attualità

“Com’è vicina l’Africa sahariana”, di Roberto Saviano

Pochi se ne rendono conto, ma il Mali ha legami strettissimi con l’Europa. Da lì passano tonnellate di cocaina prodotta in Sudamerica e destinata ai nostri mercati. E i trafficanti trovano complicità addirittura nell’esercito. Dire che in Italia non ci si occupa di Africa e di Mali sarebbe un’affermazione impropria. Ottimi giornalisti informano i lettori italiani su cosa accade in luoghi che molti fanno addirittura fatica a localizzare. Le informazioni sono dettagliate, utilissime. Ma fino a che non se ne occupano le televisioni e il pubblico non si allarga, tutto rimarrà relegato a poche migliaia di utenti. E poi c’è la mia deformazione professionale, che mi sono abituato a chiamare così solo per essere meno fastidioso, per sentirmi meno solo e forse anche per non generare quella normale diffidenza che si prova verso chi sembra abbia solo cattive notizie da dare.
QUANDO HO L’OCCASIONE, in tv cerco di raccontare anche altro, non solo traffici di droga e organizzazioni criminali. Ma la realtà è un mosaico complesso, fatto di informazioni che ci arrivano da ogni parte e che dovremmo cercare di mettere al posto giusto per provare – almeno provare – a comprendere ciò che ci circonda. Spesso, quando affronto un tema che non riguarda l’Italia, le risposte di molti miei lettori sono: «Perché non ti occupi di quello che accade qui?». Ecco, il qui e l’altrove sono le dimensioni che mi piacerebbe trasformare. Ciò che accade ad esempio in Mali, nell’Africa sahariana, può avere connessioni non del tutto evidenti, ma profondissime, con la crisi in Europa.
Il Mali è un paese pieno di colori e tradizioni che negli ultimi anni ha subito una grave deriva. L’ennesima crisi alimentare che ha colpito il Nord ha apparentemente favorito un fenomeno che era già in atto: la ricostituzione del movimento indipendentista tuareg e la presenza sempre più forte di gruppi islamisti e terroristi come Aqmi (Al-Qaida au Maghreb islamique) e Mujao (Movimento per l’Unicità dell’Islam in Africa Occidentale). A questo si è aggiunta la pratica dei rapimenti che ha chiuso le porte al turismo, fonte primaria di guadagno per migliaia di famiglie. Ecco perché non ci si spiega come mai il Mali resti luogo di transito per compagnie aeree. Naturalmente non riusciamo a spiegarcelo utilizzando categorie legali, ma se si pensa al ruolo strategico che il Mali ha assunto nei traffici di cocaina provenienti dal Sudamerica, capiamo come mai sia necessario farvi scalo. L’occupazione delle regioni settentrionali che ha di fatto creato uno Stato nello Stato, non ha niente a che vedere con le solite sbandierate e temute pulsioni religiose. L’unica reale spinta a creare un luogo franco, dove non ci sia controllo, è avere carta bianca per l’intensificazione dei traffici di droga, armi e migranti. In pochi anni il nord del Mali è diventato il nuovo punto nodale per il traffico di cocaina verso l’Europa. Su 250 tonnellate prodotte in Colombia, Perù e Bolivia, destinate al mercato europeo, si stima che tra le 50 e le 70 passino attraverso l’Africa occidentale. Da gennaio 2006 a maggio 2008, quantità ingenti di cocaina sono state sequestrate in Europa, trasportate con voli provenienti dal Mali. E spesso, in patria, è addirittura l’esercito a presidiare gli aeroporti per ricevere tonnellate di cocaina. E con il caso “Air Cocaine” del 2009 non è più possibile fingere di non sapere. La carcassa di un jumbo jet bruciata fu ritrovata nel nord-est del Mali. L’aereo, proveniente dal Venezuela, trasportava quasi dieci tonnellate di cocaina; non riuscendo a farlo ripartire dalla pista improvvisata nel deserto, i trafficanti dovettero darlo alle fiamme. Le complicità del sistema le capiamo dal numero di sequestri e arresti: dire che sono esigui è usare un eufemismo.
UNA DECINA DI GIORNI fa il primo ministro del Mali, Cheick Modibo Diarra, è stato costretto con un golpe a dare le dimissioni, compulsato dalle forze armate che fanno capo a Amadou Haya Sanogo, presidente del comitato militare del Mali. E’ solo l’ultimo colpo di mano in un paese in cui le elezioni democratiche sono una chimera. Diarra era favorevole all’invio di truppe in Mali per fronteggiare l’emergenza democratica. Sanogo, per tutelare l’autonomia del Nord, ha dovuto porre un argine. Ecco, se non pensiamo che le nostre democrazie dipendano anche da questi luoghi, la commozione per il bello che ci circonda rischia di essere orpello, rischia di essere un bel complemento a una realtà che in fondo non riusciamo a spiegarci.
L’Espresso 23.12.12