attualità, lavoro, politica italiana

“Le contraddizioni del governo sull’Ilva”, di Paolo Leon

Alla recente conferenza stampa del Governo sull’ILVA, un corrispondente straniero ha chiesto se il provvedimento, che riapre la produzione nelle mani della proprietà che aveva inquinato, avrebbe creato un moral hazard: sottintendeva che ogni inquinatore, d’ora in poi, potrebbe contare su provvedimenti analoghi, e sarebbe incoraggiato ad inquinare. Monti ha risposto sostenendo che il moral hazard si applica nella finanza internazionale, e forse si riferiva al caso del salvataggio dei Paesi debitori, che potrebbero perseverare nel deficit pubblico, visto che sono salvabili, ma sa benissimo che il moral hazard si applica a qualsiasi rapporto contrattuale, pubblico, privato, finanziario o reale, ma forse non si è posto il problema se il provvedimento per l’Ilva può causare un effetto negativo sul comportamento generale degli inquinatori.
Già consentire all’inquinatore di proseguire l’attività, pur disinquinando, è come consentire al ladro di tenersi la refurtiva. È vero che nel provvedimento si giunge anche a sottrarre la proprietà all’inquinatore, se questi non dovesse rispettare le regole fissate dal governo e controllate dal garante: ma quattro conseguenze sembrano sfuggite al governo.
La prima è che, inevitabilmente, l’inquinamento, pur ridotto, continuerà fino a che il risanamento non sarà completato: e se si devono fermare gli impianti per risanarli, è inevitabile la cassa integrazione che sarebbe intervenuta anche con il fermo impianti del magistrato. La seconda conseguenza deriva dal possibile mancato rispetto delle norme da parte dell’inquinatore: non si potrà immediatamente procedere a requisire l’impianto, perché è inevitabile il ricorso alla magistratura da parte dell’inquinatore, e nel frattempo l’inquinamento continua. La terza conseguenza è ciò che accadrà quando l’inquinatore non avrà, come è del tutto probabile, tutte le risorse finanziarie per pagare il risanamento: se fallisce, interverranno i creditori, un custode fallimentare, ma non lo Stato a meno di nuovi provvedimenti che stravolgerebbero l’ordinamento italiano e europeo. La quarta conseguenza è che si è creato un precedente che travolge la divisione dei poteri, fermando un provvedimento del magistrato con una legge un intervento più nobile, ma nella scia delle leggi ad personam.
Francamente non si capisce perché il governo non abbia requisito immediatamente l’impianto, avviato risanamento e produzione, e bloccato capitale e reddito dell’inquinatore, eliminando ogni conflitto con la magistratura. Lo consente la Costituzione, come è già stato detto per il provvedimento, e non vi può essere obiezione dell’Unione europea, perché siamo di fronte ad un danno derivante da comportamenti illeciti, che hanno creato insalubrità. Forse, lasciando l’impianto all’inquinatore, si voleva fare in modo che questi pagasse il risanamento; ma ciò è possibile anche requisendo l’impianto, semplicemente obbligando l’inquinatore a pagare il danno procurato con le sue risorse. Si volevano forse ottenere le risorse del risanamento utilizzando i ricavi dalla produzione? Ma ciò, se era possibile senza inquinare, l’avrebbe fatto lo Stato, incassando direttamente fatturati e utili.
Se al Consiglio dei ministri non è stata decisa la requisizione immediata, può derivare o da una segreta preferenza per la proprietà privata o da una sfiducia nei manager dell’llva nel realizzare l’operazione condotta in ipotesi dallo Stato: ma sono gli stessi che opereranno agli ordini dell’inquinatore. Forse il governo non voleva toccare i saldi di finanza pubblica, nel caso non fossero sufficienti le risorse prodotte dall’impianto e dal patrimonio dell’inquinatore, ma ciò potrebbe benissimo avvenire, con rischi maggiori, con il provvedimento approvato, quando l’inquinatore non avesse rispettato gli impegni; e se invece si contava su tali impegni, voleva dire che le risorse erano sufficienti.
Infine, si è detto, con qualche languore, che siamo di fronte al conflitto tra due obiettivi «assoluti»: salute contro lavoro. Naturalmente, è una sciocchezza: si può produrre acciaio senza inquinare più del lecito, e ne deriva che il conflitto è tra l’inquinatore e lo Stato, e il lavoro non c’entra niente.
L’Unità 03.12.12