attualità, politica italiana

“Il dilemma del Professore”, di Ilvo Diamanti

La seconda Repubblica è finita, ma non del tutto. Il leader che l’ha inventata e guidata, per quasi vent’anni, è ancora lì. Silvio Berlusconi. Non si decide a uscire di scena. Per il bene del Paese. E, in primo luogo, «per i miei interessi», come ha esplicitamente affermato negli scorsi giorni. Da ciò la difficoltà di costruire una democrazia “normale”, fondata sull’alternanza possibile. Da ciò la difficoltà di Mario Monti, nella ricerca di un ruolo, dopo le prossime elezioni. Monti: vorrebbe continuare l’opera avviata un anno fa. Ma sulla base di un’investitura democratica e non aristocratica. Per volontà popolare e non del Presidente. Dopo una consultazione elettorale in Italia e non per scelta degli “altri”. Su Monti, come si è visto anche nell’ultima settimana, “investono” i Popolari europei. La Merkel in testa. Ma anche il presidente francese, Hollande, socialista, ha espresso la sua stima verso il Professore. I leader politici (oltre ai mercati) internazionali si chiedono perché mai gli italiani debbano esporsi al rischio di eleggere – democraticamente – un governo “populista”. Oppure una maggioranza fragile, condizionata da forze politiche anti-europee. Com’è già avvenuto in passato. I leader e i mercati stranieri: si chiedono (talora apertamente) perché gli italiani debbano andare al voto, quando dispongono già di un premier “affidabile” (dal loro punto di vista).
“Purtroppo” la democrazia ha le sue regole. E i suoi rischi. Da troppo tempo – per citare Marc Lazar – l’Italia costituisce un interessante “laboratorio” dei cambiamenti – e delle distorsioni – delle democrazie europee. E, per questo, opera in una situazione instabile. Sarebbe ora che entrasse in una “noiosa” condizione di “normalità”. Superando le deviazioni della Seconda, ma anche della Prima Repubblica. Non è ancora possibile, pare. Come dimostrano i dilemmi di Monti, in questa fase. Il Professore vorrebbe, infatti, riproporsi come premier, dopo le elezioni. Ma è difficile trovare una posizione adeguata alle sue – legittime e comprensibili – aspirazioni. La “casa” più sicura e coerente, in base all’esperienza recente, sarebbe il centrosinistra. In particolare: il Pd. Che i sondaggi stimano in largo vantaggio. Soprattutto dopo le primarie. Le quali, tuttavia, hanno garantito un largo consenso a Bersani. Indicare un candidato diverso – o un premier diverso, dopo il voto –significherebbe vanificare la volontà degli elettori. Dire loro – e a tutti – che il centrosinistra aveva scherzato.
Un’altra ipotesi, di cui molto si parla, prevede che Monti venga candidato dalle forze politiche di Centro. L’Udc, Fli, la lista promossa da Montezemolo. Una soluzione che potrebbe fare del Terzo Polo l’alternativa vera al centrosinistra. Anche perché l’attuale sistema elettorale, il cosiddetto Porcellum, concepito in era berlusconiana e mantenuto con il concorso determinante di Berlusconi, ha prodotto un duplice effetto: maggioritaria e personale. Spingendo, cioè, la competizione elettorale in senso bipolare e presidenziale. Ha, infatti, opposto fino ad oggi Berlusconi al candidato della sinistra. Prima Prodi (l’unico ad averlo battuto, per due volte). Poi Veltroni. Ma oggi Berlusconi ha un consenso personale limitato. La sua parabola si è conclusa nell’autunno di un anno fa. Quando ha dovuto “arrendersi” e rassegnare le dimissioni. Costretto da vincoli esterni, ma prima ancora interni. Dalla crisi di fiducia nel Paese e dall’incapacità di tenere insieme la sua maggioranza. Oggi, il suo ritorno politico ha permesso al Pdl di risalire. Ma di poco: 3-4 punti. Il suo partito: non arriva al 20%. E poi: è diviso. Berlusconi. La stessa Lega: esita ad allearsi con lui. Come potrebbe dimostrare la propria volontà di rinnovamento, ripresentandosi di nuovo al voto con Berlusconi?
