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“Per favore Professore non rifaccia la Dc”, di Eugenio Scalfari

È cambiato in appena una settimana. Domenica scorsa, davanti ad un’affollata platea della Federazione della stampa, Mario Monti aveva parlato da uomo di Stato tracciando le linee maestre d’un programma (o agenda che dir si voglia) per completare l’uscita dall’emergenza e proiettare il Paese verso il futuro dell’Italia e dell’Europa. Aveva ripetuto un punto di fondo che già conoscevo e avevo scritto riferendo una conversazione avuta con lui il giorno prima: «Dobbiamo riformare la pubblica amministrazione per adeguarla alla società globale e dobbiamo costruire lo Stato federale europeo. Si tratta di compiti estremamente impegnativi, pieni di futuro e di speranze e per condurli a termine è necessaria una grande alleanza di forze sociali e politiche che accettino questo programma».
E poi l’agenda delle cose concrete da fare: completare la legge contro la corruzione, portare avanti le liberalizzazioni, ripristinare il reato di falso in bilancio, varare una legge che risolva il conflitto d’interesse. E soprattutto, mantenere gli impegni assunti con l’Europa, stabilizzare il rigore dei conti pubblici e avviare la seconda parte di quegli impegni, la crescita economica, il lavoro, l’equità, il taglio delle spese correnti, l’alleggerimento delle imposte sul lavoro e sulle imprese, la produttività e la competitività, l’abolizione delle Province, il ruolo delle donne, il tasso demografico. «Fate più bambini» aveva concluso.
Quanto a lui, avrebbe atteso di vedere quali forze sociali e politiche avessero fatto propria la sua agenda.
Se gli avessero chiesto di dare il suo contributo alla realizzazione di quel programma, era pronto ad assumerne la responsabilità. Un bellissimo discorso, di chi opera nel presente guardando al futuro, all’insegna di uno slogan che era molto più di uno spot: il cambiamento contro la conservazione.
Ma appena due giorni dopo aveva già iniziato colloqui riservati con l’associazione di Montezemolo e con i centristi di Casini e di Fini, avendo come consiglieri i suoi ministri Riccardi e Passera; poi aveva incontrato il giuslavorista Ichino in rapido transito dal Pd alla montiana coalizione centrista; i dissidenti del Pdl guidati da Mauro, mentre cresceva il numero dei ministri del suo governo interessati a proseguire con lui l’esperienza iniziata un anno fa.
Intanto fioccavano gli “endorsement” da quasi tutte le cancellerie europee e americane ed uno decisivo da ogni punto di vista del Vaticano, proveniente dai cardinali Bertone e Bagnasco e dall’“Osservatore Romano”. La Chiesa, o almeno la sua gerarchia, lo vorrebbe alla guida dell’Italia per i prossimi cinque anni.
Quindi centrismo e una spolverata cattolica. Era salito in politica domenica ma già da martedì stava scendendo per mettersi alla testa di una parte. Si era alzato dalla panchina dove, secondo l’opinione del Capo dello Stato, avrebbe dovuto restare fino a dopo le elezioni, pronto a dare soltanto allora, a chi glielo chiedesse avendone acquisito il titolo elettorale, il contributo della sua competenza e della sua autorevolezza.
Invece non è stato così. Restano naturalmente da definire ancora parecchie questioni: «Per l’agenda Monti» oppure «Per Monti» o addirittura «Monti presidente »? Su questi punti si discute ancora ma si tratta di dettagli. Intanto il commissario Bondi che finora si era dedicato con efficacia alla revisione della “spending review” si sarebbe impegnato al controllo delle nuove candidature per quanto riguarda i redditi, il patrimonio e gli eventuali conflitti di interesse.
Con il fronte berlusconiano la rottura politica è stata completa e definitiva. Questo è un fatto certamente positivo. Bersani è definito invece affidabile ma la Camusso e Vendola sono considerati più o meno bolscevichi. Casini e Fini sono appendici interessanti ma ovviamente subalterne, aderiscono ma è lui a dettare le condizioni. Benissimo il Vaticano purché senza ingerenze. Ovviamente. Del resto il Vaticano non ne ha mai fatte, neppure ai tempi di Fanfani, di Moro, di Andreotti. Ha sempre e soltanto suggerito su questioni concrete e specifiche. La prassi è sempre stata la buona accoglienza del suggerimento. Con Berlusconi poi non ci fu nemmeno bisogno di suggerire: lui giocava d’anticipo. Gli bastava un monosillabo o addirittura un mugolio, tradotto da Gianni Letta. Perciò adesso si sente tradito e forse tra poco si dichiarerà anticlericale.
Da venerdì scorso comunque Mario Monti è a capo della coalizione centrista. La panchina è vuota, perfino i palazzi del governo sono semivuoti, eppure nei 60 giorni che mancano alle elezioni ce ne sarebbero di cose da fare, di provvedimenti già approvati ma privi di regolamentazione, di pratiche da portare avanti, per quanto mi risulta in ufficio c’è rimasto soltanto Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale. Lui ha idee di sinistra, quella buona per capirci, non quella di Ingroia dove si parla solo della rivoluzione guidata dalle Procure e dell’agenda di Marco Travaglio.
