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“Infibulazione, la condanna dell’Onu”, di Pietro Del Re

Non più mutilazioni genitali femminili, basta con una barbara consuetudine che ogni anno, in una trentina di Paesi, mette a rischio la vita di milioni di ragazze. Lo ha deciso l’assemblea generale dell’Onu, adottando per consenso la risoluzione di messa al bando universale di questa pratica efferata. È una vittoria delle donne e dei diritti umani, perché l’orrendo “taglio rituale” perpetua quella relazione di diseguaglianza tra l’uomo e la donna, non solo nei Paesi di origine ma anche in quelli di immigrazione. Si stima che 140 milioni di donne siano state sottoposte a questa tortura, negazione della dignità della persona, inibizione della sessualità femminile e gravi rischi per la salute. «Hanno vinto il coraggio
e la tenacia, e la convinzione che non tutte le tradizioni sono giuste. Ci sono tradizioni nefaste, come questa, che vanno superate», ha commentato la vicepresidente del Senato, Emma Bonino, che da anni si batte in prima persona contro le mutilazioni.
La risoluzione esorta gli Stati membri dell’Onu a intraprendere «tutte le misure necessarie e a varare leggi che proteggano le donne e le ragazze da questa forma di violenza, mettendo fine all’impunità ». Soltanto in Africa ogni anno circa 3 milioni di ragazze subiscono questo supplizio, e in alcuni Paesi quali Somalia, Sudan, Eritrea, Djibuti, Egitto, Sierra Leone, Mali e Guinea è un’usanza quasi universale. Ma le mutilazioni sono abbondantemente praticate anche nello Yemen, nel Kurdistan iracheno e in Indonesia.
Le vittime sono per lo più bambine o adolescenti, e le mutilazioni vengono effettuate con rasoi e forbici ma anche, in mancanza d’altro, con una scheggia di vetro o un pezzo di latta appositamente affilato.
Ci sono diversi tipi di mutilazioni genitali femminili, tutti efferati e cruenti. Il più spaventoso è forse la infibulazione, che consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra vaginali, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro. Altre prevedono la cauterizzazione dei genitali o innaturali perforazioni o perfino raschiamenti. Le conseguenze per la donna sono tragiche, perché – a causa della rimozione del clitoride – perde la possibilità di provare piacere sessuale. Non solo: i rapporti diventano dolorosi e difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. Al momento del parto, possono sorgere altrettanto gravi problemi, poiché il bambino deve attraversare tessuto cicatrizzato e poco elastico. Secondo José Luis Diaz, rappresentante di Amnesty International presso l’Onu, «è un momento importante per tutti coloro che sono impegnati nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili ». La risoluzione prevede misure punitive contro chi viola le leggi, e anche assistenza sanitaria e psicologica alle donne vittime. Resta tuttavia una domanda. Quanto tempo ci vorrà affinché il bando venga rispettato anche nelle campagne o nelle savane più remote del pianeta?
La Repubblica 21.12.12
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“Le mie figlie non saranno ferite come me così cambiamo il futuro delle donne”, di ALIX VAN BUREN
ASSETOU Billa Nonkane aveva tre mesi quando sua madre la sottopose alla clitoridectomia in Burkina Faso, il suo paese d’origine. Ma lei alle sue due bambine ha voluto risparmiare questa «terribile ferita». Una sfida agli imperativi culturali della sua patria, che ne ha fatto la portabandiera di una campagna che conduce da oltre un decennio. In Italia, dove vive a Pordenone, festeggia il voto delle Nazioni Unite.
Soddisfatta, dopo tanta lotta contro una delle più odiose violenze sul corpo della donna?
«E come non esserlo? È la prima volta che l’Onu si pronuncia sull’argomento. Questo aiuterà a cambiare il futuro di milioni di bambine, e non soltanto in Africa. Clitoridectiomie e infibulazioni
dovranno diventare una cosa del passato».
Per lei, però, e per molte donne della sua generazione, è troppo tardi? Il suo impegno nasce proprio dalla mutilazione subita da bambina?
«È vero, la cicatrice che porto sul mio corpo non scomparirà. Ma posso fare in modo che lo stesso non accada ad altre, a cominciare dalle mie figlie. Non volevo che perdessero una parte così importante del loro corpo. Ho dovuto proteggerle dalle pressioni della comunità ogni volta
che tornavamo in patria».
Lei, invece, non ha avuto scelta?
«Io avevo soltanto tre mesi, quando mia madre mi sottopose alla clitoridectomia. Era una donna analfabeta, e quella era la tradizione. Nessuno, all’epoca, osava sottrarsi alla pratica: farlo, sarebbe stato una fonte di disonore per l’intera famiglia. Avrebbe significato una perdita d’identità».
L’identità si fonda su una simile violenza?
«Bisogna capire che nei villaggi, in particolare rurali, devi essere uguale a tutte le altre se vuoi far parte di quella comunità, se vuoi trovare marito, se vuoi essere rispettata. Stiamo parlando di
usanze tramandate dagli antenati, difficili da estirpare».
Sua madre oggi è pentita di quel che le ha fatto?
«Lei pensava di farmi del bene: io neonata, gran parte del dolore fisico mi sarebbe stato risparmiato. In più, la cultura locale sottolineava l’aspetto “protettivo” della mutilazione».
Una protezione da cosa?
«Rispetto a desideri considerati illeciti sotto il profilo sociale: ad esempio il sesso prematrimoniale, oppure fuori del matrimonio, oppure ancora la masturbazione, un aspetto che non riguarda direttamente il maschio».
Il piacere della donna è immolato sull’altare dell’egemonia maschile?
«Tutto questo nasce in tempi antichi: prima che arrivasse da noi l’Islam, gli uomini avevano molte più mogli. Perché non cercassero altrove il piacere, perché fossero brave donne e mamme, se ne impose la mutilazione. Poi, con la religione islamica, il numero delle mogli è stato limitato a quattro. Ma la tradizione degli antenati è rimasta. Però, bisogna pensare anche alle colpe delle donne».
Quali sono?
«Loro sono state le prime guardiane della tradizione. Di madre in figlia, hanno imposto le stesse ferite pur di preservare la coesione sociale, la rispettabilità. Oggi ho mio marito al mio fianco: lui ha condiviso e difeso la mia scelta di non mutilare le nostre figlie».
Nel Burkina Faso la legge proibisce già dal ’96 le mutilazioni femminili. Quanto tempo passerà prima che la legge venga applicata?
«Già si sono viste molte incriminazioni, e tante donne, come me, hanno rifiutato di mutilare le proprie figlie. Ma la mentalità non si cambia da un giorno all’altro. Serve il voto dell’Onu, e anche il tempo».
La Repubblica 21.12.12