Per questo, se Monti divenisse il candidato premier del Centro, il Terzo polo potrebbe trasformarsi nel Secondo. L’alternativa al centrosinistra. Egli stesso diverrebbe, a sua volta, l’alternativa a Bersani. Il suo avversario. Per l’improponibilità di Berlusconi. Per il basso grado di legittimità delle forze di centrodestra. Ma anche per il consenso personale di cui dispone il Professore – risalito oltre il 50% nell’ultima settimana (come segnalano i sondaggi di Demos e Ipsos).
Chiarisco subito che, a mio avviso, si tratterebbe di una prospettiva “normale” e, anzi, auspicabile – in altri tempi e in altri contesti. Proporrebbe, infatti, l’alternativa fra due candidati e due aree politiche “compatibili”. Una più lib e l’altra più lab. Entrambe, sostanzialmente, europee e democratiche. Il problema, tuttavia, è che in questa fase e in queste condizioni, un Patto di Centro guidato da Monti attrarrebbe non solo i voti “moderati”, ma anche il sostegno personale di Silvio Berlusconi. Il quale, anche ieri, nel lungo monologo “recitato” a Canale 5, ha ribadito la propria disponibilità a fare un passo indietro. Ma solo se Monti si candidasse. In altri termini, Monti apparirebbe non solo “colui che unisce i moderati”, ma il garante del Cavaliere e dei suoi.
Per questo oggi Monti si trova in una posizione critica. Perché non può essere candidato dal centrosinistra. Neppure in modo furbescamente mascherato. L’ipotesi di staffetta, di cui si è parlato negli ultimi giorni, appare, infatti, discutibile. Perché gli elettori hanno il diritto di sapere per chi e perché votano. Al momento del voto. Per quale premier e quale maggioranza.
Ma se Monti (per citare Eugenio Scalfari) “cadesse in tentazione” e si candidasse con il Centro, diverrebbe l’alternativa a Bersani. In particolare se Berlusconi facesse un passo indietro. Difficilmente potrebbe, domani, allearsi con il centrosinistra. Tanto meno divenire premier di una coalizione di “unità nazionale”. Se non nel caso che nessuno, al Senato, ottenesse la maggioranza dei seggi (ma Monti, per questo, dovrebbe tifare per la Lega e il Cavaliere, nelle regioni del Nord).
C’è, infine l’ipotesi, avanzata ieri, che Monti promuova una propria lista personale. In autonomia da tutti gli altri. In questo modo si metterebbe davvero in gioco. Tuttavia, per questo, rischierebbe molto. Alcuni sondaggi recenti (Swg, per esempio) gli attribuiscono intorno al 6%, che salirebbe al 15%. Però, appunto, insieme alle forze di Centro. Troppo poco, per coltivare ambizioni di premiership. Al contrario, abbastanza per comprometterle.
Per continuare a svolgere un ruolo di primo piano, nei prossimi anni, penso che il Professore debba, dunque e comunque, rifiutare, apertamente, l’offerta, ma anche i voti del Cavaliere. Prendere esplicitamente le distanze da lui. E quindi decidere. Se, come e con chi scendere in campo.
Ma solo “restando fuori”, a mio avviso, potrebbe occupare, in seguito, ruoli istituzionali importanti. Oppure ruoli di governo. Nella coalizione vincente. O al di sopra delle parti. In caso di particolare emergenza.
Mario Monti, più di ogni altro, oggi può contribuire a “normalizzare” la nostra democrazia. Spezzando, definitivamente, il filo che ancora ci lega alla Seconda Repubblica. Cioè, a Silvio Berlusconi.
Ma, proprio per questo, deve “restare fuori”.
La Repubblica 17.12.12