Perfino il commissario Bondi ha smesso di occuparsi di “spending review” per il nuovo compito sulla formazione delle liste. Lo fa nel tempo libero o in quello d’ufficio? Ecco una domanda alla quale si vorrebbe una risposta. **** Sono andato a controllare l’agenda Bersani. Sì, c’è anche un’agenda Bersani che senza strepito è da tempo disponibile a chi vuole conoscere i programmi dei partiti. Ce ne sono pochi in giro di partiti che non siano proprietà d’una sola persona. Anzi non ce ne è nessuno tranne il Pd. Dispiace, ma questa è la pura realtà.
L’agenda Bersani dice questo: 1. Mantenere gli impegni presi con l’Europa in tema di rigore dei conti pubblici e di pareggio del bilancio.
2. Tagliare la spesa corrente negli sprechi ma anche nelle destinazioni non prioritarie.
3. Destinare il denaro recuperato per diminuire il cuneo fiscale e le imposte sui lavoratori e sulle imprese.
4. Aumentare la lotta all’evasione e la tracciabilità
necessaria.
5 Completare la legge sulla corruzione (il testo è già stato presentato in Parlamento).
6. Ripristinare il falso in bilancio.
7. Varare una legge sui conflitti di interesse e sull’ineleggibilità.
8. Adempiere agli obblighi assunti con l’Europa anche per quanto riguarda equità, occupazione, sviluppo, ancora fermi al palo.
9. Destinare le risorse disponibili alla scuola e alla ricerca, come proposto dal bolscevico Nichi Vendola e già realizzato in Francia da Hollande (che però bolscevico non è).
10. Cambiare il welfare esistente e non più idoneo con un welfare moderno e comprensivo di salario sociale minimo per i disoccupati.
11. Tagliare drasticamente i costi della politica, le Province, la burocrazia delle Regioni, privilegiando i Comuni e avviando i lavori pubblici territoriali finanziandoli con i fondi derivanti dal ricavato dell’Imu.
12. Diminuire il numero dei parlamentari come si doveva fare in questa legislatura e non si fece per l’opposizione
del Pdl.
13. Rifare la legge elettorale basandola su collegi uninominali a doppio turno. **** Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d’ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l’agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l’attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti.
Conclusione: non esiste né un’agenda Bersani né un’agenda Monti. Esiste un’agenda Italia che dovrebbe essere valida per tutte le forze responsabili e democratiche. Non è certo l’agenda di Berlusconi, né di Grillo, né della Lega, né di Ingroia.
L’agenda Italia – è utile ricordarlo – è un tassello dell’agenda Europa ed è realizzabile soltanto nel quadro di un’Europa federata che tutti dobbiamo avere a cuore e costruire. Chi voterà l’agenda Italia può affidarne la guida a forze liberal-moderate o a forze liberal-socialiste.
Vinca il migliore ma nomini vicepresidente del Consiglio Roberto Benigni con delega alla Costituzione. Scrivetelo nelle vostre agende, sarebbe una magnifica innovazione.Una nuova Democrazia cristiana no, per favore. Noi vecchi (parlo per la mia generazione) abbiamo già dato. Quanto ai giovani, non è più l’epoca delle Madonne pellegrine.
Post scriptum.
I professori Giavazzi e Alesina, delle cui conoscenze economiche ho una riluttante stima, hanno scritto venerdì scorso sul “Corriere della Sera” che il solo modo per tagliare quanto è necessario la spesa corrente dello Stato è il restringimento delle sfere di competenza dello Stato medesimo. Ordine pubblico, giustizia, Difesa, scuola (in parte), assistenza ai vecchi e agli ammalati poveri. Solo restringendo il perimetro pubblico e parapubblico diminuirà la spesa. L’obiettivo è 40 miliardi. Come reimpiegarli si vedrà dopo.
Queste proposte (ultrabocconiane) si dice siano ben viste anche da Mario Draghi. Io non ci credo ma non ho notizie in proposito.
Si tratta di vecchi temi del liberismo classico; del resto i proponenti lo sanno benissimo, sono esperti di storia economica. Si tratta di rimettere indietro le sfere dell’orologio risalendo all’epoca gloriosa di Cobden e della lega di Manchester, quando si abolì il dazio sul grano per favorire la nascita dell’industria tessile. Di mezzo ci sono stati quasi duecento anni di storia del capitalismo e della democrazia. Ma meritano comunque considerazione. Anche Berlusconi diceva e dice «Meno stato, più mercato». Poi ha fatto il contrario.
Ma venendo al serio: da trent’anni il grosso delle imprese italiane ha destinato i profitti o a dividendo per gli azionisti o per investimenti finanziari e speculativi. Pochissimo a investimenti nelle aziende per modernizzarne l’offerta e allargare la base occupazionale. Se si vuol restringere la base operativa dello Stato occorre come preliminare che gli imprenditori tornino ad investire nelle aziende, altrimenti non ci sarà più manifattura né nell’industria né in agricoltura. Torneremo ai pascoli. Credetemi, non è un obiettivo degno di due bocconiani.
La Repubblica 30.12.12

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