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“La libertà difesa dalle regole”, di Michele Prospero

Questo gran rumore sulla necessità di riaprire la registrazione per non cadere nell’accusa di voler bloccare d’imperio la partecipazione ai gazebo, dal punto di vista teorico, poggia sul nulla. La pretesa che il corpo elettorale costituisca non un universo dato ma un magma in perenne divenire scalfisce ogni univoca determinazione giuridica. Per definire l’ampiezza reale dei soggetti con diritto di voto, i partiti altro strumento idoneo non hanno che quello di indicare i tempi ragionevoli per effettuare l’iscrizione in calce agli elenchi pubblici.
Solo l’avvenuta registrazione certifica il godimento della cittadinanza attiva, direbbe Kant, che conferisce a ciascuno il formale diritto di votare. Pretendere che ai gazebo possano presentarsi folle che non hanno effettuato la preliminare procedura di registrazione è contrario a ogni principio di competizione liberale. È come se un americano chiedesse di votare alle presidenziali francesi o un romano pretendesse di votare per il sindaco di Palermo. La registrazione nelle primarie è l’equivalente della cittadinanza, requisito base senza di cui non si può votare.
Il popolo, nelle culture liberali, non è mai una entità naturale, esso si configura sempre, lo suggerisce Kelsen, come una puntuale e artificiale costruzione giuridica. E quindi il popolo o cittadinanza che può votare alle primarie è da intendersi non già qualunque corpo pretenda di infilare la scheda nell’urna, ma solo quella precisa entità giuridica la cui estensione è definita dalle regole sovrane che la coalizione ha deciso di darsi. Il popolo dei gazebo non è insomma una entità naturalistica o moltitudine, con il lessico di Hobbes, da accogliere in maniera indiscriminata, ma è una precisa entità giuridico-formale costruita con regole e forme valide che per tutti sono vincolanti.
È inoltre solo dentro un trasparente perimetro ideale e programmatico che le registrazioni sono consentite. Anche quando le primarie sono “aperte”, non è lecito per l’elettore di un altro raggruppamento scomodarsi per prestare soccorso a un candidato gradito. La libertà costituzionalmente tutelata non è mai quella di tutti di partecipare indiscriminatamente alla vita di tutti i partiti, anche di quello che si avversa.
Chi, in nome di una pretesa democrazia offesa da regole adottate in piena autonomia, pretende che il Pd faccia votare tutti, senza griglie formali stringenti, ed esorta i garanti a ospitare anche i nemici che intendono contaminare l’esito del voto ha deciso di giocare allo sfascio. Una illecita riapertura delle iscrizioni non solo predeterminerebbe le condizioni per l’annullabilità della contesa, ma coltiva una larvata pratica totalitaria. Dietro l’istanza in apparenza ultrademocratica, per cui nessun male c’è a che anche la destra smarrita voti per il candidato che la sinistra deve scegliere per la conquista del governo, cova infatti la logica ambigua del partito unico.
Le primarie hanno un senso solo perché sono di «parte». Se la demarcazione in parti distinte e tra loro in contesa cade esiste solo un unico metapartito che supera ogni differenza. Questa nostalgia per una democrazia in salsa popolare-giacobina, in cui le società parziali sono bandite e il conflitto tra le parti è visto come una malattia degenerativa, è però un incubo che la sinistra lascia volentieri ai media della borghesia italiana. Il pluralismo che esige il rispetto di ogni differenza ideale come un bene intangibile e di «parte» garantito dalla Costituzione.
L’Unità 02.12.12