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"Un patto per cambiare il tempo delle donne", di Barbara Stefanelli

Il Parlamento della XVII legislatura accoglierà molte più donne di quante si siano mai viste nella storia della nostra Repubblica. Le proiezioni di questa vigilia parlano di un balzo: dal 20 per cento in uscita fino a un possibile 38-40. È un’occasione straordinaria rispetto alle blande percentuali di crescita alle quali nel frattempo ci eravamo (quasi) rassegnati, un lungo passo avanti per scavalcare quel fossato che ancora tiene l’Italia al di qua di ogni accettabile frontiera di modernità.
Alle donne — e agli uomini — che andranno a sedere in quelle due Camere, che decideranno quale uso fare delle risorse nazionali, vogliamo proporre un’agenda condivisa. Non una lettera di reclamo, non «un lamento» come a volte si dice delle donne (non chiedono, si lamentano). Ma il rilancio di un patto — nuovo, profondamente riformatore — in un Paese che sta finalmente studiando le sue mappe per navigare meglio il futuro.
Lavoro. Italia 2013: una donna su due non ha ancora un’occupazione retribuita, troppe possono contare solo su impieghi (e guadagni) precari. Favorire il lavoro femminile è un obiettivo strategico che non ammette altre distrazioni. I vantaggi economici sono indiscutibili: per le famiglie, che renderebbero più solido il proprio reddito, e per la società intera, che come sistema vedrebbe aumentare la richiesta di servizi. Senza considerare quanto una donna indipendente dal punto di vista economico sia in grado di affrontare le prove della vita con più serenità, e consapevolezza, rispetto a quante temono di perdere ogni sponda quando arriva il momento di cambiare e scommettere su di sé. E dunque: come far risalire la casella tricolore nelle scoraggianti classifiche globali su partecipazione e ruolo delle donne? Ci sono molte misure che sono state studiate: detassare il lavoro femminile, ridurre gli oneri sociali per le aziende attente agli equilibri di genere e di età; prevedere crediti agevolati per le imprese avviate da donne; favorire il rientro dopo la maternità. È tempo che le giovani smettano di domandarsi quale sia «la stagione giusta» per fare un figlio senza bruciarsi il profilo professionale. Aspiranti madri — e padri — dovrebbero poter guardare all’avventura familiare come a una moltiplicazione delle esperienze e non come a una sottrazione di tempi utili al cammino individuale.

Il Corriere della Sera 24.02.13