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"Bersani replica agli insulti ma non cambia linea", di Maria Zegarelli

La doccia gelata arriva nel primo pomeriggio, sul blog: «Questo smacchiatore fallito ha l’arroganza di chiedere il nostro sostegno». Niente fiducia al Pd, avvisa Beppe Grillo mentre nel partito di Pier Luigi Bersani si ragiona attorno all’unico scenario possibile (ieri “benedetto” anche da Monti) per dare vita ad un governo: presentarsi in Parlamento con pochi ma incisivi punti programmatici e chiedere la fiducia anche e soprattutto al M5s.

Grillo, a supporto delle cannonate che lancia, posta tutte le dichiarazioni del leader Pd contro il Movimento in campagna elettorale ma non basta a fermare l’onda di protesta della sua base per questa posizione di chiusura totale e al Nazareno non sfugge quello che succede sul web, il luogo dove oggi sembra essersi spostato il nuovo fermento della politica. «Quel che Grillo ha da dirmi, insulti compresi, lo voglio sentire in Parlamento. E li’ ciascuno si assumerà le proprie responsabilità», replica Bersani, ormai sotto il tiro del fuoco nemico e di quello amico (Scalfarotto lo invita a dimettersi, idem Civati che annuncia la corsa per la segreteria).

Gioco tattico quello del leader M5s? È probabile, considerato che più tardi, quando il dibattito dentro il suo movimento non accenna a smorzarsi, twitta: «Se Bersani vorrà proporre l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio». Inizia l’altalena che andrà avanti da qui fino al giorno della fiducia che il nuovo Parlamento dovrà votare al governo. Bersani in fondo se lo aspettava, sa che non sarà facile, che gli è toccata l’ultima delle imprese che in cuor suo avrebbe mai voluto dover affrontare: provare a dare vita ad un governo che si annuncia sin da ora debole, appeso agli umori di Grillo e di un Parlamento dove non può che fare i conti con Berlusconi da una parte e il M5s dall’altra. «Davanti al risultato uscito dalle urne noi non possiamo che presentarci in Parlamento e fare le nostre proposte di rinnovamento pensando al bene del Paese», spiega ai suoi collaboratori.

L’altra sera durante il coordinamento, al quale erano presenti anche i segretari regionali (e dove non è voluto andare Matteo Renzi) il segretario Pd ha spiegato la linea, la stessa illustrata durante l’incontro con la stampa e per la quale chiederà l’ok durante la direzione del partito convocata per il 5. L’altra sera nessun intervento contro e molti silenzi, a partire da D’Alema, Veltroni e Franceschini. Per ora nessuno intende aprire la faida interna, ma è qustione di tempo.

Non a caso Enrico Letta sente di dover precisare: «Il nostro candidato a guidare il governo è Bersani perché vogliamo metterci tutto l’impegno, perchè ha vinto le primarie e ha avuto la maggioranza alle elezioni. E spetta a noi provare a formare un governo di svolta. Grillo non faciliterà l’impresa, sarà così fino al giorno in cui Bersani si presenterà al Senato, ma intanto il lea- der del M5s deve fare i conti con la sua base che non mi sembra abbia gradito questa chiusura netta al Pd». Al quartier generale dei democratici fiutano l’aria: c’è chi vorrebbe in scena il sindaco di Firenze per formare un governo affidando a Bersani e Berlusconi un ruolo istituzionale. «Non se ne parla nemmeno», liquida Letta. Una maggioranza sostenuta da Bersani e Berlusconi, lasciando a Grillo l’opposizione, sarebbe la fine del Pd. «Il governo o lo fa Bersani o non si fa», taglia corto Beppe Fioroni che pure bersaniano non è mai stato.

Marina Sereni respinge l’ipotesi del governissimo e non si spaventa davanti alle stroncature di Grillo: «Vediamo cosa succederà da qui ai prossimi giorni, anche gli eletti del M5s sanno quali sono le condizioni in cui versa il Paese, non so se vogliono assumersi la responsabilità di una situazione di in governabilità». Stefano Fassina è sulla stessa linea: «Vedremo in Parlamento se la partita con Grillo è chiusa».

Ieri Bersani ha incontrato a pranzo Nichi Vendola, primo faccia a faccia dopo il voto, per fare il punto. Il governatore vede come fumo negli occhi l’ipotesi di governi di emergenza, la strada, dice al segretario Pd, non può che essere quella imboccata. Proposte forti su cui chiedere la fiducia, concordano: abbattimento dei costi della politica, legge elettorale, dimezzamento del numero dei parlamentari, legge sulla corruzione, misure di moralità «pubblica e privata», interventi per sollevare le fasce più esposte della società. Con questo programma la coalizione, compatta, deve presentarsi in Parlamento e «stanare» i parlamentari del M5s. «Se diranno no si dovranno assumere la responsabilità di non aver voluto cambiare il Paese», è il ragionamento.
Walter Veltroni non parla ma non gli piace l’idea di doversi affidare a Grillo. C’è chi già ipotizza l’ipotesi di un incarico a Giuliano Amato (aleggia anche il nome di Passera) per un governo tecnico Pd-Pdl-Monti, se dovesse fallire il tentativo di Bersani. «Non possono essere Amato o Passera la risposta a quello che gli italiani hanno detto con il loro voto», commentano dal Nazareno. Per ora l’ipotesi «B» resta sullo sfondo. Ieri Bersani ha avuto anche un lungo colloquio telefonico con il presidente francese Francois Hollande sull’esito del voto italiano. Entrambi sono convinti che quello che è successo qui è un monito per l’intera Europa e che ora più che mai è necessario un cambio di rotta. «Riformare il sistema politico italiano e rilanciare misure tese a risolvere i problemi sociali causati dalla recessione sono due obiettivi decisivi per l`Italia», ha spiegato Bersani. Grillo permettendo.

da L’Unità