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"Sei proposte per il futuro dell'università", di Marco Mancini*

In queste settimane convulse prima del voto le tematiche dell’università e della ricerca stentano a emergere. Come accade durante ogni finanziaria, il settore è periclitante. Ad ogni soffiata di vento viene ricacciato in fondo all’agenda politica. L’ultima volta, in sede di legge di stabilità, per cedere il posto ai maestri di sci e ad altri interventi di varia natura.Ma prima ancora era accaduto per trovare finanziamenti per l’Alitalia, per gli autotrasportatori, e chi più ne ha più ne metta. Come se fosse possibile parlare di lavoro e di sviluppo, senza investire in formazione, ricerca e innovazione. La cosa è tanto più preoccupante se si pensa alla situazione drammatica che sta vivendo il sistema della ricerca e dell’istruzione superiore in Italia. Dopo il mancato rifinanziamento nella Legge di stabilità il 2013 va configurandosi non come un annus horribilis ma come un annus fatalis per i nostri atenei. La diminuzione del 4,7% dei trasferimenti dallo Stato si appresta ad assestare alle università statali e non-statali una mazzata definitiva dalla quale sarà impossibile riprendersi se non si interviene con urgenza. E ciò avviene paradossalmente alla vigilia dell’apertura del nuovo cantiere europeo di Horizon 2020 con ben 80 miliardi di euro in palio per ricerca e sviluppo. Come faremo a competere se le università sono in agonia? Come farà l’Italia con infrastrutture della ricerca deboli e fatiscenti? Con sempre meno docenti negli atenei? Nell’ipotetica Maastricht dell’università l’Italia sarebbe già fuori. Una barca separata dall’Europa che va facendo piccolo cabotaggio lungo le rive del Mediterraneo. Rischiando l’affondamento. Definitivo. Tutti i parametri, infatti, ci collocano fuori dallo spazio europeo della ricerca: dal rapporto docenti/ personale occupato a quello del finanziamento delle borse di studio, dai finanziamenti alla ricerca di base (che quest’anno, con i Prin e i Fir ha obiettivamente raggiunto cifre ridicole) al blocco del turn-over che sta provocando l’invecchiamento più forte d’Europa del ceto docente. Dobbiamo continuare? Troppi oramai gli appelli, i documenti, le tabelle, le proiezioni, le percentuali, i convegni. Per rompere questo silenzio sull’emergenza universitaria la Crui il 15 febbraio ha scritto una lettera rivolta ai candidati alla Presidenza del Consiglio dei ministri contenente non lamentele o querimonie ma singole proposte. L’obiettivo dichiarato di questo «pacchetto Crui» sono le famiglie e la disaffezione crescente verso il sistema dell’istruzione superiore. La terapia: un intervento sulla defiscalizzazione delle tasse e dei contributi universitari e un rifinanziamento delle borse per il diritto allo studio. Da un lato per incentivare, nel momento di massima crisi economica dei bilanci familiari, le iscrizioni alle università, università che rappresentano ancora la vera chance in più per i giovani in cerca di lavoro. Dall’altro per garantire, attraverso le borse di studio delle Regioni, una mobilità dignitosa degli studenti affinché possano scegliere liberamente l’ateneo che ritengono più idoneo. Il «pacchetto» delle sei proposte della Crui chiede anche un alleggerimento del quadro normativo e un investimento sull’autonomia. Lo scopo è caratterizzare le università secondo le rispettive vocazioni disciplinari, anche tenendo conto del contesto socio-economico del territorio di riferimento, intervenendo sulle politiche perseguite ex-post con una valutazione rigorosa e senza appello. Ma per fare tutto questo c’è bisogno del rifinanziamento strutturale. I trasferimenti dello Stato, diminuiti del 13% in soli quattro anni, devono tornare alle quote del 2009 (7,5 mld di euro) provando a risalire la china che dovrebbe condurci ad avere almeno l’1% del Pil consacrato all’università. Infine il reclutamento. Il «pacchetto Crui» insiste per una riduzione dell’Irap sulle borse di studio oltre che su una defiscalizzazione dei contributi versati dalle imprese agli atenei. Occorre invogliare i nostri imprenditoria premiare giovani ricercatori capaci di portare energie fresche nei delicati e cruciali settori dell’innovazione e del trasferimento tecnologico. A questa iniziativa deve affiancarsi un finanziamento annuale che garantisca che almeno il 10% dei precari alla ricerca (dottori di ricerca e/o assegnisti) possa ottenere, mediante regolare concorso, una posizione di ricercatore scegliendo in piena autonomia la sede dove svolgere il proprio servizio. Una meritocrazia che concorra anche a recuperare il progressivo svuotamento della popolazione docente ormai avviata alla pensione. Le proposte della Crui ovviamente non possono sanare da sole l’università italiana. Ma rappresentano le emergenze ormai non più rinviabili nonché la necessità di fare del sistema dell’alta formazione una priorità politica. Solamente in questo modo, valorizzando il diritto costituzionale all’istruzione, si può sperare di risollevare un Paese colpito duramente dalla crisi. Prima che sia tardi.

*presidente della Conferenza dei Rettori

L’Unità 19.02.12