazioni, a misura (e per mano) di Berlusconi e del suo piazzismo prestato alla politica. Sospetto che ha una sua fondatezza, e tale da sollevare, ancora adesso, perplessità e diffidenza in parte del pubblico: le camicie di Renzi saranno davvero il “suo vestito” o sono un costume televisivo? Le sue frasi sono davvero “teledirette” dai suoi spin doctors? E se sì, quanto toglie, questo genere di confezione, alla loro sincerità? Perché Bersani accetta di commuoversi da Vespa, per calcolo ruffiano o (peggio) per la sprovvedutezza di chi programma la sua agenda? E i vestiti “sbagliati” di Bersani, sono veramente sbagliati o fanno parte (come le camicie di Renzi) di un sapiente calcolo sull’immagine, che dev’essere ordinaria?
La risposta, giunti al termine dei quindici giorni che hanno sconvolto il centrosinistra, è che quelle domande sono vecchie, sono nodi ormai sciolti dai fatti. Si intende solo che lo scenario mediatico nazionale, per chiunque e con qualunque intenzione fosse stato allestito, ha visto muoversi perfettamente a loro agio gli uomini del centrosinistra, i loro argomenti, le loro polemiche, i loro tic, i loro difetti, le loro vanità. Che la sinistra si è lasciata colonizzare dalla telepolitica e l’ha colonizzata, con le rispettive contaminazioni del caso. Circostanza resa ancora più “storica”, e macroscopica, dalla contemporanea rinuncia del centrodestra alla possibilità di avere una sua scena madre, con le sue primarie. Un suicidio tanto più impressionante quando si pensi che potrebbe essere proprio l’uomo della televisione, Silvio Berlusconi, a spegnere i riflettori sulla sua gente per provare ad accenderli, per l’ennesima volta, solo su di sé. Un calcolo assurdo, un paradosso quasi inspiegabile eppure pienamente in atto, e proprio in questi giorni e in queste ore.
Nella sua misteriosa dimensione (una specie di covo virtuale, una bat-caverna), più savio o forse solo più furbo di Berlusconi sembra Beppe Grillo, che dopo avere dichiarato, come
Libero e il Giornale, che le primarie del centrosinistra sono una truffa per gonzi, o peggio una sfilata di morti, indice a sua volta, nel Sacro Web, le primarie delle Cinque Stelle. Con regole molto più rigide e accesso molto più ristretto, perché a differenza del centrosinistra, che ormai non ha più paura neanche di Bruno Vespa, Grillo ha il terrore di tutto quello che non è in grado di controllare personalmente.
La Repubblica 02.12.12