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“Non c’è futuro senza l’acciaio”, di Enrico Ceccotti

Quando si parla di politica industriale per una siderurgia sostenibile bisogna sgomberare il campo da certi luoghi comuni. Il primo è che non sia possibile conciliare industria di base senza devastare i territori. Il secondo che si può continuare ad avere un Paese industrializzato in sviluppo senza avere una siderurgia a ciclo integrale. E il terzo, che solo il mercato e i processi di globalizzazione determinino le allocazioni produttive della siderurgia. Per togliere dal tavolo questi luoghi comuni è necessario un intervento pubblico sull’economia. Senza questo la produzione siderurgica sarà «naturalmente» collocata nei Paesi dove le condizioni sono più vantaggiose. Viceversa gli Stati stanno intervenendo per difendere e sviluppare le loro industrie di base modificando le tendenze del mercato e della globalizzazione. Ciò vale per la vicenda di Terni relativa agli acciai speciali come per Riva di Taranto e Lucchini di Piombino dove imponendo, rispetto al resto di Europa, differenti vincoli ambientali si ridurrebbe la competitività dell’Italia. Ciò infatti produce un differenziale di costo di produzione. Se invece si applicassero norme di compatibilità ambientale a livello europeo uguali per tutti, i nostri problemi sarebbero più contenuti. Se Taranto, Trieste e Piombino, a diverso titolo alle prese con problemi di sostenibilità finanziaria e ambientale, fossero costretti a chiudere sarebbe un notevole danno strategico ed economico per l’Italia. Se rinunciassimo agli altiforni, magari sostituendo una parte di queste produzioni con impianti a forni elettrici, rischieremmo di diventare ancora più dipendenti dall’estero, ed in balia dei mercati internazionali. La siderurgia italiana non può fare a meno di mantenere i due cicli integrali (di Taranto e Piombino-Trieste) che possono fornire acciaio di qualità per molte applicazioni qualificate. Dobbiamo perciò salvaguardare un settore strategico in Italia e in Europa. E questa battaglia non può essere fatta solo caso per caso: lasciare le scelte strategiche esclusivamente in mano alle aziende, ormai in buona parte multinazionali, poterebbe a delocalizzazioni e il settore verrebbe fortemente ridimensionato. Di questi settori non ne può fare a meno una moderna economia e vanno resi il più possibile compatibili e sostenibili, in un’ottica di economia a basse emissioni di carbonio. Per realizzare un nuovo modello di sviluppo basato su una siderurgia sostenibile va allestita una strumentazione solida e continuativa che abbia come condizione essenziale il coinvolgimento dei produttori. All’interno di misure di politica industriale vanno definite le modalità con le quali il pubblico riesce a incentivare o deprimere il comportamento dei produttori e favorire accordi e integrazioni di filiera tra produttori. Bisogna pensare ad un nuovo intervento pubblico che veda la siderurgia come una «commodity» per lo sviluppo industriale complessivo del Paese. Far convivere altoforno ed ecologia è possibile. In altri Paesi è stata trovata una compatibilità. La qualità dello sviluppo per un settore siderurgico richiede di intervenire per una riconversione ecologia della produzione e dei consumi. Naturalmente è necessario adeguare i cicli produttivi per la massima attenuazione degli impatti ambientali, servono tecnologie pulite applicate ai cicli siderurgici, in particolare basate sulla cattura e il confinamento dell’anidride carbonica, che sono già disponibili. Chi difenda la manifattura, deve prendere in mano le questioni ambientali e, insieme ai cittadini e agli ambientalisti, battersi per imporre investimenti e bonifiche ambientali alle aziende. Il pubblico ha il compito di intervenire anche sulle questioni ambientali esterne agli stabilimenti. Soprattutto a Taranto va dato il segno alla comunità locale del nostro impegno per un ambiente più vivibile dentro e fuori le fabbriche e contrastando qualsiasi posizione strumentale. La siderurgia è indispensabile per produzioni manifatturiere. Di acciaio, di prodotti siderurgici tradizionali e di nuovi prodotti con caratteristiche innovative (acciai speciali, nuove leghe ferrose e non ferrose, ecc.) ce ne sarà molto bisogno proprio per sostenere un modello di sviluppo più sostenibile. Non si può affermare che è indispensabile un sostegno alla manifattura se non c’è un’industria di base. L’industria di base deve essere vista come un’opportunità per lo sviluppo del Paese e quindi il sostegno pubblico deve essere previsto non in termini di aiuti di Stato, ma come supporto alla competitività del sistema. Occorre, insomma, una politica industriale, promossa a livello pubblico, che armonizzi le necessita dei produttori con quelle dei consumatori, entrambi attori fondamentali nel campo dei settori utilizzatori di acciaio. Servono alcune misure vincolanti per tutti gli operatori del settore per difendere la qualità e la capacità produttiva della siderurgia italiana. Solo così è possibile far convivere produzioni di base e vivibilità dei territori. Anche di questo discuteremo nella Conferenza nazionale che il Pd terrà a Terni il 15 dicembre prossimo.
L’Unità 02.02.12